Pubblicato il 14/06/2020 17:52:40
Di Pasquale D’Aiuto, avvocato. Premessa: amo il mio lavoro, è la professione liberale per eccellenza. Giurisprudenza è aperta a tutti, venghino. Università e corsi ovunque, esigenti o (molto) meno. Una cosa è certa: niente numero chiuso, tanta comprensione e capienza infinita. Abbiamo bisogno di giuristi, nella culla del Diritto! Poi fai pratica forense, che spesso significa ricalcare ciclostilati ed eseguire fotocopie – molti non riescono nemmeno in quello –, imparare a depositare telematicamente gli atti per il tuo capo, andare in udienza, seguire sempre la stessa tipologia di causa, fare adempimenti (cioè l’avvilente, inutile, piccola burocrazia che serve a rendere l’azione degli avvocati molto più lenta ed inefficace, a vantaggio dei debitori e di altre situazioni più o meno oscure). Solo i più intelligenti e volenterosi si cimentano, appena possibile, nella redazione di atti propri e provano ad iniziare un’attività davvero libero-professionale: molti, al contrario, decidono di non prendere iniziative, anche se potrebbero personalmente patrocinare già prima del titolo. Moltissimi, alla fine, non si arrischieranno nemmeno a firmare una diffida contro Trenitalia, per tutta la vita. Ma abbiamo bisogno di giuristi, nella culla del Diritto! Giungi all’esame di abilitazione, dove ti chiedono di redigere, nel massimo caos possibile, due pareri ed un atto. La correzione, perlomeno a me, appare ancora un mistero. Segue l’orale – se non ripeti dieci volte lo scritto, che si tiene una volta all’anno – che, se non superi, mediti il suicidio. Ma abbiamo bisogno di giuristi, nella culla del Diritto! Nel frattempo, continui a fare il praticante e, superato l’esame, divenuto finalmente avvocato, paghi per iscriverti e mantenerti all’Ordine e la Cassa Forense comincia a importi versamenti indipendenti da un reddito che non hai. Quindi, dovresti ingegnarti a lavorare per guadagnare autonomamente ma molto, molto spesso, non ci riesci e resti legato col cordone ombelicale, per un tempo indefinito, al tuo capo. Che, almeno nel sud, quasi sempre ti paga poco, se ti paga e (a meno che tu non sia fortunato come me, con il mio maestro) fa sempre le stesse cause, non ti fa accedere ai suoi file, non ti concede di aprire i suoi fascicoli, non ti insegna nulla. Diventi trentenne, trentacinquenne, quarantenne e non puoi permetterti una famiglia, una macchina, una casa. Ma abbiamo bisogno di giuristi, nella culla del Diritto! Intanto, ti rendono tutto sempre più difficile, con il silenzio colpevole dei colleghi che dovrebbero rappresentarti: tagliano gli emolumenti professionali, rendono vieppiù costoso l’accesso alla giustizia, ti impediscono di ottenere i soldi tuoi e quelli del tuo cliente, mutano leggi e codici ogni cinque minuti e sempre peggio (penso al codice delle assicurazioni o alla prescrizione), consentono una disorganizzazione tale da comportare rinvii delle udienze a mesi ed anni senza ragione, proteggono categorie di stipendiati dello Stato – a spese nostre – , non hanno cura degli uffici giudiziari, utilizzano soltanto il 15% delle potenzialità di internet, impongono modelli di risoluzione alternativa delle controversie concretamente inutili o quasi. Ti impediscono persino di autenticare firme se non per andare in giudizio (perché altre categorie, non stipendiate, devono essere protette e sempre a nostre spese) e, soprattutto, perpetuano per secoli le posizioni di potere, nonostante i warning di Corte Costituzionale, Cassazione e persino giurisprudenza di merito, impedendo il ricambio effettivo all’interno dei COA e delle rappresentanze nazionali. E queste sono solo le prime criticità che mi vengono in mente: intoccabili, statene certi. E per ragioni ben precise, legate alla preservazione dello status quo ed anche ad una buona dose di imbecillità. Però, alla fine, concedono a chiunque di fare l’avvocato, senza alcuna