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Loro (They of the Dead) - 01 Epilogo

di Giovanni Galaffu
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Pubblicato il 15/10/2015 13:38:48

Epilogo

 

 

Woody aveva passato tutta la notte con la schiena poggiata contro il muro cercando di non addormentarsi.

Fece un rapido calcolo: considerata anche quella presente, era già la terza notte che passava insonne.

Non che non avesse sonno, ma il dormire era un lusso che. In quei maledetti giorni, non poteva assolutamente permettersi. Non con tre bambine da osservare e sulle quali vegliare.

Cercò di assumere una posizione che fosse il più scomodo possibile: in questo modo non avrebbe certo corso il rischio cadere supino; per questo motivo si staccò dalla parete e restò inginocchiato sul pavimento, con il suo fucile sempre poggiato al suo fianco. Teneva la canna della sua arma sempre rivolta contro il muro; non sarebbe stata la prima volta che un colpo gli partiva per sbaglio. Per lo meno, in questo modo, non correva il rischio di colpire nessuno.

Restò a osservare le sagome delle sue bambine che dormivano. Passare la notte in questo modo era la cosa più logica da fare. Solitamente, la mattina successiva a una notte passata in quel modo, chiedeva a Katie – sua figlia più grande – di stare sveglia in modo che lui potesse recuperare per qualche ora le energie.

Ma Woody sapeva benissimo che, la mattina dopo, questo non sarebbe potuto succedere.

Avrebbe dovuto stringere i denti fino a che non l’avrebbe, l’avrebbero trovata.

Pensò che solo lei potesse essere ancora salvata. Per il loro piccolo non c’era certo più speranza. Non dopo che erano già passati sei giorni.

Per questo motivo ora lui non dormiva. Lei aveva approfittato di un suo leggero stato di torpore per lasciarli e andare in cerca del bambino. Era passato un solo giorno, poche ore, eppure gli sembrava che fosse trascorsa più di una settimana.

Dopo che si era accorto che la moglie se n’era andata, aveva dovuto trattenersi dall’uscire nel cuore della notte. Nemmeno le figlie avevano cercato di trattenerlo, ma non l’avevano seguito. Farsi inghiottire dalla notte, con quegli Esseri in giro, Esseri che mai dormivano, sarebbe stato peggio che un suicidio: sarebbe stata la fine per tutti.

Woody si era fermato non per le suppliche delle bambine, ma soltanto per il terrore della notte e da ciò che nascondeva. Le stelle da sole, viste per la prima volta in maniera così limpida, senza le luci della città, rendevano quelle tenebre ancora più sinistre. Doveva pazientare e attendere, per lo meno, i primi segni dell’alba. Se avesse avuto al polso un orologio con le lancette, i secondi sarebbero passati in maniera ancora più lenta, perché non sarebbe riuscito a staccare gli occhi dal quadrante.

Le luci della caserma dei vigili del fuoco dove si trovavano erano tutte spente; porte e saracinesche sbarrate. Non c’era niente e nessuno che potesse richiamare la loro attenzione.

Per tutto il periodo che avevano trascorso al loro interno, si erano preoccupati di non fare il benché minimo rumore e, finora, nessuno di quegli Esseri era venuto a disturbarli. Ma questo non significava certo che non avrebbero potuto farlo. Uno dei camion più piccoli dei pompieri era già stato rifornito di benzina e caricato di viveri e acqua, pronto a lasciare quel rifugio in caso di un improvviso attacco. Ovviamente nessuna di queste precauzioni dava a nessuno dei presenti una completa sicurezza che potesse eliminare dal loro cuore la paura.

 

Woody avrebbe voluto guardare le bambine in viso per essere sicuro che dormissero veramente. Quello di cui non si poteva accorgere era che la più piccola, Lisa, teneva gli occhi spalancati in direzione del padre; tuttavia continuava a imitare il rumore del respiro delle sorelle che avevano avuto la fortuna di farsi abbracciare dal sonno. Nemmeno le calde coperte di salvataggio nelle quali la piccola era avvolta potevano scacciare il brivido della paura di quei giorni. Lisa restò così per tutta la notte; a malapena sbatteva le ciglia per non fornire al padre nessun indizio del suo non dormire. Come avrebbe potuto cadere addormentata dopo quello che aveva visto? Aveva paura del padre, di quello che aveva fatto e di come lo aveva fatto.

Perché aveva ucciso i nonni ed erano dovuti scappare dalla loro casa? Perché non potevano andare dai loro amici, dai loro parenti, o più semplicemente rimanere nella propria abitazione? Che senso aveva dormire dentro una caserma dei vigili del fuoco?

 

Quella sera Woody non si era accorto che lei si era nascosta dentro l’armadio della camera dei nonni per far loro uno scherzo quando, la mattina dopo si sarebbero risvegliati. Stava già per sbucare all’improvviso, quando li vide muoversi nel letto, che suo padre era entrato di corsa brandendo una pala da muratore.

I nonni si erano alzati e si erano diretti verso di lui.

Lisa pensò che il loro comportamento fosse alquanto strano: emettevano degli strani mugolii e camminavano molto lentamente in direzione del padre, con le braccia rivolte in avanti e barcollando.

Woody non si era mosso di un passo: aveva alzato la pala e aveva colpito con il taglio la testa della nonna, spaccandola a metà e facendo cadere un occhio sul pavimento. Lisa aveva quasi gettato un urlo, ma l’aveva ricacciato in gola premendosi la bocca con entrambe le mani.

Il nonno non si era preoccupato di ciò che era successo alla nonna, Lisa aveva notato che non si era neppure voltato per guardarla, quasi che ciò che era appena successo non lo riguardasse minimamente. Lui aveva semplicemente continuato ad avanzare, solo i suoi mugolii erano diventati più alti e sinistri; aveva anche afferrato un braccio di suo padre.

Nessuno di loro aveva ancora pronunciato una sola parola. Il padre era stato costretto a lasciar cadere per terra la pala e con molta fatica era riuscito a staccarsi di dosso il nonno. A Lisa era sembrato quasi che il nonno facesse di tutto per mordere il braccio del padre. Ma di sicuro si era sbagliata; la vista dall’interno dell’armadio, con quella semioscurità, non era certo delle migliori. Woody aveva spinto il nonno sul letto e si era gettato su di lui dopo aver di nuovo raccolto la pala da terra. Era saltato sul suo corpo e aveva piantato entrambe le ginocchia sul petto del poveretto. Poi aveva sollevato la pala e tirato un fendente anche verso di lui, stavolta non mirando alla testa mal al collo. Dopo qualche tentativo la testa si era staccata.

Lisa era svenuta dentro l’armadio, con le mani ancora premute contro la bocca.

 

Quello che lei non poté vedere fu la testa del vecchio che ancora si muoveva e gettava i medesimi mugolii. Woody l’aveva lasciata dov’era, nel letto. Si era preoccupato soltanto di non avvicinarsi troppo, perché la bocca del nonno non aveva perso niente della sua forza e della sua fame. Aveva solo riflettuto su cosa fare per un paio di minuti, e poi aveva abbandonato la stanza per qualche secondo.

In quel momento Lisa era rinvenuta e, vedendo la stanza improvvisamente vuota, si era decisa a uscire dall’interno dell’armadio. Si sarebbe immaginata di vedere la madre che urlava e le sorelle che scappavano di casa. Ma ogni stanza della casa era avvolta nel più profondo silenzio. Questo l’aveva spaventata ancora di più. Poi aveva sentito i passi del padre che ritornavano in quella direzione. Si era fiondata immediatamente dentro la sua camera, con le sorelle che ancora dormivano, e si era gettata dentro il suo letto. Sentiva caldo, ma si era infilata completamente, testa compresa, dentro le lenzuola. Non si era più mossa.

Woody era andato in cucina a prendere un coltello. Ora che i due della stanza da letto non erano più capaci di seguirlo aveva deciso di procurarsi un’arma più adatta per terminare l’opera. Non era pensabile che li avesse potuti affrontare al massimo della loro forza con un semplice coltello da cucina, ma in quel momento la pala era troppo ingombrante.

Era tornato in camera e aveva visto che la testa del suocero continuava a muoversi. Aveva troppo per la testa per potersi chiedere quale tremendo fenomeno potesse causare tale mostruosità. Anche la sua meraviglia fu di breve durata: ora doveva pensare alla sua famiglia. Era rabbrividito pensando a cosa sarebbe potuto accadere se non si fosse accorto della trasformazione dei suoi suoceri.

Per fortuna il piccolo non era in casa.

