L’autore qui intervistato è Saverio Maccagnani, secondo classificato al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, VII edizione 2021, nella Sezione B (Racconto breve).
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Ciao Saverio, come ti presenteresti a chi non ti conosce? Qual è la tua terra di origine?
Sono nato e vivo a Reggio Emilia. Mi avvio a toccare i tre quarti di secolo (virus permettendo!). Ho svolto attività di docente e poi di dirigente scolastico. Sono soprattutto scrittore di racconti. Ho anche al mio attivo una produzione di testi di accompagnamento per opere didattico-musicali per il comune di Suzzara (MN). Ho vinto alcuni premi nazionali di narrativa. Ho ottenuto numerosi piazzamenti e menzioni in concorsi letterari nazionali.
Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?
Intanto ringrazio per il riconoscimento ottenuto. Non è la prima volta che invio i miei testi al Premio Letterario “Il Giardino di Babuk”, rientrando spesso nella selezione finale degli autori di Racconti brevi, ma non avevo ancora ottenuto un risultato così importante. Tra i tanti premi letterari offerti a chi ama scrivere ho sempre apprezzato lo “stile” di questa manifestazione, capace di assicurare ai partecipanti attenzione disinteressata e competenza nei giudizi, oltre a promuovere i testi (sia in prosa che in poesia) di chi ha la passione per la scrittura.
La mia partecipazione a vari concorsi letterari non presuppone l’ambizione di una carriera di autore. Non ho mai creduto che qualche editore pensasse a investire su di me, tanto meno ora che non posso essere considerato una “giovane promessa” né ho mai potuto contare – anche per mia noncuranza– su una distribuzione affermata oltre l’ambito locale.
In fondo ho sempre scritto le mie storie fin dalla giovinezza, ma la professione – soprattutto quella di dirigente scolastico – mi ha completamente assorbito. Dato che in fondo più che uno scrittore sono uno come tanti” a cui piace scrivere”, adesso per me un riconoscimento come questo aiuta soprattutto a incoraggiare la mia autostima e stimolarmi ad affinare la mia capacità espositiva. In realtà sono un “dilettante”, ma da intendersi nel senso più nobile della parola.
Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?
Non mi è facile rispondere a questa domanda. I “miei” autori sono tanti, forse troppi, forse troppo rivelatori della mia età: Hemingway per l’uso sapiente del dialogo; Borges per i contenuti fantastici; Céline per la sua “petite musique” capace di rendere la velocità e l’ingorgo dei sentimenti; Tolstoj per la visione potente dell’animo umano e della storia. Mi piacciono in particolare gli scrittori sudamericani per il loro approccio alla realtà a volte un po’ surreale. Non provo particolare interesse per gli autori italiani, salvo Pasolini, Sciascia, l’emiliano Guareschi e il reggiano Silvio D’Arzo.
Secondo te quale “utilità” e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?
In fondo siamo tutti scrittori quando vogliamo comunicare intenzionalmente agli altri un nostro pensiero o trasmettere un’emozione. Alla luce di questa concezione “democratica” diffido quindi dello scrittore per mestiere, un intellettuale che mi pare condannato a doversi esibire continuamente, magari seguendo “l’onda” piuttosto che generare idee e opinioni
Personalmente preferisco mantenere un margine di riservatezza e tanta prudenza, soprattutto in rapporto all’invadenza dei social. Purtroppo nessuno scrittore è riuscito a trasformare il mondo. Forse per questo perfino i fondatori delle grandi religioni non hanno lasciato nulla di scritto di loro pugno, privilegiando l’oralità. Hanno lasciato fare ad altri, forse imprudentemente.
Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.
Ho incominciato a interessarmi alla scrittura creativa già dalla scuola media, grazie all’influenza di un bravo insegnante che favoriva nei suoi alunni il gusto della lettura (dai classici agli autori “moderni”, soprattutto di area anglosassone), la “competizione” letteraria e una “visione” fantastica e liberatoria (ma non “anarchica” e fine a se stessa) della realtà.
Sono caratteristiche che mi hanno accompagnato in tutto il corso di studi fino all’università, quando proprio la “realtà” si è fatta sentire prepotentemente (si era dalle parti del ’68). Mi ritrovai all’interno di un gruppo di amici a scambiarci libri e a produrre alcuni numeri di una “fanzina” ciclostilata nella quale, in forma di scrittura, i temi “sentimentali” (naturali a quell’età) si mescolavano alle istanze politiche e sociali.
Poi le ragioni della vita hanno fatto prendere altre strade ad alcuni di noi, ma sempre “dalle parti” della valorizzazione espressiva. Capitava, però, in alcune occasioni di incrociarsi e confrontarci alla luce delle varie scelte: l’insegnamento, il giornalismo, la fondazione di una piccola casa editrice, addirittura il mestiere di burattinaio, tante occasioni per mantenere vivo l’interesse per la comunicazione espressiva.
