Fabellae (Aipsa ed. 2006), la seconda raccolta poetica di Bianca Mannu, affacciatasi allaribalta letteraria senza tanto rumore, è tra le più significative di tuttequelle venute alla luce nella prima decade di questo confusionario terzomillennio, popolato sempre più, in ogni angolo del mondo reale e di quellovirtuale, da innumerevoli e prolifici sedicenti poeti, che inseguono belleparole in una continua girandola, dove non si celebra la poesia, ma unicamente il trionfo di un devastante nulla.Da questo calderone il libro di Bianca si distingue a prima lettura e siallontana anni luce imponendosi all’attenzione dei lettori più esigenti e dellacritica più rigorosa.
Ѐ unlibro sui generis e ciò che lo rendequasi unico è il linguaggio scelto dall’autrice. E dico scelto perché ritengo indubbio che una scelta sia stata fatta eponderata. L’autrice conosce bene i meccanismi che portano ad una scritturapoetica lineare e semplice e sa farne uso, quando vuole; per Fabellae però ci propone una lingua non alla portata dichiunque, ma per addetti ai lavori, anzi di più, per palati raffinati, perchéfa largo uso di parole poco comuni, spesso attinte dalla tradizione letterariaclassica, o termini molto specifici, chesi compiace di ricercare con dovizia quasi maniacale e riesce a collocare nella frase poetica con maestria.
Nerisulta quasi una nuova lingua, sconosciuta ai più, ma dal livello dicomplessità e di raffinatezza raggiuntosi evince la giusta cifra sullapadronanza del mezzo espressivo e sul possesso di un vasto panorama lessicale,che la poetessa manipola con estrema abilità. Una forte e consolidata coscienzadi sé e del suo ricco mondo interiore la trascina spesso verso mete sempre piùlontane e ardue, per cui a volte s’intuisce la difficoltà nel procedere, ma ilcontrollo degli elementi della frase poetica, pur interrotta spesso daincidentali, non sfugge mai.
Leisa che anche i più esperti e colti avranno bisogno di essere affiancati da undizionario per decifrare il suo linguaggio … e non se ne preoccupa. E questa consapevolezza si percepisce e dà unvalore aggiunto alla raccolta.
Questascelta, per quanto meditata e ponderata, potrebbe sembrare comunqueanacronistica e insensata, ma non lo è affatto, perché la poetessa riesce astendere su ogni testo un velo di sottile ironia, sapientemente dosata, che nealleggerisce i pesi e ne giustifica anche le esagerazioni più sfacciate.
Nonè una poesia immediata quella di Bianca Mannu; è necessaria un’allenata testapensante, un attento esploratore, per cogliere appieno pensieri, immagini, emozionie metafore che pur zampillano effervescenti nelle sue pagine, conferendo altesto una carica esplosiva inconsueta.
Lasua è una poesia colma di materia, di concetti ed atmosfere, una poesia doveanche l’aspetto formale, nella struttura delle liriche, assume un’importanzarilevante e persino lo spazio tra i versi partecipa al canto e si animariempiendosi di contenuto.
Isuoi versi sono un crogiuolo di filosofia e poesia. La poetessa diceapertamente di preferire la poesia allafilosofia, ma è un’affermazione che appare un po’ contraddittoria, in quantotutta la raccolta trasuda di filosofia e senza di essa la stessa poesia che nescaturisce non avrebbe il vigore e la corposità che la contraddistingue, perchéin essa si aggrappa come ad una roccia, da essa trae linfa e sussistenza.
Forsetale preferenza è limitata solo ai momenti in cui avverte “urgenza diconsolazione” e la poesia certamente si presta meglio a tale compito, poichégli elementi che concorrono a determinarne l’essenza hanno, dalla notte dei tempi, accertate virtù terapeutiche e di conforto; forseinvece sono mutati con la maturitàvalori e concezioni che si davano per definitivi. Comunque sia, ormai in lei ilprocesso per arrivare alla poesia passa sempre attraverso gli ingarbugliamentidei viaggi mentali in mondi dove l’astrazione, filosofica o religiosa, la fa dapadrona ed ha creato un substrato sedimentato su cui poggeranno ogni suo futuropensiero, ogni futura e profonda emozione, ogni recupero di memoria.
Conoscendolapersonalmente posso attestare che anche il suo linguaggio del viverequotidiano, pur non ignorando la strada della semplicità, spesso sceglie dipercorrere strade più complesse dove lessico e pensiero, fortemente infarcitidi filosofia, poesia e anche politica, risultano difficili da decodificarenell’immediatezza e pertanto potrebbero scoraggiare ogni tentativo d’approccio.
Bastapoco però a infrangere la barriera: un’applicazione attenta nel decifrare e unavoglia di conoscenza o di sano confronto e si apre ai nostri occhi un mondosconfinato da scoprire, strade e sentieri da esplorare in ogni angolo, in ognianfratto.