prospettiva concreta, senza programmazione, senza apparenti motivi. Perché? Le ragioni ci sono: perché, quasi sempre, noi ci accontentiamo di definirci avvocati, senza mai esserlo per davvero. Perché foraggiamo il sistema: tasse, Cassa, contributi, i soldi da qualche parte escono comunque. Avvocati irrilevanti, buoni solo a cacciar soldi e votare i soliti noti, spesso autentici schiavi di chi sa come gestire il potere acquisito (sovente, tramandato) e non vuole condividerne nemmeno un grammo. E amiamo questa professione così tanto che, in Italia, siamo circa 243.000 – in Francia, dove in Cassazione non domandano nemmeno la procura sottoscritta, perché è ritenuta ovvia, sono circa 60.000. E protestano pure; non come noi, che abbiamo il tanto decantato decoro soltanto nelle scarpe che consumiamo aggirandoci per gli uffici. Naturalmente, sono anni che si finge di voler cambiare le cose – numero chiuso, corsi specializzanti presso i COA, inclusione nella Costituzione, nuovo e serio esame d’abilitazione e così via – ma, chissà perché, non succede nulla. Già, chissà perché. I dati (Censis, rapporto 2018, http://www.cassaforense.it/me…/7194/rapporto-censis-2018.pdf ma anche il più “narrativo” 2019, http://www.cassaforense.it/media/…/rapporto_censis_-2019.pdf; benissimo il Giornale, anche se di qualche anno fa, https://www.ilgiornale.it/…/lazio-e-campania-pi-avvocati-ch…) dicono che, nel 1985, i legali italiani non erano nemmeno 50.000; poi, c’è stato il boom: nel solo 1995 gli Ordini contarono nuovi iscritti per l'11,6% di quelli già in attività. Oggi, nonostante la decrescita degli ultimi anni, l'Italia è la nazione con più avvocati d’Europa. Siamo 4 ogni mille abitanti, più o meno, con enormi differenze tra regione e regione. Naturalmente, la Campania è tra le più gettonate ma altrove siamo percentualmente meno e guadagniamo molto, molto di più. La contrazione generale dei redditi degli ultimi dieci anni è stata superiore al 20% e il reddito medio di un legale lombardo è 4 volte quello di un omologo calabrese. Sì: quattro volte. L’andamento del reddito medio annuo degli iscritti alla Cassa Forense, nel 2015, è stato praticamente uguale a quello che si era registrato venti anni prima e corrisponde una perdita di potere d’acquisto (calcolato sulle stime del valore del reddito rivalutato) pari al 29%. E povere colleghe meridionali: il top sono i professionisti maschi, residenti al Nord, ultracinquantenni, che dispongono di livelli di reddito medio-alti; il down sono le professioniste donne, giovani e residenti nel Centro-Sud, con livelli di reddito significativamente e decisamente inferiori alla media nazionale. Siamo una categoria maschilista e nordista. In Campania, naturalmente, siamo messi malissimo: rispetto ai 38.000 euro l’anno medi – che già non sono granchè, considerando quanto sia difficile, responsabilizzante e competitiva la professione – la media regionale è intorno ai 25.000, il 35% in meno della media nazionale. In Lombardia, per intenderci, guadagnano il 75% in più della media nazionale – cioè non rispetto a noi ma alla ben più elevata media del Paese! E si parla di reddito, che spesso non considera moltissime uscite, palesi come oscure. I dati sono questi e tanti altri, vi invito a leggerli. Però mi sembra significativo un ultimo elemento: i compensi per l’attività di mediazione sono quasi irrilevanti (6%, sebbene in lieve aumento). Significa che l’alternativa al giudizio, in Italia, praticamente non esiste. Censis 2019 recita, emblematicamente: “Ciò riflette, da un lato, un fenomeno di saturazione della dinamica quantitativa dell’accesso alla professione e, dall’altro, l’indebolimento delle opportunità di crescita economica che condiziona in maniera specifica alcune componenti della professione, ma che in generale riguardano la professione nel suo insieme”. Insomma: perché tutti vogliono fare gli avvocati? Per autentico slancio? