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Liberiamoci con le parole

di Cristina Alessandro
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Pubblicato il 25/01/2016 12:47:10

Mi trovo in seria difficoltà a sintonizzarmi sulla frequenza dei rapporti umani dei giorni nostri. Generalmente adoro l’umanità, mi mette allegria. Eppure talvolta inorridisco nel constatarne il degrado, quando degenera con atti di conclamata follia o di inaudita violenza.

Allacciare un contatto con le persone rimane la mia soddisfazione più grande, perché i legami affettivi mi consolano e addolciscono un po’ l’amarezza dell’esistere.

Gli scambi di sguardi, di gesti e parole o gli atteggiamenti che il corpo esprime con il suo linguaggio, ci rendono protagonisti attivi nel maestoso gioco di ruolo che è la vita.

Ma per decodificare o rendere fruibile la comunicazione che si desidera trasmettere, occorre sensibilità, intelligenza e inclinazione a condividere. L’ingrediente imprescindibile per la riuscita di un aggancio rimane per me, sempre e comunque l’onestà, la trasparenza emotiva nel veicolare una sensazione, un sentimento, o ancor meglio un concetto.

Per descrivere un palpito di felicità, un sospiro tossico che esala malinconia o un guizzo inconsulto di rabbia, ci vengono in aiuto le parole che nella loro unicità esprimono un’idea universale. Ma ogni parola dovrebbe essere di chiaro intendimento per entrambe le parti: il mittente e il ricevente. Ora, se osservo e mi faccio portavoce deimisunderstandingpiù frequenti, non posso che sottolineare quanta poca credibilità si attribuisca oggi al “verbo”.

Se partiamo dal presupposto che la realtà è quella che ognuno di noi vuole cogliere o peggio, si vuole raccontare, solleviamo un putiferio pazzesco. Anche non volendo tirare in ballo Kant o Schopenhauer con le loro elucubrazioni sul fenomeno e il noumeno, si rinfaccia il dubbio che davvero il mondo, per come lo percepiamo, sia solo parvenza, illusione e sogno. A separarci dall’immediata cognizione della realtà si va a frapporre un velo che ce la distorce, mitigandola e rendendola non così vera: il famoso Velo di Maya. Ben detto, mi inchino ad un pensiero così profondo e condiviso.

Però se si ritiene che ogni individuo è un mondo e che ogni mondo ruota sul suo asse immaginario, non ci si incontrerebbe mai, non si verificherebbe alcuna collisione e fusione con gli altri, non si inciamperebbe in un abbraccio. In una quotidianità di scambi e approcci, le parole e i fatti rimangono ancora gli unici vettori tangibili, il salvagente gettato al naufrago per approdare agli altri.

Così se dico “bello” sono convinta di trasmettere un messaggio positivo e mi auguro che chi ascolta recepisca esattamente questa sensazione.

Come mai allora in questo presente si sprecano parole, ipotesi, promesse, si seminano illusioni o si declamano solenni verità, sapendo a priori che neppure chi le pronuncia ritiene veritiere e credibili? Io sono della vecchia guardia, quella in cui se una parola era data valeva come un contratto, diventava una questione d’onore. Oggi invece con lo slang nel quale fatico a ritrovarmi mi rendo conto che le parole vengono maltrattate, strattonate di qua e di là come se fossero un’enorme gomma da masticare che si allunga e accorcia a seconda di come le si maneggia. Ecco che anche il significato che le incarna si modifica a guisa del momento, del mood di chi le libera come fiato.

E’ già difficile capirsi chiaramente quando ci si sforza di comunicare, se poi la malizia o l’equivoco sono già a monte, non ci sarà intesa alcuna! Ma forse lo scopo di questo perfido gioco è proprio aspergere incertezza e confusione…

La correttezza nell’esporre sottende l’estrema coerenza di volersi mettere in gioco, senza paura e senza maschera e il coraggio di tener fede a quanto affermato. Le parole non sono bandiere al vento, ma concrete entità che possono pesare come macigni o solleticare come una carezzevole piuma. Una volta pronunciate però restano.

Da ragazza ingenua quale ero, se il mio moroso bisbigliava alla cornetta del telefono fisso:

«Amore, quanto mi manchi!» io mi scioglievo in un brodo di emozione, sicura di aver scatenato nel suo animo un profondo turbamento, un dilaniante senso di vuoto.

La cosa che può apparire sconcertante è che ci credevo sul serio e non è mai passata neppure una volta per l’anticamera del mio cervello, la strisciante serpe del sospetto. Oggi di anni ne ho un sacco di più e se mio marito dopo quasi sei lustri di matrimonio pronunciasse quelle stesse parole, sorriderei con infinita tenerezza continuando a crederci, pur cogliendone l’essenza di pacata e meno ardita sfumatura. Ma non avrei ugualmente motivo di dubitarne.

Se a una ragazza o a un ragazzo il partner racconta qualcosa di sé o fa progetti futuri, senza che l’altro lo pressi o lo induca a pianificare, non vedo perché titubare sull’autenticità dell’intenzione dichiarata.

Ma ne ho sentiti di casi in cui appena dopo essersi giurati amore eterno, ognuno aveva le sue storie, i suoi disegni che non coinvolgevano minimamente la controparte, o più romanticamente l’altra metà del cielo...

Perché allora sprecare tempo, fiato, parole se va ricercato sempre e comunque un senso remoto e secondario in ogni frase o discorso?

Forse nonostante l’età sono rimasta un’ingenua incallita. O forse ai miei tempi i rapporti erano dal vivo, “in diretta”, circoscritti in un ambito ameno, dove ci si frequentava, ci si conosceva bene e risultava più difficile barare con le parole. Beninteso, anche allora si prendevano certi abbagli, ma era tutto diverso…

Nel mondo di Internet dove la cerchia di amici è enormemente più ampia, gli scambi avvengono on line, si flirta sulla chat, ci si eccita a parole, rimanendo nell’ombra. Quando s’innesca il perverso godimento del raccontarsi, del dipingersi al meglio tanto non costa nulla, del fingere di ascoltare con vivo interesse le esigenze dell’altro, magari solo per portarselo a letto, tutto si confonde e si complica.

In questo gioco al massacro, dove le parole e le illusioni di cui sono colorate si sprecano sciatte e senza prezzo, sopravvive soltanto chi è scaltro e avvezzo all’intrigo, ai loschi maneggi mentali, chi tiene al proprio tornaconto. Per gli innocenti, dall’animo candido e schietto, non c’è partita, potrebbero ritirarsi nello spogliatoio già prima del fischio d’inizio.

Ma io continuerò ad amarle, queste benedette parole, a rispettarle con riverenza e riguardo, perché mi sono amiche, mi consolano, mi coccolano e mi rendono libera.

Sanno togliere, audaci, le catene a questa mia anima indomita.

 


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