Aveva tenuto ferma la testa del vecchio con la mano sinistra, facendo bene attenzione a mantenerla lontana dai suoi denti. Con la destra aveva mirato a uno degli occhi, certo la parte vicina al cervello più tenera e che poteva garantire una maggiore penetrazione.

Dopo il suo fendente, la testa era restata come inchiodata al materasso. L’aveva poi avvolta con le lenzuola e le coperte per nasconderla.

Per la stanza cominciava ad aleggiare un tremendo tanfo di putrefazione. Si era quindi chiuso la porta alle spalle senza nemmeno preoccuparsi di recuperare il coltello. Si era diretto alla camera delle bambine per verificare che tutto fosse a posto.

Lisa aveva avvertito le mani del padre che le toccavano la testa e il resto del corpo, come se stesse cercando qualcosa. Ma aveva continuato a fingersi addormentata.

 

Si stava facendo mattina, erano circa le cinque e mezzo del mattino. Lisa si accorse che il padre stava scuotendo le sue sorelle per svegliarle. Non voleva di nuovo sentire le sue mani su di lei, per questo finse di svegliarsi in maniera naturale. Già da qualche giorno aveva imparato a non chiedere la colazione, e nemmeno a recarsi in bagno per potersi lavare come avrebbe voluto. Era inoltre da tre giorni che indossava lo stesso vestito.

«Coraggio, bambine, svegliatevi. Tra poco dovremo cominciare ad andare». Woody porse a tutte e tre delle piccole barrette di cioccolato. Solo Katie e Lucy lo ringraziarono e iniziarono a mangiarlo. Lisa si mise la sua in tasca. Ebbe come l’impressione che il padre stesse per dirgli qualcosa, con la faccia triste che aveva già da quella sera, ma gli occhi gelidi di lei gli strozzarono le parole in bocca.

Woody girò lo sguardo perché non aveva più il cuore di guardarla in faccia.

«È tornata la mamma?» chiese Lucy. Forse questa domanda fece più male all’uomo degli occhi di ghiaccio della piccola Lisa. Tuttavia doveva trovare una risposta. Nel frattempo si era chinato a raccogliere la sua arma. La ripose in terra quando vide Lisa, impaurita, rimettere la testa sotto la coperta.

«Ancora no, ma tra poco andremo a prenderla». Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare. Sapeva che il rischio di uscire era enorme, soprattutto per le bambine, ma non poteva esimersi da cercare sua moglie. E sarebbe stato altrettanto pericoloso lasciare le piccole da sole, anche se al sicuro, là dentro. L’esito della ricerca sarebbe stato, era, incerto. Era meglio in ogni caso stare tutti insieme.

Woody fece di nuovo il giro di tutti i locali della caserma. Lo aveva già fatto un paio di volte la sera prima, ma voleva essere certo di aver preso ogni cosa che potesse servire loro. Avevano trovato abbondanza di ogni cosa, tranne che di armi. In ogni caso non avrebbe certo affidato un’arma da fuoco a nessuna delle sue figlie se non in caso di assoluta necessità, situazione che desiderava non dover mai affrontare.

Le bambine si erano alzate dalle brande e avevano messo da parte le loro coperte, senza darsi la pena di piegarle. Erano state accese anche le luci della sala che serviva loro da dormitorio. Andarono nei bagni a lavarsi meglio che potevano, Woody restò seduto sugli scalini della camionetta in attesa che facessero ritorno.

In quel momento rimpiangeva il suo spazzolino da denti.

Katie, Lucy e Lisa fecero ritorno circa dieci minuti dopo, con i loro zaini sulle spalle. Nessuna di loro sorrideva: Woody pensò che forse solo Katie, che aveva tredici anni, si era un pochino resa conto di quello che stava realmente accadendo; del resto anche lui faceva fatica a credere a ciò cui aveva assistito in questa settimana.

Cercò di non pensarci e la sua attenzione si diresse verso il motore del piccolo camion: mise in moto, verificando non senza soddisfazione che il livello della benzina era sempre alto. Non dovevano andare lontano, non per il momento, ma una volta recuperata sua moglie non era certo che sarebbero ritornati là.

«Prendete anche le coperte bambine. Non sappiamo se ritorneremo qua. Forse dovremo lasciare la città».

Non era certo se fosse o no una buona idea.

Per quello che ne sapeva, anche il resto del pianeta poteva trovarsi nelle medesime condizioni. Forse nei piccoli centri c’era qualche possibilità in più. Ci avrebbe pensato a tempo debito.

Le bambine salirono anche loro sulla camionetta, sedendosi di fianco al padre.

Lisa si sedette vicino al finestrino, volendo restare il più lontano possibile da lui. Con lo sguardo restò a fissare fuori non degnando gli altri nemmeno di uno sguardo. Né lei né le sorelle si accorsero che a Woody sfuggirono due lacrime.

Con un telecomando l’uomo sollevò la saracinesca. Restò con il comando puntato pronto a richiudere in caso di pericolo. Quando tutta la basculante fu alzata, constatò che la strada era libera. Ancora non erano prede; era il vantaggio di essersi rifugiati nella periferia. Ma in centro sarebbe stato molto diverso.

Si gettò con la camionetta verso le strade secondarie; pensò che là avrebbe trovato meno traffico, meno macchine ferme o accatastate l’una sull’altra. Forse con la mole del proprio mezzo sarebbe anche riuscito a farsi strada se il loro numero non si fosse verificato eccessivo. Cercò di conservare il suo sangue freddo.

Percorsero circa due chilometri in perfetto silenzio. Nessuno aveva pronunciato una parola. Regnava su di tutti la paura di attirare la loro attenzione. Anche se già il rumore del motore era già un richiamo più che sufficiente per quegli Esseri. Dovettero evitare parecchie macchine andando a cozzare anche contro qualcuna di esse. Ma nessuno ci fece caso. Il paraurti della camionetta era già danneggiato anche prima che la usassero, ma con i nuovi e violenti urti cominciò a staccarsi e a strisciare sull’asfalto. Woody dovette fermarsi per staccarlo del tutto e gettarlo da una parte. Non vi era tempo e non possedeva gli attrezzi per aggiustarlo.

Lucy aveva tentato di fermarlo.

«Dove vai?» chiese con terrore e cercando di uscire anche lei. Venne trattenuta da Katie. Lisa non aveva staccato gli occhi dal finestrino.

Woody le aveva risposto senza guardarla e senza fermarsi: sarebbero stati secondi in più che avrebbero passato fermi in mezzo alla strada.

«Non ti preoccupare, torno subito» aveva gridato. «Tu tienila!» disse rivolto a Katie. Per fortuna Lucy, che non aveva cessato di agitarsi, si calmò immediatamente appena lui risalì a bordo.

Quando arrivarono nelle zone conosciute della città, l’umore di tutti sembrava essere migliorato. In quel momento l’agitazione che li aveva pervasi non era data più dalla sola paura ma anche dalla speranza di poter ritrovare la madre.

Nelle bambine era anche viva quella di poter ritrovare il fratellino.

Woody fermò la camionetta.

La via non era quella nella quale si dovevano recare, ma era meglio lasciare il mezzo a debita distanza per verificare la loro presenza. Non poteva rischiare di attirarli nel posto in cui effettivamente si stavano recando. Scese nuovamente per la strada senza che stavolta nessuna delle bambine dicesse niente.

Era proprio in prossimità dell’incrocio. Chiuse a chiave le portiere dopo aver dato l’ultima raccomandazione:

«State giù. Non sollevate la testa per nessun motivo, non badate a nessun rumore. Vi muoverete solo se sarò io a chiamarvi. Ora vado a prendere la mamma. Non vi preoccupate, intesi? Sarò di ritorno tra mezzora al massimo. La scuola è qui vicina, la mamma ed io torneremo immediatamente». Si chinò verso la parte più interna dell’abitacolo e prese in mano una delle pesanti coperte che si era preoccupato di portare dalla caserma. Fece sdraiare le figlie e le ricoprì fino a nascondere completamente le loro figure. Ripeté le raccomandazioni e poi si avventurò per la strada.

Quello in cui stava per recarsi era il posto più logico in cui cercare la moglie: ma non era per niente sicuro che ci fosse arrivata. Dopotutto era uscita da sola, in piena notte e senza aver avuto un’arma. Le probabilità che potesse non essere assalita erano davvero scarse. Per questo aveva percorso con la camionetta l’eventuale strada che lei avrebbe fatto a piedi. Aveva guardato con attenzione ogni segno lungo tutto il percorso ma, grazie a Dio, non aveva visto niente che potessero essere i resti di lei.

