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Amore oltre le cose

di Giuseppina Vanessa Sata
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Pubblicato il 12/01/2016 16:17:25

Un giorno di aprile la mia vita si era incrociata a lui. Un giovane viandante ben vestito e dai magnetici occhi scuri.
Il bosco attorno al villaggio profumava di selvatico eppure fra querce, abeti e noccioli fiorivano anche fiori delicati come la malva dal colore vispo e dei magnifici cespugli di rose. I fiori più delicati ed eleganti al mondo, a mio parere.
Il fruscio fra i rami provocato da qualche scoiattolo o dagli uccelli che si occupavano dei loro nidi era l'unico rumore. Un rumore soave per chi, come me, ama la natura.
L'ho visto allora. Cavalcava un magnifico cavallo dal manto di un grigio argentino. I suoi capelli ondeggiavano al vento con un movimento selvaggio e risaltavano scuri su quel mantello azzurro.
Lo guardai estasiata.
Cavalcava proprio nella direzione in cui mi trovavo.
Pensai alle tante storie che narrava mia sorella. Se quello era un principe delle favole e dei cantici, non poteva non essere il mio principe. Pensai che avrei fermato il suo incedere e gli avrei detto di portarmi con lui ovunque egli volesse.
Si fermò prima che facessi o dicessi qualcosa.
Incrociai i suoi magnetici occhi scuri.
Bisbigliai un saluto e lui mi sorrise.
Era bello. Non posso negarlo. Il suo viso era fine e vantava dei lineamenti che addolcivano quella mascella molto mascolina. Da vicino, però il suo sguardo aveva qualcosa di rude che mi fece desistere dal chiedere promesse allo sconosciuto.
Mi colpì la sua voce dura e la sua domanda. Mi aveva chiesto cosa fossi stata disposta a dare per salvare la cauta sacralità dei boschi. Esitai, indecisa su cosa dire e sul perchè mi ponesse una simile domanda, dopodiché sussurrai la verità.
Io amavo i boschi e la serenità che essi emanavano. Avrei dato tutto persino la vita pur di vederli sempre in quella magnificenza.
Mi sorrise. Sembrava felicemente sorpreso della mia risposta.
Stavo per chiedergli il motivo di quella domanda quando lui scosse le briglie e cavalcò via.
Il vento sembrava aumentare. La mia veste di tela grigia svolazzava scoprendomi le gambe e, ricordo con chiarezza, che aumentai il passo camminando verso il villaggio.
La pace e il silenzio del bosco divennero inquietanti. All'improvviso non si udiva più un solo fruscio di rami, un cinguettio, nemmeno un animale in movimento. Non avevo mai notato quanti rumori provengono dagli animali, anche i più insignificanti.
Il mio cuore prese a palpitare. Sentivo che qualcosa non andava.
Troppo silenzio.
Anche quando si poteva già scorgere le prime case del villaggio non riuscivo a percepire nessun suono. Nemmeno le voci dei bambini che giocano a rincorrersi o i colpi di martello sull'incudine da fabbro del vecchio Henry Breth.
Più mi avvicinavo più sapevo che era accaduto qualcosa.
Vidi subito il fabbro riverso sull'incudine. Brutalmente assassinato. E per terra all'angolo fra il fioraio e la casa di un uomo vedovo c'erano due donne ormai prive di vita.
I loro occhi vitrei sembravano scrutarmi mentre singhiozzando passavo al loro fianco.
Tremavo.
Altra gente giaceva per terra. Io ero confusa e spaventata, avanzavo tremando cercando invano di trattenere i singhiozzi.
Quando rividi il principe tornare verso di me sapevo già che nei suoi occhi avrei visto qualcosa di diverso.
Era sporco di sangue. Il suo sguardo era freddo e spietato.
Indietreggiai.
Ora lo temevo.
Mi parlò con voce ferma. Si presentò come uno spirito dei boschi sacri di Yestir, ai confini nord del villaggio, e mi narrò che i miei compaesani avevano osato cacciare le cerve in quelle zone, spiegando poi che gli spiriti sacri amano prendere forme animali.
Ripeteva di aver solo vendicato le sue sorelle e i suoi fratelli. Continuava a precisare che gli uomini non avevano rispetto per gli spiriti dei boschi, né per gli animali che alleviavano la loro solitudine.
Capivo cosa provava ma il dolore di aver perso tutti i miei cari, la gente che conoscevo si attanagliò nella mia anima. Scossi la testa. Avrei tanto voluto dire qualcosa, forse urlare.
Non un suono uscì dalle mie labbra. Era come se quello sguardo cupo volesse tormentarmi.
Chinò il capo e cavalcò via.
La vendetta dello spirito aveva lasciato in me lo stesso vuoto che i miei compaesani avevano lasciato in lui.
Ora eccomi, l'unica sopravvissuta a tanta crudeltà. Vivo nel bosco perché nel villaggio troppi spettri del passato mi farebbero soffrire, ogni sera vedo lo spirito dei boschi sacri che mi osserva da lontano. Forse ha imparato che la sua vendetta ha fatto male all'unica persona che ha risparmiato o magari è l'unico superstite della sua specie e vede in me l'amore per qualcuno simile a lui.
Entrambi soli. Entrambi tristi. Entrambi che sentiamo sollievo nella presenza dell'altro nonostante dovremmo odiarci. Entrambi che ci accontentiamo di scrutarci da lontano, senza avvicinarsi, in silenzio, in contemplazione dell'unica cosa che c'è rimasta.
Una cosa abbiamo in comune: entrambi amiamo guardare l'alba sorgere fra i folti rami degl'alberi nel cielo vermiglio.

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