Pubblicato il 09/03/2016 13:31:49
Il capo della polizia di Edimburgo, Scozia, quel mattino fu svegliato da una chiamata urgente che proveniva dalla Centrale. Strana circostanza; non era mai accaduto prima che lo disturbassero mentre era ancora a letto. « Capo, hanno svaligiato il castello del barone Mackenzie, questa notte... ci ha chiamati or ora; è su tutte le furie » William Scott non riuscì a fissare con esattezza le parole, e il suo mal di testa che lo aveva torturato per tutta la notte si impennò bruscamente, aumentando la confusione dei suoi pochi neuroni attivi. Aveva intuito solo che si trattava di una persona importante, c'era un castello di mezzo, gli pareva, ma il nome del proprietario gli sfuggiva. Edimburgo era piena di castelli, dopotutto. « Chi è... quale castello? » , disse con voce impastata, sbadigliando. Dall'altra parte del telefono, niente, nemmeno un respiro. Probabilmente si stavano facendo beffe di lui in centrale, e allora riattaccò. La sua fama di “ispettore del mistero” gliel'avevano appiccicata addosso ai tempi delle sue indagini sugli attentati ad un asilo nido, che erano passati alla storia come la famosa “sparizione delle merendine”. Scott aveva seguito una pista improbabile di spaccio della droga, convinto che le merendine fossero state il mezzo di trasporto di piccole dosi di cocaina. E dire che i suoi collaboratori, pur dotati di scarso acume poliziesco, gli avevano fatto notare che tra i bambini c'era una coppia di gemelli esageratamente obesi. Niente, non aveva voluto seguire quella pista troppo facile. La sua frase preferita era: « Quando un caso è troppo evidente, gatta ci cova... » Ed il caso era rimasto irrisolto, nonostante le indagini avessero impegnato parecchi agenti per molti mesi. Poi la sparizione di merendine cessò, di colpo: la famiglia dei due gemelli si era trasferita a Londra. Ma a Scott la cosa passò inosservata e fece proseguire le indagini per un altro mese, cocciutamente. Se lo avevano trasferito da Scotland Yard a quell'incarico di provincia, ci doveva pur essere un motivo.
Si alzò con riluttanza, si preparò una colazione squallida a base di tè e fette biscottate stantie, cosparse di burro rancido e marmellata ammuffita, e si diresse in bagno. Si guardò allo specchio con occhio spento e decise che avrebbe potuto fare a meno di radersi: la barba non era poi tanto lunga. Erano anni che trascurava sia l'alimentazione che l'aspetto fisico, proprio da quando la moglie era scappata di casa con un italiano che il sabato sera gli portava le pizze napoletane, un certo Gennaro che nell'ambiente era stato soprannominato “ Little Januaryn ”, il re galante del servizio “ pizza porta a porta”. Un servizio professionale, in tutti i sensi; amorevole, si potrebbe ben dire visto che terminava sempre in grandi fughe d'amore. Arrivò in centrale che ancora non connetteva bene, e si chiuse in ufficio senza salutare nessuno, nel tentativo di incasellare al loro posto i pochi neuroni rimasti nel suo cervello. Si era già dimenticato del furto al castello, o forse era stata la sua stessa autodifesa esistenziale a rimuoverlo, quel furto, orientata com'era ad evitare rogne e cercare la via della fuga ai problemi polizieschi, mai risolti. Sentì bussare alla porta, e si indispettì. « Che c'è, santa Regina... di primo mattino... » Era il suo vice, l'ispettore John Fox, detto “ Gionny la volpe “. Gli rammentò l'urgenza di andare al castello del barone Sir Charles Mackenzie per un'accurata ispezione dell'accaduto, quel furto anomalo avvenuto senza che i molti dispositivi di sicurezza fossero intervenuti. Al nome del barone , William Scott saltò dalla sedia e cominciò a sudare. Sistemò la divisa alla bell'e meglio, si rigirò tra le mani il pessimo nodo alla cravatta, storto e malfatto come sempre, nel tentativo estremo di sistemarlo, si diede una lisciata ai capelli brizzolati con la punta delle dita e si apprestò ad uscire.