Forse davvero ce l’aveva fatta.

 

Arrivò nella via dove si trovava la scuola materna. La scuola dove la moglie insegnava e dove si sarebbe dovuto trovare anche suo figlio.

Cambiò le munizioni al fucile quando vide l’asilo sotto assedio da parte dei ciclisti.

Doveva usare delle cartucce nuove, per essere sicuro che l’arma non se inceppasse. Loro non si erano accorti della sua presenza, non ancora; Woody pensò che ciò era dovuto alla sua lontananza o all’eccitazione di quegli Esseri che cercavano in ogni modo di entrare all’interno dell’edificio. Quella di poter trovare sua moglie ancora viva cominciò a essere più che una semplice speranza. Se Loro volevano entrare là dentro, era perché sapevano che c’era qualcuno. Qualcuno ancora vivo, qualcuno ancora umano. Non ebbe dubbi che si trattasse di sua moglie.

Restò a osservare per qualche attimo, circa un minuto. Gli Esseri erano già in pessime condizioni. Forse erano già stati protagonisti di altri scontri contro altri esseri umani; ma osservando con maggiore attenzione Woody si accorse che la maggior parte delle loro ferite era dovuta agli innumerevoli vetri che si trovavano per terra, appena oltre gli scalini. Improvvisamente si ricordò della porta a vetri: di certo l’avevano sfondata Loro, magari ne erano stati anche mutilati. Scorse l’Essere senza una mano. Poco distante vide anche la bicicletta.

Lasciò ogni precauzione si gettò alle spalle degli Esseri facendo fuoco non appena fu sicuro che non avrebbe sbagliato mira. Non mirò alla testa, ma a un bersaglio più grosso e meno difficile da mancare: la loro schiena.

I primi due Esseri colpiti si accasciarono a terra dopo aver emesso un grido come di dinosauri feriti.

Ormai le loro carni erano in totale putrefazione, quindi i colpi sparati da Woody ebbero un effetto micidiale. Le loro spine dorsali, al contatto con le pallottole di grosso calibro, si erano spezzate, così come il loro busto.

Erano stati tagliati in due parti e, pur rimanendo ancora “vivi”, non erano più in grado di sferrare alcun attacco.

Ne restavano altri quattro.

Lo slancio di Woody non si era arrestato e si diresse verso altri due che ora lo fronteggiavano. A suo vantaggio restò il fatto che gli ultimi due, quelli un po’ più lontani, non avevano per niente badato alla sua improvvisa sortita; avevano continuato a martellare il portone senza nemmeno girarsi.

Woody si fermò di colpo.

Loro erano talmente lenti che ebbe il tempo anche di ricaricare il fucile delle due pallottole mancanti. Stavolta cambiò bersaglio: essendo abbastanza vicini mirò alle loro teste. Si legò anche un fazzoletto intorno alla bocca per evitare di venire colpito da schizzi di sangue o di carne.

Fece fuoco.

L’Essere alla sua destra cadde in ginocchio senza più nemmeno la parte superiore della testa. Dei suoi resti poté vedere solo un bulbo oculare che cadde sopra i tre scalini dell’asilo. Il resto della testa si era quasi polverizzato.

Il colpo verso il secondo Essere fu meno devastante ma non meno efficace: la pallottola penetrò la sua fronte come avrebbe potuto penetrare un sacco di farina. Non uscì all’esterno. Solo del sangue viola coprì totalmente la testa dell’Essere.

Vedendo cadere i propri compagni, anche gli altri due Esseri abbandonarono l’assedio per fronteggiare il proprio assalitore; forse ebbero una leggera esitazione vedendo i corpi dei loro simili ormai a terra immobili.

Ma durò solo un attimo

Leggermente più veloci degli altri cercarono di avvicinarsi all’uomo. Ma non temevano l’arma. Le loro espressioni continuavano a essere assenti, come quelle di uno squalo poco prima dell’attacco.

Woody non pensò alle munizioni; sei proiettili per due bersagli erano più che sufficienti. Anzi, ottimi.

Mirò con cura ancora maggiore.

La testa del primo Essere venne staccata di netto dal collo e andò a spappolarsi sull’asfalto.

Per il secondo sbagliò leggermente mira, colpì l’ Essere alla gola invece che alla fronte.

Non ebbe il cuore di ripetere il colpo: l’Essere era rimasto come sgozzato. Solo un piccolo brandello di carne impediva alla testa di staccarsi del tetto e ruzzolare sull’asfalto a far compagnia ai resti degli altri.

Il suo capo era completamente reclinato all’indietro.

Woody non vedeva quasi più la testa, ma continuava a sentire i mugolii emessi dalla bocca. L’Essere non sapeva più in che direzione andare; improvvisamente si girò su se stesso e Woody poté vedere la testa rovesciata. L’Essere riprese a camminare, all’indietro, per andargli contro. Woody prese la mira con calma tale che meravigliò anche lui.

Stavolta non fallì.

Non si trattenne all’esterno a lungo. Gli spari erano di sicuro stati sentiti in lontananza. Anche se quegli Esseri non avevano la minima percezione di cosa fossero le armi da fuoco, di certo il loro rumore faceva loro collegare gli spari alla presenza di prede. Si tranquillizzò pensando che, se ce ne fosse stato qualcun altro nelle vicinanze, si sarebbe certo unito all’assedio della scuola. Si guardò intorno per assicurarsi della totale loro assenza.

I vetri davanti al portone di legno erano numerosi e grandi; vi era rimasto ancora qualche spuntone che sporgeva dallo stipite miracolosamente ancora in piedi. Afferrò il coperchio di un bidone della spazzatura, che si trovava a una decina di metri e, usandolo quasi come una paletta, sgombrò l’ingresso.

Era tentato di mettersi a gridare per poter attirare l’attenzione della moglie, ma si trattenne per non richiamare altri Esseri.

L’avrebbe chiamata una volta dentro.

Loro erano quasi riusciti anche a sfondare il portone. Woody pensò che se fosse giunto anche solo una decina di minuti più tardi, probabilmente li avrebbe già trovati all’interno dell’edificio. Rabbrividì al pensiero. Con il calcio del suo fucile si creò un varco sufficiente per passare.

 

Si sentì improvvisamente afferrare una gamba nel momento esatto in cui stava per saltare dentro.

Si era scordato di finire i due Esseri cui aveva spezzato la spina dorsale. Uno di Loro si era portato silenziosamente alle sue spalle, trascinando il busto con le mani, e aveva chiuso la sua coscia nella sua mano. Woody si getto di scatto e, istintivamente, puntò il fucile alla testa dell’Essere, proprio mentre questo aveva giù aperto la bocca preparandosi a morderlo. Ma in un secondo pensò che la distanza era troppo vicina per far esplodere il colpo: avrebbe potuto ferirsi la gamba. Si stupì di essere rimasto abbastanza lucido da pensare a questo, ma quello che l’aveva più colpito, facendogli scorrere dei brividi su tutto il corpo, brividi che gli stavano anche facendo tremare il braccio, era che quegli Esseri stavano sviluppando delle capacità. Questo che ora era ai suoi piedi, per esempio: perché non emetteva i soliti mugolii o ruggiti? Come aveva fatto a capire che restando in silenzio aveva maggiori probabilità di coglierlo di sorpresa?

Si stanno evolvendo” pensò.

Con terrore stabilì che i loro progressi non avvenivano nel corso di anni, ma nel corso di pochi giorni. Cosa sarebbe successo se avessero sviluppato la capacità di ragionare? Quella di poter adoperare gli oggetti o di comunicare tra di Loro?

Woody alzò il fucile e con il calcio sfondò definitivamente la testa dell’Essere. Forse iniziavano anche a provare dolore, perché nel momento esatto in cui il legno entrò in contatto con la sua carne, l’Essere emise un ruggito di dolore prima si smettere completamente di muoversi. Woody pulì con la maglietta di quello il sangue viola che aveva macchiato la sua arma.

Chiunque sia stato, ha fatto un buon lavoro con la barricata”. Pensò Woody una volta dentro. Per poter avere l’accesso aveva dovuto rovesciare le cattedre ammucchiate lungo l’ingresso.

Non fu semplice, anche per il fatto che erano tenute ferme da delle sedie sapientemente incastrate tra di loro.

Cominciò ad avere dei dubbi sul fatto che potesse trattarsi della moglie. Non era abbastanza forte da poter creare una barricata del genere, sembrava quasi un lavoro di un esperto: forse un muratore, o un geometra. In ogni caso uno del campo.