Forsetraspare in lei ogni tanto anche la volontà di distaccarsi da tutto questobagaglio culturale e linguistico, ma ciò non implica la necessità dell’impresa,poiché la gestione del tutto, è condotta con competenza e disinvoltura e portasempre a risultati dinamici ed efficienti.
InFabellae però non solo filosofia e poesia, a volte si sentein alcuni versi anche il bisogno impellente di un’entità religiosa solida chepossa fare da guida ed appare evidente una ricerca in tal senso “sulle traccedi un dio” che però si nega o addita mete cupe ed evanescenti, aggiungendo alloscompiglio del “pellegrino claudicante” una forte dose di afflizione.
Abbiamonelle pagine di questo libro un essere in cerca di un porto quieto non ancoraidentificato, un’anima meteoropatica che, pur prendendo le dovute distanze daogni tempo e da ogni tentativo, seppur velato, di condizionamento, vede tuttociò che sta al di fuori di sé come una forza, che si manifesta spessonell’avvicendarsi ineluttabile delle stagioni e che può sovrastarla determinandoil suo modo di essere. Quando questa forza risulta impregnata di energianegativa lei si difende da tutto e da tutti come può, anche semplicemente chiudendo una tenda per rifugiarsi dentro disé, in un mondo fatto di ombre.
Nienteforse le resta da condividere in un mondo mortificato dalla insensatezza edalla nefasta cattiveria umana, che ha offeso e bruciato il suo desiderio “diun mondo che non c’è”, ma anche il viaggio nel suo “didentro” le risulta infinepoco allettante: solo un tuffo in un fastidioso mare di malinconia.
Un’animacomunque inquieta quella di Bianca; un’inquietudine a trecentosessanta gradi,palpabile anche e soprattutto in quei versi che tentano di superarla, a voltecon una delicata e sottile ironia, altre volte con parole provocatorie edesibizioniste.
Anchel’esperienza amorosa, che si delinea nella seconda sezione (Sepulta Venus), ma s’intravede o si ripropone anche in altre, appare travagliata e aggiunge scompiglio alsuo malessere. Già il solo titolo ci fornisce indicazioni precise,inequivocabili.
Vorrebbeessere “ terra che cede alla pioggia il suo tiepido grembo” e attendel’irruenza del vomere; vorrebbe spalmare di miele il pane e la fatica del suouomo e, invece, si rende conto che il miele è già finito e che lei, ape ancorapronta a tentare per lui il suo volo più alto, in realtà è stata già uccisa daun crudele “cuore di tenebra”, ancor prima di essere nata in quel cuore.
Eppurele sarebbe bastato poco, un piccolo lagotranquillo dove galleggiare o un campo di fiori dove posare le sue ali leggere, ma è un cuore “che esiste - senza vivere”, un cuore di sasso quello che sitrova a fianco e niente di buono, di bello, di vero potrà mai brillare dentroquel sasso.
Neisuoi confronti si sprecano gli aggettivi e gli appellativi: lupo affamato esornione, perverso, stolido, dalla sagacia inutile, dal viso oblivioso eforesto ecc. Ad autodefinirsi gliene basta invece solo uno di aggettivo,minchiona, che ricaviamo dal verbo nell’ultimo verso della lirica Alcuna sera, e che la dice lunga sul suomodo di vedere, col senno di poi, questa triste storia d’amore.
Edi quella storia restano ancora teneri ricordi legati a momenti di vitaquotidiana, in cui anche la spalliera d’una consunta poltrona, dove luidormicchiava, acquista la valenza di un’anima e il ciuffo bianco del suo uomo,dove lei posava una carezza, diventa il particolare di un quadro dipinto con icolori dell’amore. Poi basta qualche verso soltanto e quelle dolci immagini sitramutano in una prigione, dove tutto ciò che sta al di fuori delle mura dicasa appare perso e ogni tentativo di guadagnare l’uscita risulta compromesso,ogni messaggio di protesta seppellito nell’immensità dei silenzi diquell’essere, contento solo della sua “immagine riflessa nello specchio delcomò”.
Mal’amore non è, per Bianca, definitivamente perduto e quel raggio di sole “chefuori grida tutta la sua luce” e attraversando la tenda illumina impietoso, sultappeto, le impronte vuote di lui, pur rinnovando il dolore di un’assenza,azzera ogni sconfitta e apre l’attesaverso nuovi orizzonti, facendo presagire l’avvento di un giorno in cui potercelebrare ancora, dentro di sé, il trionfo dell’amore.
Nellaterza sezione del libro Bianca prende in esame il suo rapporto con le cose e iluoghi e qui viene fuori lo spirito artistico della poetessa-pittrice, chelascia il pennello e ci regala quadri dipinti con le parole. Preziosa la caffettiera che tossisce il suocaffè e la tazza “accosciata sulpiatto”, così come quel “sucrier diceramica viola col cucchiaino ficcato nella pancia”.
