Anna Ruotolo, classe 1985, frequenta la facoltà di Giurisprudenza e si consacra poeta con questa sua opera prima. Lo spirito della poesia è brezza che soffia dove vuole, e sceglie d’incarnarsi in persone a ogni livello, sociale o accademico, e a tutti dispensa la parola illuminante, freccia che centra il cuore del mondo. La poesia è parola che insegue il reale fin nelle sue tane, visione che penetra il vero e lo fa emergere dal mare dell’esistenza mostrandone sia la bellezza che i profondi legami cosmici. La poesia è quindi completamente libera, non si può inventare. Chi ha il dono della poesia potrà anche non scoprirlo mai per tutta la vita o pensare di essa, della poesia, essere cosa inutile in questo mondo di consumo tecnologico, ma sono molti quelli che la riconoscono in sé e negli altri, una volta riconosciuta la sua presenza, saranno le opportunità a fare di alcuni poeti, noti poeti, di altri, poeti da strada, di altri ancora, poeti in ombra. C’è chi le opportunità le sa cogliere, chi le cerca, chi le crea, chi le fugge… ma ciò che conta è la poesia, averla o non averla, saperla sviluppare, farla maturare o farla marcire. Anna Ruotolo ha ciò che conta, ha la poesia, è stata scelta, da essa investita di consapevolezza. La poesia è una vocazione e una responsabilità, la poesia è parola che taglia, divide, parola che distingue, o, all’opposto, unisce, ricompone le divisioni, fonda… la poesia è il sentire di un’anima purificato nel fuoco collettivo dell’umanità. Anna Ruotolo ha, nella sua scrittura, l’evidente grazia poetica che la sostiene. In quanto alle opportunità, forse verranno, si vedrà. Intanto leggiamo questa sua prima pubblicazione e gioiamo per il manifestarsi di una nuova grazia poetica nel panorama della scrittura italiana, sì perché, checché se ne dica, ogni poeta è nuovo, sta ad esso saper dirigere la propria scrittura verso la novità che egli ha sicuramente in sé. La Ruotolo sembra farlo. Ella affronta il tempo, tema importante, cavalcando la poesia dei suoi versi con la stessa agilità di una amazzone, cavalca sulla terra di mezzo di opposte esistenze, o di uguali ma divise, si approssima a ponti (che qualche volta attraversa) tra sentimenti opposti, tra generi, talvolta sono ponti temporali tra passato, presente e futuro, tra ricordo e vita attuale, tra partenza e ritorno, tra storia e memoria. Dice bene Elio Grasso nella sua cristallina introduzione al libro: “E’ il tempo che percorre tutto questo libro di Anna Ruotolo, quel tempo che fa attraversare una strada vicino alle parole, dette ancor prima che la realtà attacchi con i suoi addii senza scampo […]”. Nel corso dei secoli la concezione che l’uomo si è fatta del tempo, si è sviluppata. La percezione del tempo è personale, esso ha componenti rilevanti di soggettività, sia dal punto di vista fisico che biologico che psicologico. Anna Ruotolo sembra proporre un tempo lineare, tipicamente occidentale, ma con cicli di memoria ampi quanto una poesia, che si accavallano di lirica in lirica, ponendo gli eventi in una sospensione breve ma intensa, come un lampo sospende per un istante il mondo, lasciando il lettore nella visione di un ricordo focalizzato nella breve e squarciante luce, tale è la forza descrittiva della Ruotolo, supportata dalla sua particolare capacità di ricorrere a immagini e incastri di senso, che sembrano uscire direttamente dalla penna della più felice fantasia: “[…] / ed ogni punto sarà lo spazio da annerire / per vederti nascere, apparire dal nulla.” (pagina 19); “[…] / come i pesci all’inizio del tempo / senza librare se l’acqua ritorna / per bene al principio della fase / a pesare quanto pesò sotto le barche / per tenerle in vita.” (pagina 28); “[…] / io ti ripeterò nei nomi delle cose, / nel fondo del bicchiere / dove mi hai raccolto.” (pagina 63).
