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L’identità di genere nell’umorismo pirandelliano

Argomento: Letteratura

di Giuseppina Bosco
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Pubblicato il 11/07/2022 12:27:16

Pirandello è un autore moderno e di respiro mitteleuropeo, in quanto nella sua poetica si trovano tematiche vicine alla filosofia tedesca e all’arte espressionista.

Pirandello infatti, pur essendo siciliano, nativo di Girgenti e appartenente ad una famiglia di commercianti di zolfo, poté studiare prima a Palermo e poi Roma e a Bonn, da cui trarrà un arricchimento decisivo per la sua formazione culturale: inizia la traduzione delle “Elegie romane” di Goethe, e nel marzo 1891 si laurea in Glottologia con una tesi sul dialetto di Girgenti, dal titolo “Suoni e sviluppi di suono nella parlata di Girgenti”.

Nel frattempo aveva già pubblicato delle opere, come il poemetto “Pasqua di Gea” del 1891 e poi, sotto l’influsso di Capuana, si dedica alla narrativa, con la pubblicazione del romanzo “L’esclusa” del 1901.

Ritornato in Italia, la sua vita è fervida dal punto di vista culturale, pubblica diverse opere e ha legami con alcuni scrittori e giornalisti e soprattutto con Luigi Capuana, mentre dal punto vista individuale e affettivo è più travagliata, dato che Pirandello tronca il fidanzamento con la cugina Lia.

Pertanto, a causa della continua precarietà economica della famiglia, lo scrittore decide di contrarre un “matrimonio di surfaro”, un legame cioè tra famiglie che si dedicano al commercio dello zolfo per tutelare i reciproci interessi: così, nel 1894 sposa Antonietta Portulano. Nello stesso anno pubblica la raccolta di novelle “Amori senza amore”. Ben presto però, mal sopporta la distanza intellettuale che lo separa dalla moglie, ingenua e incolta, e che inizia a manifestare i primi segni di fragilità psichica. E quando poi la moglie apprende la notizia dell’allagamento della solfara di famiglia, viene colta da una paralisi e successivamente sarà rinchiusa in manicomio. Forse proprio a causa di questa difficile situazione familiare lo scrittore rappresenta nelle sue opere il tema della famiglia intesa come trappola, così come anche la follia sarà una tematica sempre presente nella sua poetica. Però, da scrittore moderno, è legato a molte problematiche esistenzialiste e soprattutto alla scissione dell’individuo tra essere e apparire, tra vita e forma, cogliendo spesso l’assurdo e il caso che condizionano l’esistenza dell’uomo.

In una società che nei primi anni del Novecento era in pieno mutamento, non poteva sfuggire al nostro conterraneo il problema dell’emancipazione femminile. In effetti un’attenzione verso questa tematica è costituita dalla recensione di Pirandello al romanzo “Una donna” di Sibilla Aleramo, pubblicata su “La gazzetta del popolo” il 27 dicembre 1906. Si tratta di un romanzo autobiografico, che la scrittrice pubblica con il fine di far conoscere, soprattutto al figlio, la scelta necessaria e inevitabile che lei fu costretta a compiere, quale l’abbandono del tetto coniugale per sottrarsi alle violenze fisiche e psicologiche di un marito rozzo, incolto, violento e legato a stereotipi maschilisti: le impediva di leggere, scrivere articoli e avere relazione culturali con altri uomini. Unica gioia per la scrittrice fu  appunto la nascita del figlio Walter, ma quel senso di soffocamento causato dall’essere reclusa in un paesino del Centro-sud, fortemente legato allo stereotipo dell’uomo “pater familias” e della donna “angelo del focolare” determinò il tentativo di suicidio dell’Aleramo. Successivamente riuscirà a trovare la forza di una possibile liberazione nella scrittura.

Si trasferisce così a Roma, diventando direttrice della rivista “L’Italia femminile” su cui scrivevano studiosi e intellettuali del calibro di Ada Negri, Giovanni Cena, Maria Montessori, e coordina le attività del movimento femminista: si batterà quindi, insieme ad altre donne, per rivendicare il diritto di voto femminile e la parità tra i sessi.

Tuttavia, in quella recensione Pirandello giudica il romanzo di Sibilla Aleramo da un’ottica più maschile che femminile;

lo scrittore agrigentino da un lato esprime ammirazione per la scrittura di Sibilla Aleramo, ma, partendo dal principio dell’arte umoristica, per cui essa non deve rappresentare la vita, giudica in modo negativo l’autrice per aver ridotto a materia di romanzo la sua vita personale e avere trasmesso, mediante l’opera, valori e ideali quali il rispetto della persona umana, dell’emancipazione della donna, mettendo in secondo piano il suo ruolo di madre.

