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Dalla finestra

di Basilio Conato
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Pubblicato il 29/02/2016 12:02:20

DALLA FINESTRA

 

      La sensazione è confusa, e non capisci bene se sei tu così o se è colpa del paesaggio.

Vediamo ciò che la nostra capacità di vedere ci lascia scoprire, ma è poi spesso proprio quel che vediamo a definire la nostra capacità di visione.

E dunque: confuso io o confuso il paesaggio?

     Da qui l'orizzonte è ovunque precluso, e i diversi piani con cui case tetti cortili e strade organizzano lo spazio si lacerano l'un l'altro evidenziando la totale assenza d'un pur minimo disegno architettonico o urbanistico. (E non è forse quest' immenso disordine a darci la libertà assoluta di trovare un senso alle cose?)

     Macchie di lamiera ondulata fanno il verso a scomposte falde di coppi vecchi e nuovi e marsigliesi e tegole in cemento.

     Nei cortili qualcuno ha ridipinto brandelli di parete con i colori meno idonei alla bisogna e così il vecchio nobile ocra scrostato è insultato dal fresco color paglierino appannato e malaticcio.

     Nella casa proprio qui di fronte quasi ogni persiana, ogni porta, è d'un verde diverso, e mi stupisco pensando a questa regolarità inattesa: tutte verdi !

     I fili per stendere il bucato - e con loro i cavi di antenne posticce - guardano terra con la loro pancia molle. Qui si lavano solo stracci guardando TV in bianco e nero.

     Sul cancello tre cassette per la posta sono aggrappate a malconce sbarre verticali di ruggine e disperano di poter resistere ancora a lungo.

Una di loro, curiosamente, volge le spalle alla strada: forse costringerà il postino a contorcersi per poterla sfamare.

     Qualche metro quadro d'orto di cui nessuno si cura, un paio d'aiuole e vasi di plastica invecchiati precocemente guardano intanto l'erba che nel cuore del giardino ruba spazio e vita alla ghiaia e al cemento.

     Le begonie sono finalmente fiorite, ma paion recluse dietro alla ringhiera del balcone.

     Cito poi a caso: cuccia d'un cane - ma non c'è cane ad abitarla -, motorino, sedie, stendibiancheria, auto ammaccata, bidoni, annaffiatoio, bombola di gas, ombrellone chiuso, "attenti al cane" sul cancello, calendario appeso.

     E non può mancare una palma.

E come gli ulivi secolari che fuori luogo soffrono dignitosi nelle rotonde della padana viabilità di Lombardia, così questa palma paga il suo tributo di dolore alla natura violata.

Datteri o cocchi - insieme alle olive - abortiscono senza sogni.

     Sopra il tetto si vedono grandi pini che abbracciano le case coi loro stanchi, stanchissimi rami, come facessero la goffa parodia dei salici. E' questa la primavera?

     Di fianco incombono prepotenti tre orrendi cassoni che con le loro ventole garantiranno ai vicini estati fresche ed asciutte.

     Si intravede alla finestra chi si prepara e si gode una sigaretta in attesa dell'inizio del lavoro che tra poco lo vedrà impegnato nel ristorante qui a fianco.

      Del ristorante si vede però solo l'accesso posteriore alle cucine.

Suoni di piatti e odor di fritto impregnano la fissità del luogo senza tradursi nella promessa di poter mangiare bene. Neanche le recenti ristrutturazioni fanno ben sperare e l'eccessiva forza cromatica degli intonaci non fa che dare ancor più peso alla prepotente canna fumaria esterna in acciaio che punta in alto ad abbruttire anche il cielo. E tuttavia so per certo il cibo essere eccellente.

     Anche i rumori, non si sa come, entrano a far parte del paesaggio.

In particolare i suoni del traffico sulla via principale che da qui non si riesce a vedere se non sporgendosi pericolosamente.

Lontano c'è un televisore acceso, ma il volume è troppo alto cosicchè la sua voce arriva distorta e incomprensibile.

Qualcuno tossisce e qualche uccello - son passeri nervosi - lontano cinguetta. Passa un aereo di cui la foschia del cielo nasconde la vista ma non il suono.

     L'asfalto rattoppato della strada è costellato di macchie d'unto, e tra mozziconi di sigaretta e tracce di una sporcizia moderna e millenaria fa mostra di sè una bottiglia da mezzo litro seduta vicino al muro, vuota di birra. Una bottiglia che riesce da sola a far sentire il degrado e a trasformare la mestizia in desolazione.

     L'orrore vero è ritrovarsi nel quadro, affacciato alla finestra a guardare, così bene intonato al paesaggio.

 

  

Mag. '08


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