Hanno proibito la nostra esistenza sotto la forma di un partito del passato, e questo ancora può essere sopportato – da vinti dobbiamo subire la conseguenze naturali imposte dai vincitori. Ma ciò che non può essere in alcun modo tollerato è il soffocamento che esercitano nei nostri confronti, con i loro comandamenti e le loro sentenze senza possibilità di appello. Qui la storia non c'entra assolutamente nulla, né il diritto positivo che credono di poter deformare a loro piacimento. Parlo di “noi” perché non voglio tirarmi fuori da questo processo, pur non appartenendovi direttamente, ma volendo prender parte a quella che a mio avviso, oggi, non può che mutarsi da status indiscusso a svolta epocale.
Il ruolo che tutti questi ferventi “democratici” hanno giocato è un compito infamante, contro il quale un tempo si sarebbero ribellati in molti. Oggi fa comodo, oggi è ignorato; e forse gli si accorda persino una legittimità dovuta ad una pigrizia intellettuale senza pari.
Costoro hanno esercitato uno strapotere che si è sorprendentemente adattato ai principi a cui dicono ispirata la Costituzione del nostro Paese. Invocando uno spirito guerrigliero da più parti frainteso, infatti, ci hanno imbavagliato per bene, fingendo di fare il bene collettivo, di tutelare tutti da un fantasma, da uno spettro, che loro per primi non riconoscono di aver definitivamente distrutto. Se effettivamente fosse stata una giusta vittoria, perché temere un nemico ormai annientato? Il fatto è che la loro paura fa sì che invochino una temporalità sconquassata, così ci relegano ad una storia che noi conosciamo bene e che non siamo disposti a rinnegare così facilmente. Ma lì ci immobilizzano, e ci impediscono di procedere.
Non vogliono capire che è inutile chiamarci fascisti, a quasi cent'anni dalla scomparsa del Littorio dalla bandiera nazionale; non riescono a scongelarsi nemmeno loro, ed i nostri visi e le nostre idee sono ancora viste in bianco e nero. Deriva da queste restrizioni il crescente fenomeno di irrigidimento a cui alcuni sono soggetti: così ricompaiono i vessilli del Ventennio, i simboli, le foto, i documenti ed i discorsi. Deriva da queste restrizioni il tentativo che alcuni fanno di trasporre valori storici di mezzo secolo fa ad oggi, alla nostra contemporaneità: ciò è dovuto al fatto che proibendo un'identità nuova non si fa che incrementare il ricordo ad un'identità superata. Ritornano allora gli squadristi, i pestaggi, le violenze, perché sono le uniche espressioni permesse ad una parte politica da parte di un'altra; ritorna uno squilibrio che mette in pericolo la convivenza civile. Ma i responsabili sono solo apparentemente i protagonisti di queste violenze; più profondamente io individuo in coloro che inneggiano ad un perenne stato di Resistenza i responsabili di questi conflitti.
So che questo ragionamento può sembrare impopolare, eppure è reale questa “relazione pericolosa” che si è instaurata a partire dal secondo Dopoguerra. Ma non è questa l'occasione di parlarne più dettagliatamente – mi riservo la spiegazione per un altro momento. Quello che ora ritengo sia importante trarre da questo ragionamento, riguarda le conseguenze che tale processo produce. Un soffocamento controllato, appunto; o per meglio dire, una censura dolce, mascherata da difesa della democrazia, da protezione della Repubblica e dei principi a cui essa è ispirata.
Io rifiuto allora di chiamarmi democratico non per odio della democrazia, ma per odio di questa democrazia che si è formata sulla falsa riga della vendetta e della censura. Io voglio chiamarmi libero in in paese di libero, dando a quest'aggettivo un colore diverso da quello di stelle e strisce.
Non si tratta di fare ideologia, ma di proporre un'alternativa. E questo sul serio, a mio avviso, trae fuori molti di noi e dalle formazioni nostalgiche del Ventennio e dei fari partiti della gno**a formatisi attorno a losche figure di imprenditori (più o) meno onesti.
Cambiare? È possibile, ma solo nel momento in cui ci venga dato il diritto di poter aprir bocca, di poter parlare ed esprimerci liberamente, senza essere azzittiti e cacciati nel passato, nei vicoli bui di una storia che si è cessato di esplorare (sulla quale si è espresso un immodificabile giudizio).
Questo è possibile, perché il movimento di cinquant'anni non ci è indifferente. Faccio un esempio, tra i tanti, concludendo questo mio breve intervento programmatico.
Il fascismo temeva la diversità e qualunque forma di alterità. Così pure la temeva la Russia stalinista...ma vedete? I comunisti esistono ancora – per quanto fiacche ed anacronistiche siano le loro proposte – eppure l'occasione di evolversi dal totalitarismo l'hanno avuta.
Dicevo, appunto, che il Fascismo ha sempre disprezzato il diverso, chi non rientrava nei canoni del perfetto “uomo italiano” e mirava ad uniformare tutti entro un disegno comune, un modello condiviso ed imposto alla società italiana di allora. È chiaro che questo si mostra come un errore non tanto per le conseguenze che ha prodotto (comunque rilevanti), ma, da un primo acchito, per l'impossibilità che noi oggi verifichiamo nel riuscirlo ad applicare effettivamente alla società (sia da un punto di vista strettamente pratico che filosoficamente pratico – morale). Chi ci chiama fascisti ci crede allora così stupidi?
Non siamo indifferenti ai progressi. Ma lasciateci progredire: solo questo chiediamo.
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