Pubblicato il 08/07/2014 16:27:31
È ancora d'oggi mio accudire - stando a me stessa come vuota eppure in un vibrato - il vento. E dico se non quello che non so - essere stata altrove, nel mito che confonde parco con eterno, i viali uno spavento d'ombre e meraviglia se i ricci velenosi dicevano "guai a te se mangerai la mia castagna" - le madri dolci parche con voci di sirene, riunite in cori di ovattate trombe chiamavano notturne - deposti i giochi come corone tra gli ippocastani, la corsa accesa di rinuncia, di nobile ritorno. Fervida notte aspettare il giorno. Non so di tutto questo il dio, non so dove il suo covo né ritrovare dentro i rovi la salita e la paura. So di un fruscio leggero, un cinguettio di stanze trasparenti nel calice dorato della sera - bagliori, ombre di una luce che era voce e tace in noi profonda.
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