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Fiore di zucca

di Arianna Colli
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Pubblicato il 24/02/2015 11:05:24

 

Quel sasso alla bocca dello stomaco era lì dalla mattina stessa. Le pareva di vederlo, aggrappato al suo corpo e senza l’intenzione di andarsene via, aguzzo e ingombrante. Ce lo aveva messo, proprio quella mattina, suo marito. E non era neanche la prima volta. Certo in altre occasioni era riuscita strategicamente a “seminarlo”, esattamente come si fa con un incontro sgradevole. Lo aveva praticamente ignorato. Adesso no, non funzionava, avrebbe dovuto inventarsi un’altra strategia. Per esempio poteva dirsi che aveva capito male. Hai capito male disse a se stessa mentre spingeva il carrello della spesa ancora vuoto, attraversando le corsie del supermercato senza avere la pallida idea di cosa doveva comprare. Ma non aveva funzionato e le parole di lui, quelle parole così aguzze e ingombranti che le si erano incollate alla bocca dello stomaco, si facevano ancora sentire. Aveva quindi afferrato un barattolo di cibo per cani e lo aveva posato sul fondo dl carrello che adesso sembrava meno sconsolatamente vuoto. Così sembrerà che io abbia una meta si era detta mentalmente mentre cercava di capire se il sasso era ancora lì. Era ancora lì. La scatoletta del cane sul fondo del carrello le ricordava che loro, lei e suo marito, non avevano un cane. Non lo avevano mai avuto. Ma se l’avessero avuto? Cosa sarebbe cambiato se avessero avuto quel bellissimo cane bianco e pieno di pelo che dalla foto sulla scatoletta sembrava sorridere dalla felicità accanto al suo proprietario, anche lui sorridente? Forse le cose non sarebbero andate così. Ecco, sì.. si disse mentre per un attimo le era sembrato di aver trovato la strategia per allentare la morsa del sasso. Avrebbero preso un cane e tutto si sarebbe risolto. Ma il sasso era ancora lì. Aveva superato il banco dei surgelati e non le era sembrato che lì avrebbe trovato qualcosa di utile. Anzi. Chissà perché passando davanti ai pisellini Findus aveva avuto una morsa, come se quel sasso, oltre che essere dentro di lei, si divertisse a farci le capriole, nel suo stomaco. Qualcosa le ricordava che quel freddo lei lo conosceva bene e se lo portava dentro da un po’, da un bel po’. Chissà perché ma l’immagine di se stessa congelata come quella sogliola davanti alla quale stava sfilando con il suo carrello, le si era parata davanti e non la voleva lasciare. Questo reparto è veramente terribile aveva mormorato mentre infilava il pesce nel carrello, senza accorgersi dello sguardo perplesso di un impiegato che stava rifornendo il banco frigo. Scusi, sa mica indirizzarmi verso i pannolini? Credo di aver perso il corridoio dei prodotti per l’infanzia. La domanda all’uomo era stata un diversivo, un modo per distrarlo da quel “non so che” di surgelato che sicuramente stava guardando in lei. Con la testa bassa sul carrello come se fosse tutta presa a contare quante cose avrebbe dovuto comprare per il suo bebè si era allontanata velocemente da lui. I pannolini erano lì, tutti in bella mostra e divisi per età. Che età avrebbe dovuto avere il bambino che non avevano mai avuto? Sei mesi sarebbe andato bene e tutti avrebbero pensato che quella sua pancetta era la conseguenza di una gravidanza in età non più verdissima e l’avrebbero guardata pensando che coraggiosa!in fondo come si dice di tutte le mamme non più giovanissime che decidono di far un figlio. Si era fermata a guardare il contenuto del carrello pensando abbiamo un cane e abbiamo un bambino. Il sasso era ancora lì. Il dirsi che non aveva capito bene, che avrebbero preso un cane, che potevano ancora fare un bambino, erano strategie che non avevano funzionato, non erano serviti a mandare via quel sasso e quelle parole. Quelle parole che suo marito le aveva detto senza mezzi termini la mattina stessa Amo un’altra, voglio il divorzio. Da quanto tempo gliele aveva dette senza dirgliele? Da troppo tempo, da tutto il tempo che non aveva volute ascoltare, da quel tempo che ci era voluto a trasformarla in quell’orribile donna di ghiaccio che aveva accettato di continuare a vivere al Polo illudendosi di essere ancora ai Tropici. Naturale che io mi sia surgelata.. 

Come affascinata da un’improvvisa illuminazione aveva smesso di guardare il carrello dentro il quale il suo pesce aveva già cominciato a sciogliersi. Lo aveva mollato lì, in mezzo alla corsia del supermercato del quartiere dove abitavano da anni, insieme a quella spesa folle che non aveva più l’intenzione di pagare. Era uscita velocemente sentendo che dentro qualcosa le si era staccato e aveva cominciato a scivolare verso il basso, dallo stomaco in giù, in un percorso inarrestabile. Così occupata com’era a seguire quella strada che si stava aprendo in lei, aveva deciso di mollare anche la macchina, ben parcheggiata di fronte all’ingresso e di andare a piedi. La testa bassa in ascolto attento di quel sasso che si era scollato dal suo stomaco e stava rotolando via, giù, giù per l’addome, per le anche, per le cosce, passando per le ginocchia e finendo nel piede. Il destro per l’esattezza. Sul marciapiede di fronte al suo piede destro, poggiato lì chissà da quanto ma forse solo da quella mattina, un sasso, un piccolo sasso aguzzo le sbarrava la strada. Ferma di fronte al sasso, le ci era voluto solo un attimo per capire che cosa doveva fare. E con tutte le sue forze, con un unico movimento del piede destro, calzato in una scarpa classica di buona fattura, lo aveva calciato via. Aveva funzionato, era sparito, definitivamente. Il sasso non c’era proprio più, né sul marciapiede né nel suo stomaco, ma aveva lasciato il posto ad uno strano calore che non ricordava da tempo. Chissà ai tropici come si vive? Aveva sussurrato sorridendo alla piccola pozza d’acqua che si era formata ai suoi piedi, lì dove non esisteva più il sasso.

 

      

                                           

 

 

 

 

      

                                           

 

 


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