Non conosco il tuo nome,
ma ti scrivo egualmente questa mia perché non posso proprio fare a meno di provare a spiegarti, fuori dalle polemiche. Ti chiedi perché io - etero, tradizionalmente sposata e madre - prenda tanto a cuore una faccenda che non è mia, perché non sia schierata dalla “mia parte” che, poi, è quella che consideri tua.
La risposta è molto più semplice di quelle offerte da scienza, teologia del dissenso o politica.
Da quando le, pur non rinnegate, battaglie per l’emancipazione del Paese e la mia appartenenza a una comunità di base mi delusero - così profondamente da farmi decidere di vivere fuori da ogni movimento o partito o chiesa - scelgo le mie cause seguendo la coscienza e il sentimento.
Quindi, sono schierata a chiedere parità di diritti per le coppie di fatto, sia etero sia omosessuali, perché ne frequento alcune e le ho viste crescere in amore e consapevolezza, superare le medesime difficoltà che ho fronteggiato io stessa, andare oltre il “limite” della convivenza per scegliersi, rinnovando ogni giorno - e non per paura di “far peccato” - la promessa di rimanere una sola cosa. Semplicemente, le ho viste amarsi.
Però, le ho guardate anche dibattersi - di più se omosessuali - fra molti più lacci di quanti (eppure sono già tanti) abbia dovuto tentare di sciogliere io. Infatti, ho potuto baciarmi in pubblico, non ho sperimentato la necessità di nascondere il mio stato civile per mantenere il lavoro o affittare una casa, ho - con diritto - avuto notizie di mio marito dal chirurgo uscito dalla sala operatoria e, nel caso mi fossi trovata nella condizione di farlo, nessuno avrebbe avuto da ridire se il mio coniuge avesse riconosciuto, come suo, un mio eventuale figlio.
Allora, ti chiedo: ti pare poco aver avuto tutti questi diritti a disposizione? E ti domando: perché, in nome di Dio, a loro devono essere negati?
Mi dici: “Sono malati e vanno curati!”
Ma io vivo con loro e non ravvedo alcuna patologia. Li frequento assiduamente, eppure non ho divorziato per scegliere di convivere né mutato orientamento di genere, prova evidente che non c’è contagio.
Mi dici: “Sono diversi!”
Perché tu e io non lo siamo? E non siamo diversi da circa altri sette miliardi di persone, individuo in più individuo in meno? E per fortuna: se fossimo tutti uguali saremmo cloni e non persone.
Mi dici: “Sono corrotti!”
Ma io li vedo lavorare con lena e passione, pagare le tasse, rispettare le leggi, compiere atti di solidarietà, fare volontariato, prendersi cura del partner nella malattia e nei rovesci economici… dov’è la corruzione? Nel loro letto? Sono adulti, consenzienti e si amano.
Mi rispondi: “Va bene, seguano pure la loro natura ma rimanendo casti.”
E tu chi sei per spegnere la loro passione? Dove lo hai letto che hai facoltà di evirare o infibulare psicologicamente e moralmente qualcuno? Perché tu hai diritto al tuo corpo e loro non possono liberamente godere del loro?
Ma torniamo al punto. Questa è la mia causa perché, se amo, non posso abbandonare l’amato o l’amata a combattere in solitudine i martiri dell’esistenza.
Ti faccio un esempio: sono madre e, per motivi che qui non spiego, vivo con angoscia il pensiero di quando non ci sarò più a tutelare il figlio. Però, mi consola il fatto che, se dovessi andarmene ora, ci sarebbe chi, a giusto titolo, continuerebbe a fornire le cure e l’amore che oggi sono anche mie. Allora, quell’articolo di legge che tanto ti disturba, per me è fondamentale.
Pensa a quella madre o quel padre che vorrebbero fosse la persona che amano e con cui convivono ad assumersi, in loro assenza, il compito di provvedere alla prole. E pensa, anche, che a loro è negato questo diritto.
Io me la immagino, sai, una come me che, spenta la luce, si rotola nel letto senza trovare pace perché pensa che - se all’indomani non dovesse risvegliarsi - verrebbe a prendersi sua figlia quella sorella o quella madre che l’hanno rinnegata e che la dipingerebbero all’orfana come una degenerata. Oppure, vede entrare il cugino, quello delle cartoline a Natale e al compleanno, unico parente, arrivare e prendersi figlio e casa, buttando fuori la compagna, perché colei con la quale ha condiviso il pane, il tetto e il letto non è nessuno, per legge. Nella più rosea delle ipotesi, seguirebbero battaglie legali e, magari, la soluzione sarebbe una bella casa famiglia.
E quella casa famiglia sarebbe perfetta anche se monogenere.
Che c’entra?
Abbi pazienza, che te lo spiego.
Molte di queste strutture sono gestite da ordini religiosi e questi sono monogenere. Quindi, tu che mi dici che un bambino ha bisogno di figure genitoriali maschili e femminili, non ti scomponi a pensare che così crescerebbe, sino a 18 anni, solo con tutori o solo con tutrici. Scusa: ma allora perché tanti estranei dello stesso sesso dovrebbero essere custodi migliori di due coniugi omosessuali?
Ci sarebbe ancora tanto da dire ma, ahimé, so che stai scuotendo il capo.
Allora, basta con riflessioni, confidenze o sentimenti.
Resta solo un’affermazione: tu, in nome di Dio, non vuoi riconoscere loro pari diritti e io non riconosco a nessuna confessione di fede la podestà di interferire pesantemente nella giurisprudenza di uno Stato Democratico o presunto tale. Lo Stato Italiano è uno stato di diritto e non può essere normato da quello canonico.
Rispetto la scelta di orientare la tua esistenza secondo gli indirizzi morali della tua chiesa ma non intendo permettere che tali indirizzi debbano “costringere”, per legge o per sua assenza, la comunità civile eccezion fatta per quelli che - come i comandamenti riguardanti l’omicidio, il furto, la malversazione, la mendacia, ecc. - fanno coincidere il “peccato” con i principali crimini, definiti tali da qualsiasi corpus giuridico che si rispetti.
Fine!
Quando sarai in piedi in una piazza a pregare perché cessino sfruttamento dei deboli, razzismi, rifiuto degli ultimi, oscene dittature, distruzioni del Pianeta e quanto esso contiene, mi troverai al tuo fianco.
Oggi mi vedrai dall’altra parte della tua barricata.
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