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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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A luce fioca

di Alberto Vailati
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Pubblicato il 03/03/2015 18:26:43

Si stava spegnendo un’altra giornata; il vento pareva essersi fermato e scordato fra le colline brumose, rami, foglie e nuvole pazientavano silenziosi e immobili, mentre le ombre si allungavano e saturavano di pece i colori autunnali.
Gianni camminava greve e un poco incurvato; sorrideva fra sé, era soddisfatto per come aveva saputo tenere testa a Giulia: quaranta anni entrambi, si conoscevano e frequentavano da un paio di lustri. Amici, nient’altro che amici, seppure in un paio di occasioni le loro labbra si fossero sfiorate e le mani strette e accarezzate. Esagerata la timidezza e la desuetudine per le cose amorose. Erano in grado di viaggiare insieme, dormire nella stessa stanza e confrontarsi come fossero sposati, pure litigare e strillare.
Ma il sesso no, troppe complicazioni.
In compenso le loro menti si mischiavano e stuzzicavano in continuazione. Nello scrivere storie, nel cercare spettacoli da assaporare, nel leggere smaniosi libri più o meno pubblicizzati, di sconosciuti o artisti sulla breccia. La lettura era il loro collante e orgasmo compiaciuto e ricambiato. Allungò il passo: la notte stava allargando la sua coperta inodore e tentava di intimidire i primi fiochi lampioni e Gianni voleva velocemente rincasare e dimostrare a quella bisbetica cocciuta, quanto LUI avesse ragione e LEI torto.
Si erano dati appuntamento per cena, qualcosa di veloce seppure stuzzicante, un buon rosso rubino da odorare e degustare e l’ultima opera controversa da analizzare.
Era pronto, attese. Con l’uscio socchiuso. Aroma di minestra danzava per le scale, si infilava in ascensore e impregnava il tappeto in finta moquette. Rumore di telegiornali, voci frastagliate e male articolate, a rimbalzo fra i muri, quasi fossero palline da ping pong.
La sentì, era il suo modo di armeggiare con le chiavi, erano i suoi passi timidi, simili ad anime timorose che continuano a chiedere scusa. Si scostò, non poteva di certo dare a vedere come fosse da tempo, lì ritto, in attesa. Profumata, bouquet di vaniglia, lunghi capelli castani, lisci a proteggere il viso arguto, stigmatizzato da un naso incurvato all’insù. Labbra carnose buffamente contornate da una bionda peluria sottile e impalpabile, quanto quella di una bimba, sempre pronte però, a serrarsi e sbattere veloci, fosse solo per difendere un’opinione. Una mano esile sollevava la forchetta, l’altra decisa sfogliava il tomo da poco acquistato. Alzò gli occhi, lo fissò sorniona e “la lettura di un testo richiede una mente vogliosa di apprendere e spirito di condivisione. Come puoi dire che non ti ha emozionato? Come fai a rimanere insensibile a un linguaggio così ben dosato e armonico? Come puoi non immedesimarti in questa donna, nelle sue sofferenze e patimenti?”. Giulia parlava, anzi arringava, come suo solito; stasera stranamente Gianni non sapeva concentrarsi. Non vedeva il cuore ma la scollatura, non il cervello, quanto il fondoschiena. Non le parole,ma quella lingua rosata che saettava e sapeva sicuramente di buono. La fermò lambendo con la mano incerta la fronte e scostando la frangia. Si fissarono increduli. Si avvicinarono e baciarono.
Come in un libro dal lieto fine, la stanza si permeò di silenzio e ovattò nei sospiri. Il vento riprese a soffiare e sbattere sulle facciate delle case, divertendosi a spegnere e illuminare le finestre a intermittenza.
A luce fioca impararono ad amarsi

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