Ma è nella poesia iniziale, intitolata “Secondo luce”, che l’autrice introduce i soggetti/temi che si dirameranno, in diversità d’infiorescenze, dal tronco principale della sua poetica, quest’ultima fortemente dialogica. Un secondo luce è la distanza che talvolta gli avvenimenti della vita, repentini e inaspettati, possono porre tra noi e il resto della nostra iniziale esistenza, una distanza enorme, come da qui alla Luna, tanta è la distanza percorsa dalla luce in un secondo, eppure la nostra vita, senza più quel cono d’ombra iniziale, arriva ugualmente a compimento: “[…] Questo è il tempo: una luce di lampi”: “[…] / Questo è il tempo: una luce di lampi, / breve, come il guizzo della terra / e manca, manca il cono d’ombra / dove si nasce, dove un po’ si vive.” (pagina 15)
Quindi il tempo “fa la parte del leone”, ma metto qui in evidenza altri due soggetti/temi che, a mio avviso, percorrono la raccolta:
- L’avvenire delle assenze, nelle partenze e nelle mancanze, e da esse sia il desiderio di attraversare ponti che attraversino le divisioni, avvicinino le assenze, provochino ritorni, sia la scelta di fermarsi all’inizio dei ponti delle partenze, delle divisioni e delle assenze, nel rispetto delle leggi del mondo o delle scelte altrui: “E’ come dirti addio / sopra il cucuzzolo del Mondo / dopo il mare fin dentro / che ci divide al ponte, / al passaggio chiarazzurro della barca.” / […]”(pagina 15).
- La bocca, gli occhi, il volto, e più in generale il corpo come luogo di donazione, il corpo come memoria, tutore, nell’assenza dell’altro/a, dei rapporti e degli amori. La corporeità è qui presentata in una accezione completamente positiva. Il corpo sembra essere il luogo della fiducia, della relazione serena tra due individui, è qualcosa di celestiale “[…] / ma il tuo corpo era celestiale / […]”. Molto bella e significativa la poesia senza titolo a pagina 26: “[…] / quasi sei un movimento di piccoli aerei / attorno l’orbita più lenta delle mie spalle. // Ma se ti chiedo come fai, perché succede / mi dici così: quando è la nascita della luce / e niente è stato ancora toccato / e il cielo s’avvicina un poco al giorno, / sono da te / per farti vedere tutto questo / […]”; a mio avviso, come dicevo, è una delle poesie più belle della raccolta, dalla quale si riconosce la verve di un poeta. Ma di tutto il corpo risalta, in modo evidente, e proposta con una certa regolarità nello svolgersi delle liriche, la bocca, con il suo colore o la sua curvatura (“[…] / Dire addio a te e – prima che sia – / a noi / a tutte le inconsolate vie della tua bocca / alle parole della pioggia sui canali / degli occhi.” Pagina 15; “[…] // All’infinito so che ti affacci sul lato occaso della bocca / e svegli il tempo / […].” Pagina 20;“[…] / quant’è bella la luce ferma / […] / agli angoli degli occhi.” Pagina 41; “[…] / Restituirmi al mare / […] / lì dove ti piaceva inventarmi / le ossa, le curvature della bocca / o un nome che mi hai dato, così / nella tua mente.” Pagina 65).
Ma il corpo è anche il luogo dal quale avvengono le partenze, è la casa che viene abbandonata: “[…] / Io sento, sento solo uno squarcio / di luce, cinque navi che partono / dalle mie costole, / questo sento. Non di più. / […]” (pagina 22). Nell’ultima sezione del libro intitolata “L’ultima nave a partire è l’abbandono”, come in un finale di fuochi artificiali, la Ruotolo, ci regala tra le più splendide illuminazioni poetiche relative al distacco e all’abbandono, a cui ogni cuore umano può, e deve, per necessità, diventare, con il tempo e l’esercizio della pratica, capace di sopportare: “Quel che può va via, / un muretto / il tuo alito libeccio / e così i granuli disciolti / dentro l’acqua. / […]” (pagina 62). “[…] / io ti ripeterò nei nomi delle cose, / nel fondo del bicchiere / dove mi hai raccolto.” (pagina 63).
Nella mia personale lettura posso dire di essere stato molto coinvolto da questa prima raccolta di Anna Ruotolo, quindi la reputo una prova ben riuscita, ma penso che ciò si possa affermare oggettivamente. La scrittura è calibrata, ottimamente inventata, descrittiva quanto basta a raggiungere l’altezza giusta da dove lanciarsi nel tema poetico, elegante, fondata sull’esperienza dei suoi 25 anni, ma di una maturità già avanzata, una scrittura che ben coniuga carattere e dolcezza femminile. Si sa che un poeta appena nato dovrà passare dalla fucina dei critici e della comunità dei poeti, che di silenzi sono spesso i maggiori dispensatori, non certo per virtù ma per negligenza e, talvolta, evidente maleducazione. Auguro alla Ruotolo di trovare pochi silenzi, ma se tali silenziosità la circondassero, sappia che la passione e la fedeltà alla propria vocazione poetica, uniti a una attenta e importante lettura della poesia di altri autori, classici o contemporanei, saranno le “voci” più importanti che nessun critico o poeta potrà sostituire, ma più di tutto il rigore verso la propria scrittura sarà quell’azione che avvicinerà il poeta alla sua più personale voce. In bocca al lupo.
[ Propngo anche, sul libro di Anna Ruotolo, un articolo/recensione di Luca Minola:
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