Ora la speranza che gli rimaneva era quella che tale persona fosse insieme a sua moglie.

Non perse tempo a verificare la presenza di altri Esseri all’interno della scuola. La barricata e il fatto che quelli fuori non erano ancora entrati, lo metteva al sicuro da spiacevoli sorprese “a meno che – pensò – non ce ne siano altri dentro e quelli che avevano fatto la barricata non si fossero cacciati in una trappola senza uscita”.

Ricaricò velocemente il fucile attingendo altre cartucce dal suo zaino. Questi iniziava a diventare ogni giorno più leggero; presto avrebbe dovuto trovare un posto nel quale rifornirsi. Per sua fortuna le cartucce dell’arma erano tra le più comuni in circolazione.

Solo in quel momento fece caso alle luci ancora accese. In questa scuola il tempo sembrava essersi fermato alla normalità.

Restò per qualche istante a osservare le luci al neon.

 

Improvvisamente rimase raggelato: dai piani superiori sentì degli spari. Se non si sbagliava sembravano spari di rivoltella.

Sua moglie non possedeva un’arma, in ogni modo non avrebbe certo potuto adoperarne una. Non stette riflettendo su chi fosse che sparava; di chiunque si trattasse era sotto attacco. O erano sotto attacco.

Anche se le probabilità cominciavano a essere scarse confidava sempre che sua moglie fosse all’interno dell’edificio. Ma non voleva spegnere quel barlume, non senza aver verificato.

Non c’era tempo per l’ascensore. Si precipitò per le scale, percorrendole due a due. Arrivò in mezzo minuto al secondo piano.

Gli spari erano cessati.

Notò la porta della cucina sfondata. Pensò che l’attacco si stesse svolgendo all’interno di quella stanza. Stava già per entrare quando urla di terrore e dolore lo richiamarono alla giusta direzione. Si girò di scatto e si diresse verso la fonte delle grida. Il fucile era puntato verso la porta che, di fronte a se, vedeva aperta.

L’interno della stanza era buio, ma le urla erano una sorta di ago di bussola che lo spingeva nella corretta direzione.

Provò un vergognoso sollievo constatando che le urla che sentiva erano di natura maschile. Ma chiunque fosse, il suo intervento non poteva certo salvarlo. Gli spari erano cessati nel momento esatto in cui aveva iniziato a percorrere le scale. Di certo l’uomo aveva finito le munizioni, o non si trovava più in grado di ricaricare la sua arma. E sicuramente si trovava da solo, se ci fosse stato qualcun altro o avrebbe gridato anche lui o sarebbe scappato dalla porta rimasta aperta. Oppure era già stato divorato.

Scacciò questo suo ultimo pensiero; nella decina di metri che lo separavano da quella porta aperta, aveva formulato delle paure che sembravano quasi distoglierlo dalla vera visuale di ciò che aveva davanti.

Non tentò nemmeno di accendere la luce.

Una torcia poggiata sul pavimento illuminava tenuamente un corpo che si agitava ferocemente per terra. Ma Woody non vide nessuno di Loro.

Restò in quella posizione per qualche attimo; poi i suoi occhi si abituarono all’oscurità e si avvide di cosa stesse attaccando l’uomo per terra.

I bambini”.

Avrebbe dovuto pensarci prima, ma sarebbe stato in ogni caso troppo tardi. Non c’era più niente da fare.

Anzi, qualcosa c’era. Diminuire il loro numero. Non aveva mai sparato contro o ucciso esseri così piccoli.

Ecco qual era ancora il suo problema, la sua debolezza che saltava ancora fuori, rendendolo ancora dubbioso e lento all’agire: li considerava ancora esseri umani, esseri che ancora potevano essere recuperati e ancora degni che si provasse un senso di pietà nei loro confronti.

Ma non era così.

Appena questo gli ritornò in mente iniziò a fare fuoco, iniziando da quelli che più degli altri erano avvinghiati alle gambe dell’uomo. Fu contento che la stanza fosse al buio per non poter vedere bene a chi stesse sparando: per quello che ne poteva sapere, tra i piccoli Esseri, poteva esserci anche suo figlio; anzi, le probabilità che il suo piccolo non fosse nel numero erano palesemente limitate.

Per prima cosa si avvicinò a ciascuno di loro e lo staccò dalle gambe del disgraziato; ogni piccolo Essere venne da lui scaraventato con forza dall’altra parte della stanza. Woody sentì i loro piccoli corpi cozzare contro le pareti.

Con crescente paura e terribile consapevolezza si rese conto che anche questi avevano smesso di lanciare mugolii e grida.

Non vi era più alcun dubbio: la loro acutezza e senso dell’agguato si erano sviluppati.

Da quel momento in avanti avrebbe dovuto prestare una maggiore attenzione.

Ma ora era soltanto il momento di ucciderli.

Woody impiegò più tempo nel ricaricare due volte l’arma che effettivamente a sparare. Per sua fortuna l’uomo aveva smesso di gridare. Forse era svenuto. Lui gli augurò di essere morto, ma avrebbe verificato poco più tardi.

Li finì in maniera molto semplice. Restò a ruotare in mezzo alla stanza assalendo il piccolo che più gli si trovava vicino; poi lo afferrava per il collo con una mano.

Dio, quanto sono leggeri!”.

Per sua fortuna non avevano ancora imparato a camminare, i loro movimenti erano ancora di una lentezza esasperante. Poi, mentre teneva il braccio teso, sparava loro in testa, dopo aver spezzato a tutti la spina dorsale. Non fu un’operazione faticosa, la loro carne e le loro ossa erano molto più deboli del dovuto.

Tutta l’operazione durò meno di cinque minuti.

Finalmente la stanza apparve immobile e priva di vita.

Woody constatò che la luce non funzionava in questa stanza.

Ma cosa aveva portato l’uomo disteso sul pavimento ad avventurarsi in quest’ambiente, al buio?

Non poteva avere risposta.

Woody sollevò le avvolgibili. Evitò di guardare i bambini per non avere in mente la stessa certezza che era presente nel suo cuore: che nel mucchi ci fosse anche il suo bambino.

Solo in quel momento notò il corpo dell’infermiera e il braccio staccato, ancora sul pavimento. Solo allora sembrò accorgersi dell’odore tremendo di carne marcia presente nella stanza. Vomitò copiosamente sul pavimento, mischiando il suo vomito al sangue e ai pezzi di carne.

Dopo essersi pulito la bocca con la mano si chinò sull’uomo per constatarne la morte. Tenne il fucile mirato alla testa di lui; avrebbe potuto risvegliarsi come uno di Loro.

La canna del fucile in suo possesso era abbastanza lunga; questo lo rendeva abbastanza pesante ma garantiva una maggiore precisione rispetto a un modello a canne mozze.

Con la canna Woody provò a scuotere il corpo dell’uomo in terra. Non si mosse nemmeno quando la pressione dell’acciaio sul suo viso fu molto accentuata.

Allora Woody osservò meglio le condizioni del corpo: non sembrava essere stato morso in numerosi punti. L’attacco era arrivato solamente nella parte inferiore del suo corpo, nei piedi più precisamente.

Di sicuro è stato trascinato a terra da Loro” pensò.

Non vi era altra possibilità.

Gli Esseri avevano poi iniziato il loro pasto proprio dai piedi. La scena non doveva essere iniziata molto tempo fa, altrimenti avrebbero avuto il tempo di spolpare anche il resto del corpo. Sebbene le loro dimensioni fossero alquanto ridotte, Woody sapeva perfettamente che la loro fame era insaziabile.

Ciò valeva per tutti loro.

Qualche giorno prima, aveva assistito a un Essere che aveva sbranato da solo il corpo obeso di un camionista.

Ma l’uomo in terra ai suoi piedi era quasi totalmente integro.

Quasi.

I suoi piedi erano stati divorati fin sopra le caviglie.

Woody penso che l’uomo, comunque, si era difeso bene. C’erano due corpi di esseri che erano già immobili prima che lui fosse intervenuto con la sua arma. Vide la pistola scarica poco distante dalla sua mano e l’ascia leggermente più lontano. Non capì perché si portava in giro un’arma così pesante e ingombrante.

Forse non aveva con se molti proiettili”. Le sue considerazioni terminarono in quel preciso momento. Stava per fare ciò che in quel frangente era più logico, l’unica cosa sensata di quella mattinata disperata: sparare in testa all’uomo prima che potesse diventare uno di Loro.

Poggiò la fredda canna d’acciaio sulla tempia di lui e premette il grilletto.