Alcuni miei racconti sono stati inseriti all’interno di volumi antologici pubblicati dalle Edizioni Diabasis di Reggio Emilia, nelle raccolte n. 5,6,7 dei “Racconti Emiliani” delle Edizioni Consulta di Reggio Emilia e sono comparsi sulla stampa nazionale, locale e a cura di altre case editrici in occasione di concorsi letterari nazionali.
Come avviene per te il processo creativo?
Da dilettante quale mi ritengo, non vivo il processo creativo come un impegno doveroso, ma come un’espressione liberatoria, occasionale a secondo dell’interesse che un fatto, un sentimento, un’emozione, un ricordo hanno suscitato in me. Mi piace utilizzare differenti registri espressivi: da quello più alto -fino alla ricerca della prosa d’arte- a quello popolaresco vicino al “parlato”. Mi piace inserire un pizzico di erudizione nell’uso dei termini, fare attenzione a tutte le possibilità espressive offerte dalla lingua, curare la precisione della parola e la costruzione del periodo, nel quale a volte nascondo apposta (“darzianamente” appunto) ritmi e pause presi in prestito dal linguaggio poetico. Poi lascio che la scrittura mi porti dove vuole. Alla fine, però, ho bisogno di un lungo processo di rielaborazione e di revisione dei miei testi. Magari di mistificazione. Non sono mai soddisfatto.
Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi, se ci sono, con la tua scrittura?
La scrittura è soprattutto un piacere; è sperimentare me stesso in uno sforzo di autocoscienza in un mondo dove sempre si corre e si mercifica tutto; è la speranza di un dialogo seppure a distanza con un lettore paziente che si dà il tempo di “ascoltare” e di riflettere a sua volta; è la possibilità di meditare con calma sulle proprie esperienze e sulla propria umanità, per mettere in evidenza quanto in esse ci sia di universale.
Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?
Non credo di essere particolarmente originale né nei contenuti (ma chi lo è se ormai “tutto” è stato detto?), né nel linguaggio. Mi ha sempre colpito il periodare “manzoniano”, articolato, a volte complesso. Vorrei tanto essere più chiaro (più moderno?) e più comprensibile a una prima lettura. Anche secondo il giudizio di alcuni che hanno avuto la pazienza di leggermi tendo alla complessità del periodare (eccesso di ipotassi?) e all’allusività a rischio di apparire un po’ “oscuro”.
Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato un’evoluzione nella tua scrittura?
Sono consapevole che molti miei testi – magari quelli che ritengo meglio riusciti - alludono al mio vissuto. Ma pur avendo lavorato per moltissimi anni nel settore dell’istruzione, non ho mai avuto la tentazione di parlare del mondo della scuola o delle mie esperienze in esso. Neppure in maniera trasfigurata. Rimozione? Eppure è stata un’attività che mi ha dato moltissimo sul piano professionale e umano. Invece ho continuato a scrivere racconti un po’ surreali sulla realtà d’oggi. Soprattutto è l’universo femminile che mi interessa perché credo che siano le donne l’elemento di congiunzione tra le persone, i fatti, i luoghi, le memorie. Eppure nei miei testi non manca una dose di pessimismo, perché ritengo il mondo irriformabile nonostante le buone intenzioni.
Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Racconto breve, scrivi anche in versi? Se no, pensi che proverai?
Non mi sono mai impegnato a scrivere versi, almeno degni di essere proposti a lettori un po’ esigenti. La produzione poetica non è mai stata nei miei interessi. Però non vuol dire che non abbia utilizzato nella scrittura una scansione versificata per sostenere ritmicamente il periodare (endecasillabi, settenari, alessandrini…). Ho utilizzato questa tecnica in racconti brevi e lunghi, anche pubblicati. A volte mi accorgo che la scrittura mi ha portato naturalmente su questa strada, allora la lascio fare, anche se ho notato il pericolo che questa melodia occulta mi prenda la mano. Ma è un buon esercizio per costruire un linguaggio più sintetico.
Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?
Molto. Devo molto alla mia terra: le storiche lotte della sua gente, l’arguzia e la cordialità delle persone; la natura incontaminata del crinale appenninico e il paesaggio ben antropizzato della pianura; le città e i borghi; le storie legate al Po quel grande fiume che disegna a nord i confini della mia regione; la cultura, da quella popolare (i burattini) alle forme più sofisticate delle varie arti.
Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?
Credo che un esempio del rapporto tra immaginazione e realtà sia rappresentato proprio dal mio racconto segnalato quest’anno. In esso la realtà è stata trasfigurata in modo paradossale. In fondo quella fuga dalla realtà del protagonista in volo su una seggiola è il racconto di un momento di disagio personale all’interno della percezione delle crisi della società moderna (la pseudo scienza, la cultura mercificata, l’insulsa comunicazione sociale, la banalizzazione della fede, l’ingordigia di beni materiali…) a cui diventa impossibile sottrarsi se non rifugiandosi nella contemplazione della natura e affidandosi all’imponderabile. L’invettiva, almeno in questo caso, non serve. Invece è proprio appropriata la “leggerezza”.
Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?
Ahimè! A volte non sono nemmeno profeta in patria, in quanto quelli che io chiamo “i miei tre adorabili lettori e mezzo” cioè mia moglie, le due figlie e la nipotina - per le ragioni del lavoro e dell’età - faticano a trovare il tempo, le motivazioni e la concentrazione per dare retta alle mie fantasie.
