Le palme barbute a tre a tre,
e quelle con ancora la scoliosi giovanile
osano origliare con foglie luccicanti.
Tendono verso me e domandano,
tornano al cielo e bisbigliano.
Che programma è, oh homeless,
quello che guardi sbragato
sulla panchina pubblicizzata,
con vecchi mocassini a lato?
- LA Città; è il mio reality-
Da dove viene il piscio della Sunset?
Chi vive e muore dietro la maschera di Batman?
- 1. Un barbone; 2. Un barbone.-
E le luci di Hollywood, e le droghe dei gay clubs
sono occhi di puttana,
pulsanti di giocattolo
che gridano: Provami! Provami!
Il colibrì intanto sotto Galileo
suona e beve fremente nettare megalopolo,
nella la corolla non si dibatte,
pare insetto ma non è, perché
ignaro delle luci, e
spaurito ronza tra
la linea penombrosa del crepuscolo
e lo sguardo mio assetato
di iridi e fulgori scintillanti,
che tu solo e lui e la luna e le hills.
Più veloce balbetta tra-tra
che più non si aspetta,
che è il momento di amare.
Poi vola lontano, a dipingere
il mare, anzi l’oceano,
del freddo che fa quando si è soli.
Poi vola lontano, a inseguire
il flusso mentale di film e ricordi.
Il barbone guarda le palme
dove aleggia il colibrì immerso
nel cielo overwhelming e distante come
l’insegna di Hollywood al telescopio.
Palme, barboni e colibrì sanno;
il cielo intuisce.
Palme, barboni e colibrì sanno
ciò che il cielo suggerisce.