Sentì il “clik” del mancato sparo.

L’arma si era inceppata.

 

Woody cambiò rapidamente le cartucce, tenendo sempre un occhio fisso sul viso dell’uomo. Improvvisamente quest’ultimo aprì gli occhi e con la mano gli afferrò la caviglia.

Più che un urlo tirò fuori un singhiozzo:

«Pietà, aiutatemi vi prego. Non voglio finire in questo modo!» La sua stretta non era per niente forte, Woody avrebbe potuto liberarsi con un semplice strattone.

Ma non lo fece.

Osservò le lacrime che scendevano velocemente dal viso dell’uomo. Non fu questo però a impietosirlo, ma piuttosto le orrende mutilazioni del disgraziato.

Guardò meglio le sue ferite. La carne era ancora rossa e non aveva ancora assunto il caratteristico colore violastro dei contagiati. L’odore della putrefazione si sentiva per tutta la stanza, ma accostando il naso alle ferite di lui si accorse che non ve n’era traccia nel suo corpo.

Forse lo si può ancora salvare, anche se per lui sarebbe stato meglio essere già morto”. Non spettava comunque a lui decidere. Agì rapidamente senza nemmeno rivolgere la parola all’uomo. Woody aveva già adocchiato l’accetta sul pavimento. Con il calcio del fucile colpì la testa dell’uomo per due volte, fino a che non fu di nuovo svenuto. Forse era completamente senza fiato, perché nonostante il primo colpo l’avesse lasciato del tutto cosciente, non aveva gettato nessun grido. Woody raccolse l’accetta da terra.

Non aveva tempo da perdere per cercare qualcosa che potesse fungere da laccio emostatico.

Non aveva nemmeno il tempo di trascinarlo dove avrebbe potuto eseguire l’operazione con più calma, ovvero in cucina.

Raddrizzò l’uomo e lo mise pancia in su.

Decise di colpire poco sotto il ginocchio, forse l’infezione non aveva fatto in tempo ad avvelenare il resto del sangue.

Gli furono sufficienti solo due colpi, uno per ogni gamba.

Il risultato non fu perfetto: le gambe furono staccate, ma rimase qualche frammento di osso con il quale sarebbe stato complicato cauterizzare la ferita.

Il sangue usciva copiosamente dalle due ferite, andandosi a mischiare con quello putrefatto già presente per terra: i due diversi liquidi si mischiarono tra di loro.

Il fatto che fosse ancora sangue rosso e vivo sembrò rassicurare Woody.

Per sua fortuna l’uomo non aveva ripreso i sensi. Questo avrebbe semplificato anche il resto dell’operazione. Lo prese in braccio senza alcuno sforzo apparente; del resto pesava, in quello stato, qualche chilo in meno del dovuto. Lo portò alle cucine.

Ebbe solo il tempo di poggiarlo sopra di un tavolo quando scorse il corpo ancora nascosto dietro il frigorifero. Se non avesse già poggiato l’uomo, sicuramente se l’avrebbe fatto sfuggire di mano.

Woody vide sua moglie mutilata e morta.

 

La vista gli si annebbiò dallo shock e dalle lacrime che non si era reso conto di aver iniziato a versare. Il fucile gli sfuggì di mano rimbalzando due volte sul pavimento, anche se immediatamente fu raggiunto dalle sue ginocchia che si piegavano. Le prese la mano e cominciò ad accarezzare la sua guancia e l’orrenda mutilazione al braccio.

Poi affondò la testa sul petto di lei.

Si staccò violentemente quando realizzò di come fosse morta. Osservò con attenzione il piccolo foro sulla fronte di lei. Non impiegò molto tempo a definirne la causa.

Cercò di rimanere lucido ma non ci riuscì a lungo. La razionalità quasi lo portava a ringraziare che lei fosse morta in quel modo, senza aver vissuto l’orrore della trasformazione e di possedere lo sguardo perso degli Esseri. In questo modo la sua bellezza e la sua umanità erano stati preservati da una morte che poteva ora definirsi definitiva.

Ma il cuore non gli dava pace. Lei era morta e lui si stava prodigando per salvare la vita al suo carnefice. Il fatto che anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo non alleviò neanche per un momento o lenì la sua pena. Il suo petto cominciò ad ardere del fuoco della vendetta. Di scatto fu di nuovo in piedi, di nuovo indirizzando le sue attenzioni nei confronti dell’uomo.

Avrebbe facilmente potuto farlo morire dissanguato. Chi mai avrebbe potuto condannarlo? Ormai le leggi avevano fatto la fine dei miseri resti dell’umanità: erano state divorate dalla sola unica legge rimasta: quella del più forte. Mai come oggi questa legge aveva assunto tale dominio e universalità.

Decise che avrebbe finito la sua opera.

In seguito avrebbe potuto intervenire con maggior raffinatezza e premeditazione.

 

Woody sbottonò gentilmente il grembiule dal corpo della moglie, togliendolo e coprendo il busto della donna, lasciando però la testa scoperta. Sapeva che non avrebbe potuto portarla con se, e il binomio “dignitosa sepoltura” non era più applicabile in quel mondo.

Aveva già avuto una vita e morte tali, non poteva offrire di più alla sua sposa.

 

Riprese a cercare ciò che doveva servirgli per far cessare la perdita di sangue dell’uomo. Lo guardò ancora una volta ma non sembrava esserci traccia di alcuna trasformazione.

Due cassetti dell’enorme mobile che conteneva le posate erano rovesciati per terra. Raccolse uno dei tre grandi coltelli a seghetto che vide. Quelli sarebbe andati più che bene, non ci sarebbe stato bisogno di cercarne altri.

Non si preoccupò se l’uomo potesse o non svegliarsi. Sperava quasi che lo facesse.

Con l’ausilio del coltello, Woody rimosse con cura i frammenti ossei e carnei che fuoriuscivano dalle terribili mutilazioni. Il sangue sembrava ora sgorgare in maniera meno copiosa, ma l’uomo ne aveva senz’altro perso un’enorme quantità. Il pallore del suo viso era cadaverico, ma lui respirava ancora.

Accese un’enorme piastra, il più grande della cucina: era di circa venti centimetri di diametro. Mantenne alta la fiamma e la alimentò gettandosi sopra due interi rotoli di scottex. Il fuoco divenne più alto e più vivo. Woody accostò il tavolo dov’era adagiato l’uomo il più vicino possibile al fornello, in modo tale che le gambe di lui fossero la parte del fuoco più vicina al corpo. Cominciò già a sentire l’odore di alcuni peli delle gambe che iniziavano a bruciarsi, diffondendo per la stanza il tipico odore acre che andò a coprire leggermente quello di carne marcia.

Woody accosto prima l’una, poi l’altra gamba al fuoco, finché entrambe le ferite non furono bruciate e rimarginate. Ci fu un momento in cui stava per rimettere ancora una volta, forse non lo fece per la scarsa quantità di cibo ingerita ma soprattutto perché sapeva che non poteva cedere in quel momento.

 

L’uomo non era rinvenuto. Woody verificò il polso che risultò essere debole ma costante. Ora doveva fasciare la ferita che continuava ad emanare un tremendo odore di bruciato ma che sembrava aver smesso di sanguinare ed essere completamente cauterizzata.

Ritornò nella stanza dove era avvenuta la strage. Sapeva che era il dormitorio della scuola: là avrebbe trovato delle lenzuola da tagliare a strisce e fasciare le ferite. Non aveva perso di vista nemmeno per un secondo il suo fucile, ed ora che doveva muoversi lo prese di nuovo in mano; il portone del piano terra era rimasto aperto, solo la fortuna poteva evitare che Loro entrassero in gran numero. Woody non sapeva spiegarsene il motivo, ma sentiva che da questo punto di vista non aveva niente da temere, come se quella sorta di calma e consapevolezza gli fossero state consegnate da una forza superiore.

Gli occorsero solo pochissimi minuti per recuperare lenzuola pulite e, una volta tagliate, fare delle fasciature. Ne fece in abbondanza, quelle in eccedenza, dopo aver fasciato le ferite dell’uomo, furono da lui conservate ordinatamente all’interno dello zaino.

L’uomo cominciò a muoversi. Non aveva ancora aperto gli occhi, ma sembrava sul punto di farlo. Woody pensò come avrebbe potuto portarlo all’aperto fino alla camionetta.

La camionetta!

Improvvisamente si ricordò delle figlie. Il dolore e la rabbia gli avevano annebbiato la vista. Ora la fretta cominciava a diventare impellente.

