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Racconto a più voci - rivoluzione tunisina #SaveAshrafFa

di Andrea Maffei
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Pubblicato il 19/01/2016 13:49:30

Mohammed Ben Kilani  è un tunisino di trentasette anni, sposato, con figli.

 

Tutto quanto è iniziato è difficile dire con esattezza quando tutto questo sia incominciato, per dire il vero, è difficile spiegare che cosa sia una rivoluzione, è difficile comprendere, per chi non era lì, è impossibile forse sapere davvero, che cosa pensino i giovani di piazza Tahrir, insieme, con le loro bandiere, cantando, gridando, è difficile spiegare che cosa dentro il cuore si provi quando il coraggio dopo anni dopo anni intieri riesce a sconfiggere la paura.

Mohamed Bouazizi, dicono alcuni, tutto quanto è incominciato con lui, venditore ambulante al quale la polizia aveva sequestrato il carretto aveva sputato in faccia qualcuno dice, è incominciato tutto quanto con lui quando si è cosparso di benzina ed incendiato davanti al palazzo del governatore come a voler dimostrare di preferire non vivere piuttosto che vivere oppresso, lo capiscono tutti, niente del genere dovrà più accadere, è per questo che i ragazzi sono in piazza che scrivono con i loro computer, il tempo è venuto bisogna alzarsi insieme combattere, forse tutto quanto è incominciato con Mohamed Bouazizi sale in alto il fumo della sua carne che brucia ed il vento lo prende per mano lo soffia lontano ciascuno può adesso sentirne il profumo capirne la forza.

In Tunisia, dicono, tutto quanto è iniziato forse molto prima, forse sono i prepotenti ad incominciare la rivoluzione, è il dittatore il seme della rivolta, lo schiaffo dell’oppressore già intrinseca porta quella che un giorno sarà la giustizia, ciò che un giorno lo castigherà.

In Tunisia son da anni abolite le libere elezioni, non vi è alcuna libertà di stampa, ed internet è censurato, la corruzione è un cancro che divora il Paese da dentro le viscere. In Tunisia non esistono i diritti umani. E’ per questo che i ragazzi sono in piazza, è per questo che combattono, che gridano, Zine El-Abidine Ben Alì, si chiama il dittatore, morte al dittatore, gridano, lui che proprio ieri è andato in televisione ha promesso posto di lavoro per tutti e ricchezza e libertà ai giornali ma è troppo tardi oramai deve andarsene oramai deve espiare le colpe che in più vent’anni di governo ha maturato ormai la gente scandisce il suo nome dicendo, stiamo venendo da te.

Spara sulla folla la polizia l’esercito, certe volte gli agenti si uniscono ai rivoltosi, certe volte vengono da loro uccisi.

Mancano pochi giorni, forse qualche ora appena, in Tunisia, manca ormai un niente, alla libertà.

 

Mohammed Ben Kilani è un pilota d’aereo.

 

Scappa il dittatore, è vile, e dalla sua finestra oltre i vetri osserva quel Paese che è stato il suo che ha assassinato, il Paese dal quale ora vuole fuggire, ha deciso, per non ritornarci mai più.

Prima di lui però già sono pronti alla partenza alcuni suoi familiari, per l’esattezza la moglie, Leila Trabelsi, si chiama così, con i due fratelli e relative consorti. Ben Alì resterà ancora qualche ora a palazzo, per poi andarsene, forse verso Malta o in Arabia Saudita. Infila di fretta in una borsa abiti e denaro, è difficile dire se provi vergogna, è difficile sapere se ancora ci pensi, a quello che ha fatto, forse non pensa a niente, soltanto a non perdere tempo.

Intanto adesso i cinque fuggiaschi, la moglie del presidente in testa, si dirigono verso l’aeroporto, lasciandosi alle spalle ventitré anni di regime, ed ora una guerra civile, con decine di morti, sessantasei per l’esattezza, che diventano meno della metà per le fonti ufficiali, e si lasciano indietro povertà, sofferenza, polvere.

Sono in una specie di pullmino bianco, americano. Solca il deserto a velocità sostenuta pattinando sulla sottile striscia scura che è la strada per l’aeroporto, ed adesso forse per la prima volta Leila Trabelsi ha paura, e con lei gli altri, ed ogni volta che incrociano un’auto hanno il terrore di essere riconosciuti, si nascondono dietro ai vetri oscurati.

