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lo strazio della fabbrica risultava indicibile
chi era dentro l’inferno della condizione operaia non diceva niente
e chi era fuori della condizione poteva dire tutto però non sapeva niente
quindi il poeta doveva calarsi nell’inferno quotidiano
ungersi le mani in quaranta anni di putiferi
partire alle cinque del mattino con la bicicletta
anche con venti gradi sotto zero verso la fine del mondo
con una furibonda allegria timbro la mia presenza
che attesta l’esistere anche di codesto sottoscritto
che iscrive anche lui i versi della nostra epigrafe
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uscire dalla fabbrica era come uscire da una guerra
dove si esce vivi solo per caso
tutto quell’unto polvere della trafilatrice
i saponi bruciati lo stridio dei ferri
il sudore che scendeva sino agli occhi
bruciava entrava nelle labbra
quest’urlo non potrà essere sentito
neppure gli urli di tutti noi messi insieme
chi non resiste verrà scaraventato
nel massimo dell’atroce
la fabbrica è l’ultima stazione
se ti licenziano è come se venissi sputato fuori nell’ignoto
in una caduta che non verrà attutita
l’operaio metalmeccanico è attaccato qualcosa di diabolico
il polacco dice che lavorare
per l’avvenire sotto i comunisti era ancora peggio
qualche macchina ferma sembra una cassa da morto
per chi sta veramente male mettersi sotto cassa malattia è difficile
di questo italiano straniero non sappiamo niente
si sa solo che puzza ed esiste
I testi sopra riprodotti sono tratti da Poesie operaie (EDIESSE, 2007 - Introduzione di Angelo Ferracuti e Massimo Raffaeli)
http://www.qculturae.it/index.php/categorie/voci/262-9-poesie-di-luigi-di-ruscio?fb_action_ids=10203801490890914&fb_action_types=og.comments
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