L’uomo aprì gli occhi: si era svegliato.

 

Woody dovette trattenersi per non scagliarsi contro di lui.

L’uomo sembrava non essersi accorto della sua presenza; probabilmente aveva gli occhi ancora velati dallo shock e dal dolore. Eppure non si stava lamentando.

Woody restò ad osservarlo con un sguardo carico di odio e di ironia finché lui non lo scorse. Anche il dolore cominciò a risvegliarsi in lui. Iniziò ad urlare spostando il suo sguardo su ciò che restava delle sue gambe.

Woody si sedette sull’altro tavolo posto proprio di fronte all’uomo.

«Sai chi sono?» gli chiese.

L’uomo non sembrava averlo sentito. Si era portato a sedere e aveva avvicinato le sue mani alle ferite senza, tuttavia, avere il coraggio di toccarle: restò ad osservare le orrende ustioni tenendo le mani a poca distanza da loro. Woody ripeté la domanda.

«Sai chi sono? Fossi in te non mi preoccuperei per quelle ferite. Stanno bene. Stai bene. Almeno per il momento. – poi saltò giù dal tavolo accostandosi a lui e afferrandolo per le ginocchia – ti ho fatto una domanda bastardo. Sai chi sono? Di certo avrai capito che sono stato io a curarti le gambe. Ma non credere che l’abbia fatto per pura carità cristiana. Allora: sai chi sono?»

L’uomo aveva cessato di urlare, forse per poter ascoltare meglio le parole di chi aveva di fronte. Si stava mordendo le labbra piantando i denti nel suo labbro inferiore. Restò ad osservarlo senza riuscire a battere nemmeno le palpebre.

«Forse non sei abbastanza lucido per rifletterci su. Forse lo sarei anch’io al tuo posto. Ma questo non migliora nemmeno di una virgola la tua situazione – Woody aveva ripreso a parlare puntando il fucile verso l’uomo, più per precauzione che per effettivo desiderio di usarlo. Sarebbe stato troppo semplice e veloce. – Vedi la donna che hai appena ucciso? Non ho nessun dubbio sul fatto che sia stato tu. Ebbene, lei era mia moglie, e tu me l’hai ammazzata. Probabilmente ti dovrei ringraziare, perché ho notato la terribile mutilazione che aveva.

«So che si sarebbe trasformata.

«Eppure rimane il fatto che tu hai osato alzare la tua lurida arma contro di lei. Ho notato però la sua faccia: non si era ancora trasformata, ma tu hai sparato lo stesso. Maledetto bastardo! Era seduta, inerme. Come hai potuto?»

L’uomo aveva ripreso a gridare; Woody per la rabbia aveva iniziato a stringere la presa sulle gambe di lui, provocandogli delle fitte lancinanti. Ma le urla dell’uomo erano dovute in gran parte anche dal dolore e dal terrore per chi gli si trovava davanti. Nonostante i suoi occhi si fossero accorti della situazione, il dolore che sentiva gli faceva provare la sensazione di possedere ancora i piedi.

«Era infetta. Si sarebbe trasformata da un momento all’altro. Non avrei potuto agire altrimenti, lo giuro. Non sapevo che fosse tua moglie» l’uomo parlava balbettando.

«Non stare qui a togliere le tue fottute scuse. Credi non abbia ricostruito la dinamica di quello che è successo? Credi forse che non mi sia accorto delle condizioni in cui si trovava la porta della cucina appena sono arrivato qui? Lei si era barricata dentro e tu hai sfondato la porta per entrare.

«So perché si era barricata dentro. I bambini si erano tutti trasformati, per questo si era rifugiata qua dentro, per sfuggire loro. Era già stata aggredita, ma era ancora lei, era ancora umana. Perché hai tentato di entrare? Perché ti sei rifugiato qua dentro e non hai proseguito, invece, per la tua strada?

«Le pene e le sofferenze per te sono appena iniziate, non potrò mai perdonarti per quello che hai fatto. Ora non muoverti o ti scarico addosso tutto il caricatore. Devo trovare un modo per portarti fuori di qui; non posso certo portarti in braccio o trascinarti. Ma credo di aver trovato la soluzione apposta per te. Di sicuro qui in giro ci sarà ancora qualche passeggino, ti porterò fuori con quello. Non ti preoccupare: non ci sarà nessuno per strada che ti deriderà per questo. Vuoi sapere qual è il mio piano? Lasciarti in mezzo alla strada e osservare Loro, Loro dai quali credevi di sfuggire, che ti verranno addosso. Starò a guardarti fino a che di te non resteranno nemmeno le ossa, finché ogni singolo brandello delle tue carni non sarà nel loro stomaco. Coraggio: se sarai fortunato ti verranno addosso in tanti e le cosa non durerà molto».

L’uomo cominciò a versare lacrime e a singhiozzare. Non riusciva a formulare una sola parola, poiché il suo petto era sconquassato da forti singulti.

Cominciò a muoversi quasi per volersi gettare a terra dal tavolo, in una sorta di disperato tentativo di scappare. Venne fermato da Woody che ancora un volta utilizzò il calcio del suo fucile. L’uomo cadde nuovamente svenuto.

«Così starai tranquillo. Ora dovrò cercare quel passeggino».

In realtà Woody sperava di trovare una di quelle carrozzine a quattro ruote. Forse il passeggino non avrebbe retto il peso dell’uomo, anche se, in fondo, si sarebbe trattato di percorrere solo qualche centinaio di metri, fino a che non avrebbe trovato un posto dove Loro abbondavano.

Non sarebbe stata una cosa difficile da fare.

Woody si era dimenticato di nuovo delle sue bambine. I trenta minuti che pensava sufficienti per ritornare da loro era passati da un pezzo.

Spostò il tavolo nel quale si trovava l’uomo fino quasi alla porta: se durante la sua assenza si sarebbe dovuto svegliare, trasformato in uno di quegli Esseri, se ne sarebbe accorto immediatamente, e non avrebbe corso il rischio di venire colto e assalito di sorpresa. L’istinto continuava s suggerirgli di muoversi in fretta. Una piccola parte del suo pensiero andò anche al suo bambino ormai perduto.

Scese fino al primo piano per cercare il mezzo.

Era l’unico che non aveva ancora visitato, era la sua unica possibilità di trovarlo; in caso contrario sarebbe stato costretto davvero a prendere l’uomo in braccio.

Non si separò dal suo fucile.

Mentre scendeva per le due rampe di scale non si accorse che nello stesso istante l’ascensore aveva preso a muoversi, come se fosse stato richiamato al piano terra.

 

La ricerca di Woody per le stanze fu infruttuosa. Da nessun parte trovò un qualsiasi mezzo che potesse servirgli per il trasporto dell’uomo. D’altronde non poteva permettersi di trascorre ulteriore tempo là dentro. Era come in trappola anche se non vi era, per ora, nessun pericolo reale. Visitò ancora infruttuosamente l’ultima stanza del piano. Il suo cervello non aveva smesso di pensare alla situazione.

L’unica cosa che posso fare è portarlo giù con l’ascensore e poi lasciarlo in mezzo alla strada”. Un po’ il suo odio brutale, ma non quello razionale, era scemato: anche se non avesse assistito allo spettacolo del suo prigioniero divorato vivo, sapeva che in quelle condizioni non aveva alcuna possibilità di salvarsi, di uscirne “vivo”.

Come avrebbe potuto scappare?” pensò.

Gli venne da ridere in maniera feroce, ma seppe trattenersi. S’impadronì, però, di altre fasce che sarebbero potute servire al pari delle lenzuola che aveva ridotto a strisce precedentemnete.

Aveva messo appena piede nel primo scalino – per riguadagnare il secondo piano – quando sentì un grido che mai avrebbe pensato di udire là dentro.

Non più almeno.

 

Le bambine erano preoccupate all’interno della piccola camionetta.

Nessuna di loro aveva con sé un orologio o un telefonino cellulare, ma tutte sapeva che la mezzora che il padre aveva stabilito come attesa massima era già passata da tempo. I minuti passavano in maniera lentissima, soprattutto per via del fatto che non si erano scambiate nemmeno una parola per tutto quel tempo, e anche a causa della scomoda posizione assunta da tutte e tre.

Avevano obbedito agli ordine del padre ed erano rimaste basse, con le sicure degli sportelli abbassate: chiunque si fosse avvicinato alla rossa camionetta, anche se avesse dato uno sguardo all’interno, non avrebbe potuto scorgerle in alcun modo. Anche il loro respiro non smuoveva che leggermente la coperta sotto la quale si erano rifugiate. L’aria, per loro fortuna, non era così calda da rendere la loro posizione insostenibile. Non avrebbero potuto resistere così a lungo se si fosse trattato di una mattinata estiva.