In Pirandello infatti, prevale una visione della vita volta alla relativizzazione di tutti i valori, in cui l’uomo non esiste più nella sua interezza, ma è frantumato in molteplici rappresentazioni. Impossibile voler trovare tale finalità nell’opera di Sibilla Aleramo, che attraverso il suo romanzo intende far prendere coscienza ad un pubblico di lettori, sia donne che uomini, borghesi e non, della marginalità della condizione femminile e del mancato riconoscimento dei suoi diritti  in una società legata ancora a codici patriarcali di discriminazione sessista.

Pertanto, con il romanzo “Una donna”, l’autrice intende spingere le istituzioni governative e la classe politica del tempo a farsene carico. In realtà, in Pirandello la lettura di questo romanzo ispirerà la realizzazione di un’opera sull’emancipazione femminile, dal titolo “Suo marito”, in cui il personaggio di Silvia Roncella, proiezione dello scrittore siciliano, riesce ad imporsi con la sua arte creativa in un ambiente dominato da scrittori di sesso maschile, diventando consapevole del suo talento di artista. Lei è una donna semplice, sposata a Giustino Roncella (nato Boggiolo) ed ha una grande dote, quella di saper scrivere, ma che avverte con un senso di colpa, come se fosse per questo meno virtuosa, visto che nello stereotipo maschilista una donna scrittrice trascurerebbe le cure domestiche. Il marito, invece, per niente infastidito dalle doti della moglie, diviene anzi il “promoter” dei romanzi e delle novelle di Silvia, che fa tradurre in tedesco, ricavandone dei buoni profitti.

Lei però, quando prende coscienza del fatto che il marito considera la sua arte una fonte di guadagno e speculazione, attraversa una crisi di ispirazione e non è più in grado di scrivere.

La Roncella in realtà prende coscienza di essere un semplice oggetto delle aspirazioni e ambizioni del marito quando si trasferisce, per riprendersi dal parto, nelle montagne della Val Susa, e precisamente a Cagiore, paese natale di Giustino, venendo accudita dalla suocera.

Lì ha una rivelazione, quella di essere una vera scrittrice.

La svolta interiore di Silvia è il frutto della tranquillità di quel luogo e del contatto con una natura così pura, fonte di emozioni: ammirava quelle nuvole e quei monti <<che sembravano ora languide […] ora tonando e lampeggiando assalivano quei monti con furibondi impeti di rabbia>>.

In questa cornice naturale lei sperimenta ancora di più l’epifania dell’assoluto, nella quale si rivela la sua vocazione letteraria,. Pertanto, consapevole del proprio genio artistico, non vuole più ridursi a oggetto delle ambizioni del marito che vuole renderla una macchina produttrice di opere, così Silvia si rimpadronisce di se stessa e delle sue doti.

 La sua ribellione coincide quindi con l’allontanamento dal marito per abbandonarsi successivamente ad una relazione con Maurizio Gueli, il quale invece ha sempre creduto nella sua arte.

Pirandello in realtà in questo romanzo non è uno scrittore “femminista”, in quanto la protagonista Silvia Roncella, la cui interiorità è ben delineata nella seconda parte del romanzo, costituisce il suo alter ego, in quanto la donna  rompe con la maschera della madre amorosa, subordinata all’uomo, per diventare una scrittrice libera di esprimere tutta se stessa nelle sue opere.

Un altro piano di interpretazione è legato all’analisi del rapporto tra il marito e le opere composte dalla protagonista, in quanto Giustino Boggiolo rappresenterebbe quel mondo ridicolo e vuoto dei salotti intellettuali e di tanto giornalismo critico che alluderebbero alla mercificazione dell’arte, divenuta prodotto di consumo per un pubblico borghese mediocre e incolto.

In effetti, a rendere interessante il personaggio di Silvia Roncella è la chiave umoristica attraverso cui viene presentata la sua figura che, riconquistata la sua autonomia, è riuscita a smascherare l’io egocentrico maschile del marito e dell’amante Maurizio Gueli. Entrambi rappresentano infatti quel fallimento superomistico che si erano costruiti, all’ombra delle proprie compagne: il Gueli, che avrà paura di vivere pienamente la relazione con Silvia, tornando dalla vecchia amante, il marito  che invece subirà la solitudine a causa del suo goffo arrivismo; essi sono l’emblema del loro imploso narcisismo: una sorta di beffa che Pirandello attua di quell’ideologia di virile mascolinità che il ventennio fascista imporrà, irridendo quell’immaginario femminile primonovecentesco in cui la donna veniva descritta come femme fatale, divoratrice dell’energia vitale maschile, arrampicatrice sociale, ballerinetta goffa e ammaliatrice dai comportamenti isterici, madre arcigna e snaturata  oppure come figura materna, protettiva e rassicurante.

                                                                  Giuseppina Bosco

 

  

 

 

 

 

 

 


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