Leonetto Sarcini e la sua famiglia si chiudevano in casa alle sei del pomeriggio, dopo il ritorno del genero dal lavoro.
Mezzora dopo si mettevano a tavola per la cena, consistente in caffellatte e fette Wamar da inzupparci, poi poco altro che non fosse la TV dei primi anni ottanta.
Marito, moglie, figlia e genero; l’ora della chiusura dell’appartamento era la “Compieta”.
Dopo le sette del pomeriggio suonare alla porta, comportava una procedura di apertura di mandate, chiavistelli e spranghe che inibivano chiunque pensasse di osare farlo.
Capitò che una sera di pasqua la terra tremasse. Una bella scossa forte subito dopo l’ora di cena. Per gli altri, perché per la famiglia Sarcini era notte inoltrata.
Dal palazzotto di tre piani ci fu un fuggi fuggi giù per le scale e verso lo spartitraffico della strada di fronte, ritenuto luogo sicuro perché distante dalle abitazioni.
Ogni inquilino era uscito alla rinfusa. Tutti si erano portati le chiavi di casa e della macchina in previsione di una notte fuori, altri, sorpresi sul divano, si erano portati anche il telecomando della televisione.
Ma Leonetto e i suoi?
Dallo spartitraffico non era possibile contattarli, i cellulari non c’erano; all’epoca, a mala pena c’era il Duplex.
Possibile che non avessero sentito con tutta la confusione che c’era stata per le scale?
Mentre tutti dalla strada guardavano verso l’appartamento, alla fine uscirono, vestiti a festa come per andare a messa.
Soprabito per gli uomini con cappello in testa e vestito della domenica per le donne.
No, non scesero! Fecero la loro comparsa affacciandosi al terrazzo e guardando stupiti tutto il quartiere che li faceva segno ad ampi gesti di scendere.
Loro, imperterriti, continuarono a salutare dal balcone come una famiglia reale.
Il portone di casa, cascasse il mondo, si sarebbe aperto solo la mattina dopo.