Pubblicato il 23/04/2016 14:57:47
Ho fatto un sogno e, per dirla con Freud che di sogni ne capiva, dovrebbe essere nato “sua sponte”, e non pilotato da me che ho una certa abitudine a far volare i sogni nella direzione che preferisco, forzandoli, o se preferite pilotandoli,così come fa un bravo skipper con la sua barca a vela, andando anche contro vento. Infatti, se un sogno non è almeno un po' pilotato, allora che sogno è? Forse un incubo, oppure immagini confuse a seguito di cattiva digestione e libagione eccessiva, o magari un sogno premonitore, ma non un sogno come lo intendo io. In quel sogno ero un aviatore provetto, proprio io che temo di volare troppo in alto e soffro di vertigini. Pilotavo un aereo speciale, senza elica né motori, una specie di vecchio caicco con l'albero prodiero più alto di quello verso poppa; insomma una barca con due vele, adatta sia per portare carichi, che per diporto. L'imbarcazione galleggiava su nuvole vaporose, ed il vento faceva la sua parte, gonfiando le vele. Io, ed è questa la stranezza, non potevo pilotarlo quel sogno, perché il Caicco era privo di timone e quindi vagava nel cielo infinito, qual rondine che cerca la sua terra calda per svernare. Il carico che portavo erano sogni, di tutti i tipi, ma con una matrice comune: erano sogni d'amore. Qualcuno li aveva stipati in capienti otri sotto forma di pioggia, ed ogni vaso era l'uno diverso dall'altro. Giungevo su un villaggio, ed una sorta di vento scoperchiava un otre, quasi fosse comandato da una mano divina o comunque soprannaturale, facendo cadere pioggia sulle case, e quindi dispensando quel sogno. Poi si chiudeva quell'otre e se ne apriva un altro, quattro nuvole più avanti, in vista di un nuovo paese. Curioso, ebbi l'idea di prelevare un po' di pioggia da ogni otre e mi accorsi di un fatto alquanto strano, che fino ad allora non avevo mai sospettato potesse essere la matrice comune dei sogni d'amore, quelli degli uomini come me, più o meno giovani, di qualunque paese venissero e quale fosse la loro lingua: in tutti quei sogni c'era una “donna del sud”, sia che il mio aereo speciale sorvolasse la Svezia o la Nigeria, mari o laghi, oppure montagne innevate. Lei, questa immaginaria e sensuale donna del sud, compariva sempre nei diversi sogni d'amore. A quel punto, nel sogno, divenni marinaio, e quel piccolo espediente mi permise di capire: il sud del mondo è emozione, incertezza, paura del nuovo, avventura in terre sconosciute, mari caldi ed accoglienti, isole lussureggianti, mentre il nord è sinonimo di freddo, di già vissuto, di sogno ibernato. E la donna è proprio così che la vogliamo, o la sogniamo noi uomini: calda, sensuale, disponibile, enigmatica, una donna che ti faccia sentire importante, amato, cercato...la sua bellezza sta tutta racchiusa nelle sue qualità di donna, non nelle fattezze o negli abiti che indossa, e nemmeno dove è nata e quale lingua parla. Improvvisamente è apparsa a bordo, come uscita dalle onde di una nuvola, anche la “mia” donna del sud; mi sorrideva, mi invitava a possederla, lo capii presto, e per darmi la certezza che era mia fece una cosa che mi lasciò senza fiato: si levò con grazia le mutandine e me le mise in una mano, con un gesto che pareva volesse dire: ecco le chiavi del Paradiso, sono tue. Puoi aprirlo quando vuoi.
Ero talmente felice ed emozionato che mi sono svegliato di soprassalto, eccitato, intimorito da quel vento di libertà sessuale, da quella visione onirica. Ed allora ho deciso che quel sogno andava pilotato, come so fare io da anni, e mi sono di nuovo addormentato portando a terra quell'aereo che diventava, come per magia, un bel letto, grande, spazioso, accogliente, caldo, insomma un letto che profumava di sud del mondo, di miele, limoni e terre fertili. E se mi chiedete cosa intendo per “donna del sud”, sappiate che esiste sempre un sud per ogni nord del mondo; fosse anche l'equatore, quel nord.
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