Arrivarono al castello in tarda mattinata, lui, il vice ed un poliziotto fidato e sveglio, George. Il maggiordomo li accolse con tutti gli onori, e li fece accomodare nel salone Vittoriano. Mentre erano intenti ad ammirare quadri e trofei, notarono che sulle pareti vi era il chiaro segno delle sparizioni. In alcuni punti la tappezzeria era di colore più chiaro e disegnava esattamente la dimensione dei quadri sottratti. Nient'altro si poteva notare; per il resto regnava un ordine perfetto e si sarebbe detto, di primo acchito, che i ladri erano stati abili, molto precisi, ordinati e di buona educazione essendosi preoccupati di lasciare il salone così come lo avevano trovato, senza altri danni aggiuntivi se non quelli del furto. Finalmente giunse il barone, il cui aplomb era noto ed aveva fatto il giro della Contea, nella quale era conosciuto anche per le sue disavventure sentimentali. Correva voce che fosse stato lasciato dalla moglie, anni prima, ed in seguito anche da numerose amanti, improvvisamente e sempre con le stesse misteriose modalità. Dopo le presentazioni di rito, il barone, aiutato dal fido maggiordomo, elencava i danni subiti a causa del furto a Scott e al suo vice, Fox per l'appunto. Intanto il poliziotto subalterno si recava in cucina per interrogare la servitù. « Dunque, Archibald, aiutami a fare l'inventario delle sparizioni, sono un po' confuso... » disse il barone, quasi che la cosa non lo riguardasse. Anche un carabiniere italiano avrebbe capito al volo che i suoi pensieri erano da tutt'altra parte e gli oggetti scomparsi rappresentavano l'ultimo dei suoi problemi. Il maggiordomo, meticoloso e preciso come un orologio svizzero, li elencò senza battere ciglio, anzi fece ancor meglio. « Signori » , disse rivolgendosi ai due ispettori, « è presto detto. Mi sono appuntato tutto su questo foglio... prego ». Dalla lettura dell'elenco si poteva capire immediatamente quanto il furto avesse riguardato solo oggetti di ingente valore, in alcuni casi anche abbastanza ingombranti. Mancavano all'appello, in definitiva: soldi in contanti, prelevati dalla cassaforte senza nemmeno scardinarla, esattamente ottantamila sterline, tre quadri importanti, tra i quali un Sisley e un Cézanne, di valore inestimabile, diversi mobili d'epoca tra i quali uno scrittoio medievale, interamente in radica di noce, tutta la cristalleria di Boemia, ben quattro servizi di posate, di cui tre decorate in oro zecchino e una d'argento massiccio, un vaso cinese della dinastia dei Ming, collane in perle autentiche ed anelli vari in oro 18 carati ed inserti in platino, con diamante a 102 sfaccettature incastonato a sbalzo, collane di perle e braccialetti vari. La lista continuava, ma a quel punto Scott smise di leggere, si mise il foglietto piegato in tasca, e si rivolse al suo vice: « Dov'è quel pelandrone di George; il caso si fa serio... vallo a chiamare immediatamente. Dobbiamo iniziare immediatamente le ricerche ». Espletati i convenevoli e rassicurato il barone che le indagini si sarebbero svolte con la massima celerità e precisione, i tre si misero in macchina alla volta di Edimburgo. Durante il tragitto, visto che i capi non proferivano parola, George, seduto dietro, si sentì in dovere di informarli su quanto aveva raccolto dagli interrogatori della servitù. « Il caso è già risolto, direi... » , esordì. William Scott, che in quel momento stava pensando ad un probabile collegamento con i più famosi ricettatori di Edimburgo, lo guardò distrattamente dentro lo specchietto retrovisore interno. Sfoderando il suo fare più laconico, disse: « E cosa mai, di grazia, te lo farebbe credere? » « Quello che c'è scritto anche sul vostro elenco, signore, informazioni che la servitù mi ha fornito con tutti i particolari. Insieme agli oggetti preziosi è scomparsa Lady Sabry, l'amante del barone, e il giovane autista italiano, napoletano verace, noto pizzaiolo e contrabbandiere di diamanti che solitamente nasconde nelle cassette di pesce, conosciuto anche come “ Little Januaryn ”. Poi è scomparso pure il furgone Mercedes Benz in dotazione allo chef, usato per il rifornimento viveri, e la Bentley Continental grigio perla. E Lady Sabry amava molto guidare auto di grossa cilindrata, a quanto ho saputo...» . William Scott guardò sorridendo il suo vice alla guida, poi si voltò per un attimo. Fissò il povero George negli occhi, fulminandolo, e spiattellò la sua frase preferita: « Quante volte devo dirtelo, mio caro...quando un caso è troppo evidente, gatta ci cova... » L'auto della polizia intanto proseguiva il suo triste cammino, e qualche orecchio dall'udito sopraffino avrebbe potuto sentire un lamento nel rombo di quel motore: « Chissà mai quanta strada inutile mi faranno percorrere, costoro. Ahimè... »
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