Pubblicato il 25/10/2008 07:34:33
In una zona desertica del Messico viveva una donna. Il corpo nervoso, la pelle bruna, capelli corvini, selvaggi ed incolti. Incedeva con passo a volte così lento che chi s’era nascosto per spiarla tornava sui suoi passi perché era impossibile per chiunque attendere tanto tempo ed altre, invece, correva come la leonessa: un attimo era lì accovacciata in terra ed una frazione di secondo dopo, era scattata così in avanti che chi s’era nascosto per spiarla tornava sui suoi passi perché era impossibile rincorrerla né carpire con lo sguardo dove sarebbe finita la sua corsa. Eppure, nel villaggio, c’era chi diceva di averla vista in volto. Chi la descriveva vecchia e rugosa, chi giovane e bellissima. Ma tutti ripetevano la stessa cosa: i suoi occhi erano terribili, un pozzo nero che chissà dove avrebbe potuto condurti, uno sguardo penetrante che ti spogliava fino alle ossa e oltre, fino all’anima, un bagliore feroce di luna nel buio dell’ iride che ti lasciava senza fiato né coraggio. D’inverno vestiva di pelli d’animale e d’estate di foglie rubate chi sa dove. I più anziani solo sapevano la verità. La donna era una curandera mazateca. Era una potente sciamana. Fin da piccolissima era stata scelta dal suo maestro perché, appena partorita, non aveva pianto e sua madre non aveva cacciato un solo urlo quando lo sciamano le aveva tagliato il ventre perché quella figlia non voleva nascere come tutti gli altri figli. E la ferita, quando gliel’avevano messa accanto si era richiusa da sola. Quella bambina sarebbe diventata una sciamana. Per lei non c’era stata infanzia, né spensieratezza: l’apprendistato era stato lungo e difficile, le iniziazioni dolorose e, spesso, pericolose. Ma alla fine era diventata una potente curandera: poteva ingerire i niños sagrados(1) in grande quantità e i suoi viaje erano bellissimi: quando cantava per entrare in trance dalla sua bocca uscivano meravigliose poesie. “Donna che tuona io sono, donna che suona Donna-ragno io sono, donna colibrì io sono… Donna aquila io sono, donna aquila importante io sono. Donna mulinello del turbine io sono, donna di un luogo sacro, incantato io sono, donna delle stelle cadenti io sono…”(2) Per completare la sua velada, danzava: l’ingestione del San Isidro(3) doveva essere accompagnato dal canto e dalla danza perché guarire è un’arte e un'arte che non è in grado di guarire è inutile. Poi, iniziava la lotta mortale con gli invisibili alleati da cercare nell'altro mondo: non tutti erano disponibili e lei doveva combattere e sopravvivere per costringerli ad aiutarla a guarire o a leggere nel futuro. Era divenuta potente sapeva invocare fuoco, terra, acqua e cielo. Poteva guarire gli inguaribili e vedere dentro le anime, passando attraverso gli occhi. Al di là dell’aspetto spaventoso che poteva assumere era una donna buona, invisa ai brujos che, avidi di guadagno, se pagati compivano ogni sorta di maleficio. Non chiedeva denaro ma solo il rispetto della sua gente. Poi, arrivavarono i bianchi: americani, europei. Carichi del loro sapere, della loro medicina, dei loro soldi e della loro religione: non potevano ammettere che qualcuno potesse guarire il corpo passando per l’anima, parlando con invisibili entità abitanti altri mondi. Erano interessati al potere dei niños sagrados perché potevano venderli spacciandoli per felicità. E non la ascoltarono: i funghi non dovevano essere sottovalutati, non potevano essere ingeriti per scopi superficiali. La sciamana lo sapeva bene: notti e giorni di digiuno ed astinenza avevano nella sua vita sempre preceduto l’assunzione del San Isidro, perché se non si è puri il fungo può ucciderti. E cosa c’era di puro in quegli uomini tronfi, ignoranti, che la trattavano con tanto disprezzo? Eppure lei li aveva messi in guardia, persino di fronte a tanta superbia non aveva potuto fare a meno di tentare di guarire. Ma i bianchi dissero che era pazza e la rinchiusero in un manicomio. E la interrogarono e fecero su di lei esperimenti. Ogni tanto uno di loro veniva e la attaccava ad una strana macchina. Un pezzo di cuoio fra i denti e, poi, le scariche elettriche. Ma cosa poteva fare la macchina a chi aveva mangiato fulmini e danzato nei turbini del vento? Finalmente, un giorno, la misero fuori e fuori tutto era cambiato: il villaggio, la gente. Il potere aveva ucciso la fantasia ed i soldi la vera fede. Così la sciamana aveva lasciato il suo popolo ed aveva scelto il deserto come dimora. È ancora lì, non si lascia accostare se non dalle bestie e non cura più nessuno, ma solo perché nessuno la va più a cercare.
1) Funghi allucinogeni 2) Canto mazateco di Maria Sabina, curandera mazateca 3) Psilocybe cubensis mazateca
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