Lacasa è invece per lei un luogo vuoto d’amore e, col suo silenzio “prensile egonfio”, l’afferra e avvolge ad ogni rientro, subito appena chiuso l’uscio.Forse è ancora troppo vicina “l’uscita dal sogno”, per poter ignorare leassenze che popolano gli angoli. Una casa dove lei ormai straparla di
séa se stessa, riempiendola del suo delirio. Una casa che già nel titolo ci vienepresentata come Malacasa e che ci dàla dimensione del dolore per la fine di un sentimento profondamente vissuto.
Lanatura è sempre presente nei versi di questa autentica e stravagante poetessa,ma soprattutto nella quarta sezione viene raggiunto l’apice della celebrazionee il cielo, il sole, la pioggia, il vento vengono disegnati quali elementi che,nel loro continuo divenire, riescono a regalarle momenti di “estasi leggera”, aintermittenza però. Ci tiene a farci capire che quelli sono solo brevi momenti,bagliori vi vita che fuggono, e ci ripete, quasi a cantilena, che si verificanosolo qualche volta.
L’attenzioneper la natura è minuziosa e sempre sortisce poesia di una delicatezzaimpalpabile, unica, dove persino le blatte ci appaiono come farfalle e i ventisi trasformano, per magia, in “monelli di strada”.
Edè proprio in questi versi che Bianca ci consegna quel mondo che vorrebbe. Unmondo in cui ogni elemento appare in armonia con gli altri e ogni piccolodettaglio lascia intuire una presenza di vita, un respiro, anche se breve, comequello della primavera incalzata dal sole incandescente dell’estate. Un mondofatto di tanti colori, dove persino il violaceo, che il vespro spande dovunque,ha la lucentezza e la preziosità del cristallo; dove la tazzina del caffè,ancora sporca sul lavabo, si stacca dal tutto in forme tridimensionali atestimoniare simulati sprazzi di gaiezza. Anche i gesti banali, quotidiani, di donna che rientra a casa stressata,dopo aver fatto la spesa, elencati in fotogrammi minuziosi, appaiono comesequenze di colori, quelli del giorno che esplode ed incombe e che lei intendegabbare, mollando tutto alla rinfusa in cucina, scaraventandosi sul letto efingendo una dipartita dispettosa tra un ghigno ed un sorriso.
E da lei c’è d’aspettarsi sempre soluzioni originaliche ci sorprendono e che inneggiano comunque ad una libertà spesso assoggettataalle esigenze altrui e sempre rivendicata, perché condizione imprescindibile,soprattutto in uno spirito creativo.
Una poetessa minuta, ma dall’animo avventato, siautodefinisce Bianca nell’ultima sezione e si presenta, allo sguardo dellettore, come una donna che non conosce dubbi nei percorsi del cuore, dove lacattiveria non attecchisce, né si tramuta mai in “ruggine e silenzio”, matutt’al più si smorza in riso. Avidad’affetto, per averne è pronta a giocarsi anche l’ultimo scampolo di vita,rischiando il buio degli abissi più profondi.
Il suo carattere caparbio e indocile si delinea findai tempi degli studi scolastici, quando il fischio violento del treno lacatapultava dal letto, il cui tepore, quasi unica consolazione e scampo allefatiche mentali del giorno, alimentava sogni e scaldava la sua “voglia segretadi poesia”. Prigioniera nell’attesa, instazioni spoglie come obitori, fra sprechi di tempo e scintille di genio,inventava già forme di riscatto per il suo futuro.
Oggi, pur guardando con largo distacco i credi dimassa e proclamandosi infedele a qualsiasi rito, si dice pronta a partecipare,per godere anche lei di qualche momento di paradiso, ma con lo spirito di chisa già che sconterà la sbronza della festa in un triste angolo di solitudine.
Ed è questa solitudine che domina negli ultimi versidel libro, una condizione frutto di una scelta a lungo meditata e per troppotempo scongiurata.
Bianca è una donna qualunque, che avrebbe peròvoluto essere speciale, essenziale, nella vita di un'altra persona, e si è ritrovata invece davanti un vuotostratosferico di parole in un viaggio da sola verso il nulla, e con coraggio hapreferito, a questo deludente spettacolo, una deflagrazione totale, per aprire finalmente le porte al suo spiritolibero, a lungo mortificato.
Convalidato da tale scelta, ci appare chiaro tra leultime liriche il suggerimento della poetessa a non cedere ai compromessi e adavere il coraggio di pretendere sempre dalla vita la possibilità di un percorsoin quella strada che si dipana tra cielo e terra, anche se ciò può apparireun’utopia: chiediamo alla vita un sogno che oltre alle ali per un volo infinitoabbia anche salde radici in terra per reggere ai più violenti tumulti.
Una personalità molto complessa quella chescaturisce da questo libro. Bianca è veramente una poetessa di ampio respiro,un vulcano di pensieri e sentimenti, ed è capace di plasmare i versi con unlinguaggio particolare, che tende ad evidenziare anche le più impercettibilisfumature di senso, per porgerci una poesia raffinata e universale, che potràreggere la sfida col tempo e sarà sempre degna di sostenere qualsiasiconfronto.
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