Pubblicato il 29/05/2015 13:46:52
Mi sono trasferito da due anni in questa grande città.Qui non c’è quel malriposto senso di vecchiaia e d’ austerità. Almeno, questo è quello che il mio cervello ama ripetersi tutte le volte.Ho cominciato l’università tardi -23 anni- perché prima ho cercato un senso, vanamente, dopo la disastrosa carriera scolastica . Per questo quando sono arrivato qui ho seriamente pensato alla mia vita e allo scopo di essa.Il pensiero riflessivo, che stanca la mente e la rende impiegata dai pensieri ,è un’azione quasi spirituale, a cui pochi dedicano la giusta meditazione. Il primo passo è sempre ammettere di avere un problema giusto?Oppure ,in questo caso , una mancanza.Mi sentivo una persona incompleta , non sicura di sé, per la quale non puoi non programmare una discussione se vuoi evitare imbarazzanti sguardi silenziosi.L’unico modo per me di sentirmi meglio era accrescere me stesso, facendolo nel modo più “occidentale “ possibile : cercare sempre più consensi.Una megalomania conoscitiva , potrei dire, fatta di corsa e con sempre più crescente desiderio di sugellare famelicamente quella mancanza che ho scoperto in me.I miei rapporti con le persone sono diventati deprimenti, vuoti , di circostanza. I miei compagni d’università sono ovviamente più piccoli di me, eppure in cuor mio sento che l’ultima parola spetta sempre al “demone famelico” al mio interno.Un’altra cosa che tutti sottovalutano sempre è porsi domande , anche quando si è accecati dalla convinzione delle proprie azioni , e il bisogno di porre a discussione le proprie azioni viene meno. Io però, sto attento a non cadere nella trappola, e mi pongo la riflessione : l’ansia di fare e di crescere mi ha portato a considerare le persone una perdita di tempo, soprattutto coloro che non “sfamano il demone”.Mi sono sentito in una situazione scomoda : avere un senso di colpa ed essere dunque cosciente di sbagliare nel comportarmi così senza ,però, sentire un bisogno emotivo che mi spinga effettivamente a contrastare il demone Forse perché sicuro di poter zittire quando avrei voluto il demone , ma sbagliavo. Isolarsi nella propria ambizione egoistica rende inumani, incapaci di provare i sentimenti che permettono di sentire la vita.La mia condizione è diventata chiara quando ho conosciuto una ragazza ,Violetta, anch’essa frequentante la mia facoltà. Una persona che in circostanze diverse dalle mie “sarebbe da amare”.Con lei vivevo momenti autentici in cui il demone diveniva persuaso e calmo, trasformandosi in coscienza positiva. Il demone, tuttavia, nella apparente dimenticanza si risveglia sempre più violentemente. Violetta non lo capisce , come nessuno del resto. Così ,io rimango solo con una lacrima da clown che solca il mio viso mentre mi affanno a scrivere una lettera per Violetta migliaia di volte, a causa del contrasto con la creatura dentro me. Quella lettera è semplice, scarna, e riporta solo una frase sottratta ad un senso “…perché ho bisogno di te, e ti vengo a cercare”.
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