Lisa aveva continuato a mantenere il viso rivolto verso il finestrino, anche se ora non riusciva più a vedere fuori. Avrebbe voluto avere qualcosa da stringere, ma la sua bambola era una delle tante cose che frettolosamente avevano lasciato a casa il giorno che l’avevano abbandonata definitivamente. Le vennero delle lacrime agli occhi, più per la rabbia che per la tristezza. Sentiva il respiro delle sorelle al suo fianco ma si sentiva soffocare sotto quella pesante coltre. Un crampo le causava dolore alla gamba sinistra, ma lei non sapeva a che cosa fosse dovuto questo male; sapeva soltanto che non voleva rimanere più in quella posizione. Con due calci allontanò da lei la coperta, scoprendo in tal modo anche le sorelle. Entrambe si voltarono a guardarla con sorpresa, ma erano tutte e due ancora troppo in preda alla paura per rimproverarla. Sembravano guardarla con stupore, ma nelle loro espressioni lei poteva leggere il fatto che entrambe pensavano che l’avesse fatto senza volerlo. Katie si stava già preoccupando di rimettere la coperta sopra di se e sopra le sorelle. Lisa la respinse di nuovo. Fu lei a rompere il silenzio di quel luogo angusto:

«Non ce la faccio più. Sto uscendo. Vado a cercare la mamma. Non credo che papà tornerà» affermò decisa. Disse di proposito quella frase, non volle dire: “Vado anch’io a cercare la mamma”.

Non sapeva se era vero che il padre la stesse cercando.

Il suo sguardo era diventato talmente duro che, almeno sul momento, le altre due non seppero che cosa ribattere. Lisa afferrò lo sportello e lo aprì, preparandosi a scendere per strada.

Fu quasi un lamento disperato quello che uscì dalle labbra di Lucy:

«Papà ha detto di restare qui. Non ci dobbiamo muovere. Ci sono Loro in giro, è pericoloso» con lo sguardo cercava la collaborazione di Katie, che dicesse anche lei qualcosa alla sorellina. Ma Katie non disse niente. Il suo sguardo era sempre rivolto alla coperta come un paguro privato improvvisamente della sua conchiglia protettiva.

«Veramente papà ha detto un sacco di cose. Ha detto che sarebbe andato a prendere la mamma, ma non è ancora tornato. Eppure la scuola è qui vicino. Io non voglio più aspettare, andrò anch’io e la porterò qui. Voi aspettatemi, non c’è bisogno che veniate anche voi. Ma se cercherete di trattenermi mi metterò ad urlare finché non arriveranno Loro». Lisa aveva colpito nel segno del loro terrore: a quella frase Katie e Lucy non furono capaci di rispondere; la paura le aveva completamente bloccate.

Lisa non aggiunse altro e saltò giù sull’asfalto, senza darsi nemmeno la pensa di utilizzare gli scalini della camionetta. Una volta a terra si aggiustò la gonna e si tirò su le calze. Il dolore alla gamba stava già iniziando a passare, Lisa sentì nel suo arto dolorante una sorta di formicolio, e avvertì che il sangue stava nuovamente iniziando a scorrere fluidamente nelle sue circolazioni. Iniziò immediatamente a correre con passi leggeri; il rumore dei suoi piedi sul marciapiede era appena percettibile, ma ai suoi occhi rimbombava quasi come rulli di tamburo nell’innaturale silenzio della città, ora definitivamente addormentata e morta.

Sapeva che la scuola non era lontana. Aveva percorso quella strada decine e decine di volte, a piedi, in pullmino e in macchina. Ma solo quella volta le sembrava che la strada fosse infinita, come Alice quando, in “Attraverso lo specchio”, veniva trascinata in una corsa senza fine dalla regina rossa. Si fermò per qualche secondo a tirare il fiato, guardandosi nel frattempo intorno: cercò di non badare ai resti umani e metallici sparsi dappertutto, gli stessi punti che, fino a pochi giorni prima, erano calpestati solo da persone.

L’edificio scolastico le apparve improvvisamente davanti agli occhi. I raggi del sole si affacciavano tra gli spazi dei palazzi, e acceccarono leggermente Lisa che restò per qualche secondo in mezzo alla via quando scorse i resti martoriati e straziati degli Esseri. Restò di sasso ad osservare la bicicletta quasi ai piedi degli scalini inondati di sangue. Non restò a chiedersi se ce ne potessero essere altri nelle vicinanze, riprese a correre e corse all’interno, facendo attenzione a non calpestare i grandi frammenti di vetro e saltando attraverso lo squarcio sul portone.

Vide le cattedre e le sedie sparse sul pavimento e la paura la assalì rapidamente; la sua vecchia scuola era stata distrutta da Loro.

Intravide le porte delle aule completamente spalancate, ma nessun rumore proveniva da esse. Invece le sembrò di sentire qualcosa provenire dai piani superiori. Forse da secondo. Era stanca per la corsa fatta, per cui chiamò l’ascensore e premette il tasto numero “2”. Era convinta che avrebbe trovato la madre insieme al padre, probabilmente nella sala refettorio.

L’ascensore sobbalzò un pochino e, per qualche centesimo di secondo, Lisa ebbe l’impressione che fosse mancata la luce. Ma forse era solo un impressione creata dal suo accelerato battere delle palpebre. In pochi secondi fu al piano richiesto e si diresse velocemente verso il refettorio senza nemmeno dare uno sguardo alla sua sinistra. Un rumore come di un corpo caduto la fece, però, voltare e rivolgere lo sguardo verso la cucina: scorse un uomo a terra.

 

L’uomo era rinvenuto.

Il suo medico e carnefice era scomparso.

Il dolore, la rabbia e il terrore lo sconvolgevano insieme, come tre corpi che cercano di passare contemporaneamente attraverso una porta troppo stretta.

Poggiata per terra osservò la sua scure, non aveva cuore a sufficienza per osservare e guardare le sue ferite, anche se la nauseabonda puzza di carne marcia e bruciata alla stesso tempo, e il fornello del gas ancora acceso – insieme alla cenere dello Scottex – erano là a testimonianza della sua tremenda operazione alle gambe.

Il suo corpo divampava e sentiva il suo cuore battere nei moncherini delle sue gambe. Sapeva di essere spacciato, ma non voleva fare la fine che gli aveva presagito il suo aguzzino. Sarebbe stato molto meglio morire per sua stessa mano.

Ma forse non sarebbe finito nemmeno in quel modo.

Proprio quando aveva deciso di lasciarsi cadere a terra e recuperare la sua ascia, il suo sguardo cadde inevitabilmente là dove c’erano i suoi piedi. Le ferite avevano il caratteristico color marrone scuro che era causato dalla cauterizzazione.

Ma un nuovo colore era apparso là dove finiva la bruciatura.

Delle macchie violastre erano comparse lungo le gambe e si stavano dirigendo verso le sue ginocchia.

L’uomo sapeva alla perfezione che cosa questo significava, e si era reso anche conto che quell’avanzata non si sarebbe certo fermata là.

Gli sembrò quasi di impazzire: il dolore che aveva provato finora era risultato completamente inutile: era stato infettato. Sentì la sua bocca irrompere in una tremenda risata. Si gettò a peso morto sul pavimento sperando che si potesse sfasciare la testa sulle mattonelle.

Ma questo non successe, anzi, non avvertì nemmeno la botta dell’atterraggio. Trascinandosi con i gomiti si spinse verso la sua arma.

 

In quel momento anche Lisa vide le tremende ferite di lui, ma scorse, sullo sfondo, anche il corpo di sua madre ancora ricoperto dal grembiule. Si mise a correre fino a che non fu all’interno della cucina, per arrivare fino alla mamma calpestò il corpo dell’uomo che ancora cercava di raggiungere l’ascia.

Spostò il grembiule dal viso di lei.

«MAMMA! MAMMA!» la sue disperazione fu riassunta tutta in quelle due parole. Fu quello il grido che sentì Woody dal primo piano.

Riconobbe la voce di Lisa.

Cosa diavolo ci faceva là?

 

Woody fece le scale tre alla volta, fino a che non fu arrivato nuovamente alla soglia della cucina. Non degnò di uno sguardo l’uomo a terra, ma restò pietrificato vedendo la piccola Lisa abbracciata al corpo della madre, con il viso affondato nel suo grembiule che piangeva.

