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Questione meridionale?Lettera aperta ad Eugenio Bennato

Argomento: Società

di Massimo Abbate
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Pubblicato il 24/09/2021 14:33:42

Venticinque settembre duemilaventuno Premessa: “Nun me ne fotte d’‘o rre burbone; ma, d’‘a Storia, sì!”. La frase “questione meridionale” fu utilizzata per la prima volta nel 1873 al parlamento del neonato Regno dell’Italia Unita dal deputato radicale lombardo Antonio Billia, per definire la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto alle altre regioni dell’Italia Unita ed in tale accezione viene, purtroppo, adoperata nel linguaggio comune ancora oggi. “Disastrosa situazione economica” perché quell’Unità costò al Mezzogiorno morti e, tutt’ora, emigranti, in termini di milioni. Questa frase è, tuttavia, etimologicamente, storicamente e logicamente errata. Malvagiamente errata. Come Eugenio ben sa! Se in lingua italiana si deve definire “qualcosa a cui dare soluzione” il primo termine che viene in mente è “problema” (che, per la cronaca, è parola di derivazione greco antica…). Poi dopo ma molto dopo – e, soprattutto, se la mente, oltre che essere influenzata dal latino (“nulla quaestio”) è, anche ed innanzitutto, influenzata da semantiche franco/anglofone (“to be or not to be, that is the question!”) – verrà in utilizzo anche l’altro termine, “questione”. Quindi, nel nostro caso, etimologicamente non c’è nessuna questione ma un problema! Passo alla Storia, emendata da bugie e quindi, per intender¬ci, non quella scritta ‘ncopp ’a tutt’‘e libre ‘e scola. Come, di nuovo, Eugenio ben sa! In proposito c’è, infatti, una pubblicazione scientifica, edita dall’autorevolissima Banca d’Italia nei suoi “Quaderni di Storia Economica di Bankitalia”, n. 4, luglio 2010 (si trova anche sul web). Questo studio è a firma di autorevolissimi studiosi: il prof. Stefano Fenoaltea (docente di Economia Applicata all’Università di Tor Vergata – Roma) ed il collega Carlo Ciccarelli (dottore di ricerca in Teoria economica ed Istituzioni nella stessa Università). In questo studio, con dovizia di argomentazioni e, soprattutto, di numeri (‘na carretta!), che son quelli che oggi contano ma che, per non tediarvi, qui vi risparmio, tanto sono tutti nel documento, è affermato a chiare lettere che il processo unitario si è risolto, nei fatti, in una feroce ed avvilente colonizzazione del Mezzogiorno (e cioè morti ed emigranti). Eh già, perché prima dell’unificazione (e per un poco, molto poco, anche dopo; oggi non più!) l’industrializza¬zione del Mezzogiorno era pari, se non superiore, a quella del resto d’Italia. Quindi, prima dell’Unità, nel Mezzogiorno non c’era neces¬sità di emigrare per lavorare. Magari accadeva il contrario (nel senso che nel Mezzogiorno arrivavano, a quei tempi, facoltosi immigranti) ma non devo divagare. Oggi che le cose (ahimè) sono totalmente cambiate, per lavorare generalmente occorre emigrare. Ma vi è di più, e senza numeri: basta por mente alle se¬guenti due circostanze. 1) Nell’’800, a Portici, per l’esattezza a Pietrarsa, dove c’era la famosissima fabbrica di locomotive e vagoni ferroviari, sorgeva anche la reggia estiva del re Borbone, che colà con tutta la corte se la spassava in villeggiatura. 2) Così come, sempre nell’800, a Mongiana in Calabria (nelle Serre, tra la Sila e l’Aspromonte), dove operava una fabbrica siderurgica (non solo di armi, anche) di binari ferroviari e travi per ponti sospesi, lo stesso re Borbone aveva un casino di caccia, che frequentava assiduamente (tra l’altro, nel bosco di quel casino, cresceva e cresce tuttora un fiore assai bello e raro, che pare spunti solo là: la “viola ferdinandea”). In entrambi questi posti, Portici e Mongiana, nonostante la rispettiva industrializzazione spinta, l’aria era fre¬sca e fina: mò vuoi vedere che quel re Borbone era pro¬prio un fesso? Adesso andatevi a pigliare l’aria fresca a Bagnoli o a Taranto… ma solo se siete fessi! Io che sono di Giugliano in Campania non mi devo spostare tanto: se voglio (fare il fesso) me la vado a prendere… a Taverna del re. Molto spesso, per la verità, l’aria (puzzolente, molto puzzolente!) mi arriva direttamente a casa dalla locale zona industriale, dove sono ubicati gli attuali impianti di smaltimento di rifiuti. Provare per credere! Passo alla logica. C’era una volta un giovane ma arcigno professore di lati¬no e greco, finalmente divenuto di ruolo, che a