Al di là dello scherzo, quando mi è capitato di rendere pubblici i miei testi (nei concorsi, nelle edizioni a stampa, sui giornali…) ho ricevuto graditi apprezzamenti. Ma il fatto che non ambisca alla grande tiratura (né cerchi una fastidiosa notorietà, né doviziosi emolumenti) consapevolmente mi confina ai margini della notorietà.
“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?
In effetti nonostante la curiosità verso il nuovo possa essere un pregio, non si dovrebbe leggere a caso pressati dalle mode. Quando invece leggere è una scelta ponderata non ci si accontenta di sfogliare le pagine rischiando la dimenticanza. Abbandonarsi al piacere della vicenda è imporsi la disciplina dell’attenzione, soffermandosi su ciò che l’autore ci sta comunicando di sé, ma anche di noi. È annotare, magari sottolineare la pagina, ripensare e interrogarsi sui “perché” emersi che, guarda un po’, possono essere proprio quelli che riguardano “noi” e l’umanità che ci circonda.
Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici? Hai scritto recensioni di opere di altri autori?
Non ho l’ambizione (l’illusione?) di credere che quello che scrivo debba essere esemplare, fatto salvo che credo sempre in ciò che propongo per una pubblicazione. I miei parametri per prendere in considerazione un testo altrui forse sono ancora un po’ troppo da “insegnante”. Faccio un po’ fatica a superare i concetti “crociani” di contenuto e forma, ma li considero una buona base di partenza. Apprezzo se una narrazione, magari anche costruita intorno a un argomento scontato, viene proposto in modo originale. Apprezzo anche la chiarezza espositiva di un testo, l’uso non banale del dialogo, l’attenzione alla competenza lessicale, l’intreccio non forzato da soluzioni cervellotiche.
Da alcuni anni partecipo a una competizione letteraria nella quale altri scrittori “dilettanti” come me valutano, in forma anonima i romanzi altrui e a loro volta ricevono la valutazione del proprio. Pur prestando attenzione a non esprimere consensi temerari, ma anche a non offendere l’autore di un testo improponibile (riconosco però che “noi” che ci dilettiamo di scrittura siamo tutti suscettibilissimi davanti a un giudizio troppo critico!) raramente mi sono imbattuto in qualcosa di notevole. Se da un lato apprezzo in un testo un buon ritmo narrativo, senza inutili luoghi comuni, in cui i personaggi sono descritti efficacemente e agiscono con naturalezza, da un altro lato non posso apprezzare una narrazione che non si sottrae alla prolissità e a una certa vacuità linguistica o che non presenza originalità stilistica né nei dialoghi né nel racconto
In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?
«Il volume contiene testi tra il surreale e l’esoterico, ricchi di echi letterari. Tra bizzarre vicende di Amore e Morte tra il ‘900 e oggi in un territorio simile al nostro, si sviluppano sette brillanti narrazioni venate d’ironia.»
(pubblicato nel 2017 sul quotidiano “Il Resto del Carlino” in occasione della vincita del “3^ Premio Letterario Silvio D’Arzo” con il volume di racconti “La Ricreazione. 7 storie per 7 giorni”)
C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”
Un amico a cui a volte mostro in bozza le mie scritture, spesso sottolinea quella che lui chiama una certa “oscurità”, pur apprezzando l’impianto narrativo. Se l’ ”oscurità” è dovuta alla pesantezza della costruzione sintattica, cerco di semplificare il più possibile il testo in forma paratattica. Se invece l’“oscurità” riguardava il contenuto sottinteso… be’,allora....
A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?
Continuo a scrivere racconti e a inviarli (singoli o in raccolta) a qualche concorso letterario nazionale che lasci trasparire una parvenza di serietà. Inoltre pubblico da anni su una rivista di storia locale alcune mie ricerche.
Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?
Tra i miei interessi emerge preponderante un’antica passione per la Storia. Leggo soprattutto riviste e saggi storici. Sono socio corrispondente della locale Deputazione di Storia Patria.
Come tanti spero di tornare presto a frequentare cinema, teatri (prosa, concerti) e a visitare mostre.
Mi piace viaggiare e vivere il più possibile all’aria aperta. Pratico (con moderazione) l’esercizio della bicicletta che pedalando-pedalando, come suggerisce un famoso politico di queste parti, favorisce la meditazione.
Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?
Dalla mia modesta esperienza ho ricavato che il piacere della scrittura è impagabile e va al di là dei riconoscimenti. Aiuta a conoscersi e a migliorarsi.
La libera scrittura in rete rappresenta una grande opportunità per farsi conoscere, ma io sono ancora molto legato alle edizioni cartacee.
Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?
Se mi domandassero: “Rifaresti tutto quanto?”, risponderei: “Dato che “Non escludo il ritorno” (come si legge sull’epitaffio di un famoso cantante) cambierei tante cose, ma non rinuncerei al piacere della scrittura”. Non sarebbe bello?
Grazie.