Ne ho attraversato di strade sentieri piazze
superato monti e mari e laghi paludosi
e soprattutto ne ho articolate di parole
e ne ho ascoltate
ho visto la scostumatezza usata
nel trattarle - la perfidia nel berle
e poi sputarle e c'ho giocato
come con mazze arroventate
pietre - diceva Lui - che segnano più
di pugnali di bastoni di stiletti
Ma quelli - quelli che seggono impettiti
nutrendosi di sangue umano e pelle
quelli dagli occhi luccicanti
e dalle mani lisce
quelli delle armi degli elmetti delle bombe
delle Leggi che colpiscono sul collo
quelli serrati tra di loro
sguardi sbiechi denti in fuori -
quelli mai sono crollati - fronte sudata
dita impaurite o almeno
imbarazzate - labbra sigillate a controllare l'urto
Troppo forti troppo tanti troppo tutti
l'hanno schivate come moscerini
spedendo a volte un messo un loro servo
invitandomi a poetare delle stelle e non di loro
e al mio rifiuto hanno scardinato a una a una
strade montagne mari e monti
e come cani nella sabbia
hanno scavato i miei tesori
Epperò "io" è in ciò che guarda
e nel vederlo sta e dunque è un "noi"
Il canto che intono non è
mia proprietà o mia invenzione
: sulle barche nella cantina dove siamo sequestrate/i
nell'aula buia dove c'hanno rinchiuse/i e malmenate/i
fuori i cancelli dove ci rechiamo ogni mattina
e nei campi sui marciapiedi con la mano tesa
nella folla che danza musiche torve e minacciose
nelle baracche dove ci tocca di passare un'altra notte
nella corsia dove come un sacco c'han gettate/i
nella collera che tutt* proviamo
quel canto è voce che grandiosa sale
sillabando ogni fonema ogni significato
ANNA SANTORO
[Lo sguardo di chi scrive percorre le strade del mondo e si fa parola collettiva in un testo che è insieme "gnomico", teso alla conoscenza, e "civile", ovvero presa di posizione di fronte al (e nel) reale. Le parole sono le armi dei poeti contro le armi dei potenti. E.R.]
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