Qualcuno nota che ogni macchina sembra andare verso Tunisi, nella direzione opposta alla loro, come se nessuno volesse mancare, far mancare il suo aiuto.

Si chiedono perché tutto questo sia capitato. Perché d’un tratto la gente si sia ribellata, quella medesima che sempre li aveva temuti, ora li cerca li vuole uccidere. Si chiedono se questa sia la fine, ed ognuno intimamente teme di sì, qualcuno dice, arrogante, che è solo un arrivederci, e che il presidente sarà in grado ancora una volta di schiacciare i rivoltosi infami.

Il volo prescelto per la fuga è il 750, Tunisair, destinazione Lione, Francia.

L’aereo è già pronto al decollo, decine di persone a bordo si domandano il perché di questo ritardo. Viene fermato per far salire i cinque, che sono scesi dal pullmino col quale erano arrivati ed ora aspettano sulla pista d’atterraggio, sole africano sulle loro teste.

E’ uno strano dipinto. Cinque personaggi, in piedi, veste chiara. Davanti a loro l’enorme aereo, bianchissimo, si staglia con le sue ali sulla nera lingua d’asfalto. Il cielo, ricamato di nuvole, azzurro, luccicante, contrasta col rosso col giallo della sabbia dorata. La viscerale trasparenza dell’aria, la sua consistenza, in queste latitudini.

Passa il tempo, ma il velivolo non si apre.

Giù alcuni cominciano a protestare, perché non c’è tempo da perdere, le autorità devono scappare il più in fretta possibile, si sa, e qualcuno già è fuggito, e la first lady intanto si spazientisce, e chiede perché quel maledetto affare non si apra, e quasi il vento che soffia all’orecchio le sussurra le grida delle piazze, e delle strade, e le sente avvicinarsi, sempre più velocemente - sempre di più.

La notizia a terra si diffonde veloce.

Il pilota si rifiuta di farli salire a bordo, dice, viva la rivoluzione.

 

Mohammed Ben Kilani è un eroe.

 

I passeggeri sull’aereo sono tutti in piedi a applaudirlo.

Sceso a terra verrà portato in trionfo, Mohammed Ben Kilani,  nascono su internet gruppi in suo favore, ma non ho fatto niente, dice lui, soltanto il mio dovere, questo è il nostro Paese, questa la nostra rivoluzione, la nostra occasione, l’ultima, forse.

Tunisi oggi brucia, e il fuoco sembra abbracciare la città intera, e l’aria che ancora soffia lo attizza e lo fa più forte.

Si sentono spari, e urla. Lo scoppiettìo delle fiamme. Il fumo sale verso il grande sole ed ora è visibile anche da lontano, ed è una speranza per ogni popolo oppresso, ovunque. Lo vedono in piazza Tahrir, in Egitto, e lo vedono dalle finestre delle loro case le donne arabe con il burqua, e a Teheran, e a Tripoli, e in Algeria e in Iraq e quel fumo cresce e svergina il cielo sembra come segnare una strada, da dovere seguire, come una stella cometa, come un presagio.

Le truppe un tempo fedeli al regime scappano nella squallida fuga che è dei vigliacchi, e ne siano consapevoli sempre, da oggi in poi, ovunque si trovino e in ogni momento, nel luogo in cui più si credono al sicuro, ci pensino di notte nei loro letti, e quando la sera  baceranno i bambini, prima di andare a dormire, Zine El-Abidine Ben Ali il tunisino, Mohammed Hosni Moubarak l’egiziano, MuammarGheddafi il libico, Bashar Hafiz al-Asad il siriano, l’iraniano Mahmud Ahmadinejād e Robert Mugabe dallo Zimbawe, e tutti quelli come loro, fino al Cremlino, fino all’Arabia Saudita, fino al confine del mondo, fino in Cina,  non ci sarà pietà per chi per il popolo non ne ebbe mai: che la paura possa accompagnare ogni singolo loro passo.

C’è chi dice sia stato Allah stesso a guidare questa rivoluzione. C’è chi dice che non servirà a niente. C’è chi dice da oggi in poi nulla sarà più lo stesso.

In serata Ben Alì e famiglia riusciranno comunque a scappare, ma la guerra è finita, e ora bisognerà ricostruire, tutti insieme, una patria libera.

 

Mohammed Ben Kilani è difficile dire con esattezza chi sia – che per sempre il mondo ne porti memoria – è un uomo giusto, è la personificazione stessa della rivoluzione, un uomo coraggioso.

 

 


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