Pubblicato il 01/06/2015 08:47:33
Poesie tratte da “Le vie dell’errore” - in Anterem: Rivista di ricerca letteraria n.90 per “1976-2015 Quarant’anni di poesia e pensiero”. Anterem Edizioni 2015
TERRE INSEPOLTE
Il gorgo della materia
diventa un esploratore di spazi destinati al divenire il vivente quando lascia le terre dell’acqua per raggiungere l’infinito patire dov’è in questione l’errare oltre che l’esistere a malincuore nella sua inclinazione all’esilio che è propria dell’essere umano così com’è manifesto il destino di cui si fa portatrice la vita nel richiedere a ogni passo un progressivo attenuarsi della luce
Il fiume che si divide
ci richiama all’amarezza la sostanza indefinibile del vuoto cui siamo assegnati unicamente per gravitare intorno a forme appena accennate da forze esterne che dall’acqua si sollevano mentre svaniscono altre forme relittuali all’incedere dell’apparire certificando nella corretta posizione di naufraghi noi viventi nei limiti all’uomo assegnati nella sua vicenda terrena che nasce come speranza e gioia per incupirsi fatalmente nella pena come fa il metallo che in principio di purezza suona per poi forgiasi in lama tagliente allorché si pone in stretta relazione con la terra di esilio che ancora non abbiamo imparato ad abitare
Il lago delle terre di vetro e neve
diventano luoghi connessi al dolore le terre di vetro e neve legate come sono all’interno di darsi al mondo in un affiorare che sfugga al peso di ogni temporalità così da implicare un’abissale presenza in stretto rapporto con la fonte del bosco dove il passato si colloca oltre il limite delle umane forme espulse dalle acque non ancora divise tanto che si ode fin sulle rive lontane il notturno intonato da chi ospita tuttora copiosa l’acqua sulle terre da cui partono i destinati al naufragio
Le acque dell’uomo
non è riconoscibile nella ricomposizione delle parti la fonte remota del ghiaccio e del carbone né si dà nella forma del fiume l’orizzonte destinato alla terra le cui acque defluiscono dalla pietra per la spinta delle onde sottostanti contro la superficie litorale in cui si specchia il volto del figlio che curvandosi su se stesso condivide con gli uomini il volto inerte e senza colore del padre
Il cielo disabitato
diviene la propria negazione a in pari tempo se stesso l’essere umano che nella caduta è divorato dalle ombre quando accede al presente sui limiti di un precipizio non essendo che un albero cresciuto su poca terra connesso strettamente com’è alla fragilità di un’efflorescenza che di carne e argilla è fatta nell’opaco fondo animale
La valle del principio
non l’incertezza è all’origine di queste mutilate apparizioni ma un grido sottratto ai viventi dall’impietoso sorgere del sole quando viene loro impresso il marchio dell’obbedienza anche se altro non fanno che sfuggire alla morte votati come sono all’esilio nel condividere con i caduti la verità che la donna con il cesto dei fusi annuncia percorrendo a ritroso una tenue curva di collisione che all’orizzonte si configura tra cielo e mare e fa pensare a una moltitudine di uomini in catene come fanno le stelle davanti a un ventre generante
Il paradiso perduto delle tenebre
nella forma di legame che mantiene separati i differenti per un tempo che potrebbe anche essere indefinito rappresenta per gli esseri umani l’ultima ombra la vecchiaia spinti come sono verso l’oscuro tratto costitutivo della vita che nell’antiterra riconosce la vera abitazione dei mortali nell’insopprimibile incedere dell’insensatezza della fine
La Recherche ringrazia l'autore Flavio Ermini per averne concessa la pubblicazione.
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