Il ragno Sa che La lasciai arrivare
Sparì sotto la coltre del cielo ogni abominevole suono del giorno.
Asfissiati. I singhiozzi. E le risa stridule degli uomini.
Inghiottite le litanie della polvere,
intirizzite e livide le ingiurie del mare.
Cantavo la solitudine del cedro sotto pioggia di acredine cerea. Le mie mani erano ruvide e piene di schegge di ruggine.
Erano mani di fabbricatore di tagliole. Portavo una sciarpa di rabbia,
che scaldava le mie grida di disappunto, e il vecchio cappello di mio padre,
che nascondesse le lacrime delle sue lacrime. Sotto le tegole diadri fantasma vegliano i monconi dei loro corpi lignei. Oltre la bava ocra dei lampioni, s'aggirano, aspre, le minacce di spiriti dal volto di pietra.
Che cosa ho fatto per meritarmi QUESTO?!?
Perché lo sguardo di Lei cadesse sul mio viso,
e le sue labbra amare mi raggiungessero?
Stai lontana «Stai Lontana Dal Mio Cuore!»
Ma lei ride, lei vestita di rancori umidi.
NON HAI pietà delle mie ossa rancide?!? . . .
«Hai scelto Tu il destino del dannato»
Cantilena Cantilena della verità vorace
che spolpa le mie parole acide.
Cordogli mistici tra labile ed illecito.
Il ragno Sa che fui io a lasciare
che aguzze dita d'inchiostro
segnassero le mie guance
con tratti guerreschi.
Con aliti fulgidi. E
con passione gravida di luce opaca.
Inghiottite le litanie della polvere,
intirizzite e livide le ingiurie del mare.
Un uomo fa volare in aria le sue perle,
un bambino si nasconde dietro una maschera di rovi.
E la notte succhia via ancora un po' del mio riserbo.
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