fine mese, incassato il primo stipendio non più da precario, decise di festeggiare l’accaduto (non tanto il sala¬rio in sé, quanto l’agognata tranquillità economica) con la sua famigliola, conducendola il successivo sabato sera a mangiare una pizza. Quando la combriccola rientrò a casa ebbe, purtroppo, la sgradita sorpresa di trovarla sottosopra e totalmente svaligiata. Mò, vuoi vedere che il problema è il professore e la sua famiglia? Il problema sono, evidentemente, i ladri! Quindi, in conseguenza di tutto quanto sopra, è evidente che non esiste nessuna “Questione Meridionale” perché “Il problema è Settentrionale”. Ho terminato le mie riflessioni ma c’è una postilla. Quando me ne vado in giro a dire queste cose, ci sono alcuni amici che mi appellano “burbonico e patuto”, altri “giacubbino”. Ai primi ribadisco la premessa, aggiungendo che, se non sai da dove vieni, non sei bene in grado di scegliere la strada da percorrere per giungere dove hai deciso di andare. Agli altri, che i giacobini, storicamente, hanno combinato tutto quel trambusto che hanno fatto solo per sostituire un tiranno (il Re Sole) con un altro tiranno (l’imperatore Buonaparte). Io sono un duosiciliano della Magna Grecia e frequento Parmenide, Socrate e Platone: li vuoi mettere con Voltaire e Montesquieu?! Caro, carissimo, Eugenio vengo, finalmente, a te. Ti scrivo perché devo, innanzitutto, confessarti che ho impiegato un bel po’ di tempo (troppo!) a capire che sono assolutamente ironiche le parole della tua omonima canzo¬ne (Q.M.): “Noi, sotto lo stesso tricolore dalle Alpi fino al mare; ma se diventiamo una questione, la questione è me¬ridionale”. Solo da una decina di anni sono un assiduo frequentatore delle tue magiche canzoni identitarie, soprattutto attraverso le tue ultime antologie e le diavolerie del web; eppure, ci ho messo troppo tempo a capire questa tua ironia! Ogni dubbio si è definitivamente sciolto solo quest’esta¬te, al tuo concerto a Cellole. Quello dove (diversamente da Castelnuovo Parano) stavi particolarmente di genio, che se la signora con la gonna lunga, “tutta nera senza fiori”, ti avesse assecondato, mettendosi a ballare con le nacchere sotto il palco, tu e la tua strepitosa band avreste fatto l’alba e noi con te! A Cellole hai cantato prima “Mille” (che, lo confesso, non conoscevo bene ma che subito mi ha preso) e, dopo, “Questione meridionale” e – EUREKA! – messe, così, in sequenza, l’ironia è venuta tutta fuori. Il velo si è letteralmente squarciato! A fine concerto sono andato al banchetto dei tuoi cd ed ho chiesto al gentilissimo addetto quello con “Mille”, che ho acquistato. Da allora, ho ascoltato e riascoltato questo cd, soprattutto per quel “nuovo” brano che non conoscevo. In questo pezzo, quando cessano i plettri e le percus¬sioni diventano dominanti, canta un’altra voce maschile, tendente al falsetto ma con tono assai sdegnato (è della buonanima di Carlo?): “Che bella favula che ce hanno rac¬cuntato che bella storia chella storia d’’o passato che bell’Italia che s’adda sape’ a memoria pecché sta scritta ‘ncopp a tutte ‘e libre ‘e scola”. Ecco: quel tono sdegnato è stata la vera e definitiva chiave di volta. Ora io capisco che a quei tempi ti dovevi “guardare le spalle” e, quindi, quell’ironia era una sorta di legittima difesa. Tuttavia, già a quei tempi (era il 2011), il “sistema” ti ha co¬munque emarginato e tu te ne sei allegramente fregato.Oggi che, anche grazie a te, “quei briganti, che già c’erano” (sin dal 1978; “pochi ma buoni”), non stanno più nascosti (e son molti), non sarebbe il caso di fare qualche passettino in più? A tal proposito, “I have a dream!”. Sogno che, in un concerto della prossima estate (magari a Napoli, magari a Largo di Palazzo…), tu canti “Questione Meridionale” aggiornando così le famose parole: “Noi, sotto lo stesso tricolore, dalle Alpi fino al mare, che se passiamo per questione il problema è setten-trionale” La metrica ci dovrebbe essere ma se l’estetica e l’arte (o, ancora, la prudenza; di più, ancora, il ricordo della buonanima di Carlo) dovessero opporsi, fa niente. Io ci ho provato. Ora, carissimo Eugenio, perdonami, ti lascio perché devo organizzarmi per domani (26/9), per la mobilitazione generale contro i roghi, gli impianti, i miasmi e gli scempi che insozzano e violentano la mia Terra. Ti saluto con affetto e ti auguro ogni bene. Massimo Felice notaio Abbate (alias brigante Martumme’)


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