Non ebbe il cuore di avvicinarsi, ma la chiamò solamente.

«Lisa! Che ci fai qui? Perché hai lasciato le tue sorelle? Non ti rendi conto del rischio che hai corso venendo fino a qui?» meccanicamente si volse verso gli scalini; si aspettava di vedere delle orde di Esseri che avevano seguito la sua piccola fino alla scuola e fino al loro piano. Ma le scale erano vuote, e non sentiva nessun rumore che facesse presagire la loro presenza.

Ma Woody aveva sperimentato che quelli incontrati in quel giorno avevano imparato a celare il loro apparire e il loro attacco. La loro evoluzione diventava sempre più sofisticata. Si affacciò ancora di più attraverso le ringhiere trattenendo il respiro.

Per ora nessuno li stava attaccando.

Finalmente ebbe il coraggio di entrare in cucina; dovette letteralmente sradicare Lisa dal corpo della madre.

La piccola scalciava, non fu capace di trattenerla a lungo nonostante pesasse circa un terzo rispetto a lui.

Woody si accorse che Lisa stava sbavando dalla rabbia e dal pianto.

La poggiò per terra e lei subito si allontanò da lui restando, però, a fronteggiarlo di fronte. Lei si posizionò esattamente tra l’uomo e il padre, in modo tale da nascondere il primo dal secondo. Woody le porse la mano cercando di farla tranquillizzare. Ma lei prevenne ogni sua parola riprendendo a gridare.

«Non ti avvicinare. Non voglio più vederti. Cosa hai fatto alla mamma? Non ti è bastato averlo fatto ai nonni? Perché te l’hai presa anche con lei? Sei un mostro. Ti odio! Vuoi fare lo stesso anche a me a Katia e a Lucy? Ma non ti farò mai avvicinare a me… o a loro. Ti ammazzerò prima io».

Woody restò impietrito ascoltando le parole di lei, uscite con una voce che non sembrava più nemmeno la sua. Il braccio di lui restò teso verso la figlia, ma sapeva benissimo che non avrebbe potuto toccarla.

 

L’uomo per terra aveva appena afferrato l’ascia. Stava vivendo come in un sogno tutta quanta la situazione.

La scarsa lucidità di cui era in possesso non gli avevano fatto capire come fosse nata quella situazione tra Woody e la bambina che improvvisante era apparsa in quel luogo.

Aveva di nuovo la sua arma, quello sul quale restava incerto era su chi l’avrebbe utilizzata; il suo istinto di sopravvivenza l’aveva già fatto desistere dal suo intento.

Sentiva quasi che sarebbe di nuovo svenuto. “Non devo pensare” disse fra se.

Ritornare alla realtà voleva per lui dire accusare di nuovo il tremendo dolore ai suoi arti inferiori. Li guardò nuovamente e vide che ormai la macchia viola era arrivata fino all’inguine. Sentì il petto bruciare, l’ascia gli sfuggì di mano e la mente lo abbandonò.

I suoi occhi gli si voltarono all’indietro.

Era ormai uno di Loro.

 

Lisa continuava a tenere a distanza il padre, alternando grida di minaccia e singhiozzi. Per questo motivo non si avvide della trasformazione dell’uomo.

Nemmeno Woody se ne rese conto, poiché l’uomo restava per lui a terra, invisibile.

Lisa si teneva dietro il tavolo, sorda alle parole del padre.

Woody la vide scomparire come inghiottita da una voragine sul pavimento.

«Lisa, Lisa!» urlando le corse incontro, rovesciando con un braccio un tavolo e andando a sbattere il fianco sullo spigolo dell’enorme friggitrice. Vide le stelle e il fucile gli sfuggì di mano, ma non badò alla sua arma.

Il nuovo Essere era sopra la sua bambina.

Della testa di lei poteva scorgere soltanto i capelli, l’essere aveva poggiato la sua testa sul suo viso. Lisa proruppe in un tristissimo urlo di dolore, nello stesso istante in cui l’essere sollevò la testa da quella di lei masticando.

Le aveva strappato un pezzo di collo.

«NOOOO!» Gridò Woody. Improvvisamente si accorse di essere senza fucile, ripercosse i passi necessari per afferrarlo e puntarlo, senza nemmeno mirare, sulla testa dell’Essere.

Lo sparo coprì per un breve momento le grida di Lisa, mentre l’essere si accasciò senza un rumore con la parte alta della testa completamente maciullata.

Nella sua bocca, tuttavia, si poteva ancora scorgere il pezzo ancora non inghiottito della gola di Lisa.

Woody si lasciò letteralmente cader sul pavimento, sollevando di colpo la testa della figlia che cominciava a vomitare sangue dalla bocca a causa dello shock. Gli occhi di lei erano appannati e sembravano essersi schiariti di colpo.

Non gridò più.

Forse era svenuta.

Woody osservò il fornello ancora acceso della cucina, ma non era nemmeno pensabile di ripetere un’operazione simile a quella effettuata sull’uomo. La testa non è una parte che si possa amputare senza letali conseguenze.

Sollevò la piccola tra le sue braccia e si precipitò giù per le scale. Non sapeva nemmeno lui dove stava andando. Non c’era più niente da fare, ma le sue gambe lo portarono da sole verso l’uscita, in una corsa disperata e senza meta.

 

Gli occhi di lui non erano fissi sulla strada ma sulla bambina. Il sangue continuava ad uscire copiosamente dalla ferita e dalla bocca di lei, bagnando gli abiti e la pelle di entrambi. Inoltre un forte tremito la scuoteva tutta: per un paio di volte, lungo le scale, rischiò di cadergli dalle braccia. Una volta all’aperto Woody venne colpito dai raggi solari: anche la luce ora gli impediva di vedere dove stesse andando, per questo non fece in tempo a schivare la bicicletta che si trovò sotto i piedi.

Cadde rovinosamente sull’asfalto andando a battere il mento e raschiando la pancia e le gambe. Lisa sembrava essere diventata improvvisamente più leggera, le sfuggì di mano ed andò ad atterrare ad un paio di metri da lui. Woody si guardò le gambe e gli strappi sui pantaloni, ma non seppe distinguere se il sangue che gli bagnava tessuto e pelle fosse suo o della figlia. Non capiva neppure se si fosse o meno tagliato.

Poggiò un ginocchio a terra per avere quel minimo slancio per rimettersi in piedi e sentì una fitta proprio all’altezza della rotula. Ma capì che non era nulla di serio.

 

Ecco che sentì un mugolio alle sue spalle ma non fece in tempo a voltarsi che venne afferrato da sei mani che lo riportarono faccia a terra. Fu come se il mondo gli fosse crollato improvvisamente addosso o che fosse stato improvvisamente schiacciato da un pesante macigno cadutogli dall’alto sulla schiena.

Non seppe reagire e crollò nuovamente sull’asfalto.

Aveva ancora libero il braccio sinistro e cercò di afferrare il fucile proprio prima di ricordarsi di averlo lasciato nella scuola.

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, per la sua sorte e per quella delle figlie.

Chi penserà ora a loro?

Non avvertì nemmeno i primi morsi alle gambe e nei fianchi.

Loro erano in tredici, e avevano iniziato a litigare tra di loro per avere l’accesso migliore alle sue carni. Anche le loro unghie entrarono in azione e iniziarono a dilaniarlo a partire dal basso.

Woody non li guardava nemmeno, i suoi occhi erano ancora rivolti verso Lisa che restava immobile per terra.

Dio ti prego, fa che non si accorgano di lei” pensò. Quasi si era scordato che lei era già stata morsa quando aggiunse a voce alta:

«Lisa, scappa. Avverti le tue sorelle».

Ma la bambina restò immobile sull’asfalto, con il viso girato dalla parte opposta. Woody era pronto a morire quando vide il corpo di lei muoversi come scosso da una scarica elettrica.

In men che non si dica Lisa era di nuovo in piedi.

A Woody si spezzò il cuore quando vide che orma sua figlia non aveva più la sua pelle candida ma le era diventata grigio scuro. Anche a lei gli occhi le si erano girati verso l’interno e nello sguardo vi era meraviglia e rabbia. Il suo sguardo era rivolto verso il cielo ma Woody sapeva che lo stava guardando.

Lei lanciò un ghigno rauco prima di girare definitivamente le spalle a quello che era stato suo padre.

L’ultima cosa che Woody vide fu Lei che si dirigeva barcollante ma inesorabile, verso il luogo dove aveva parcheggiato la camionetta.

 

 

 

Fine


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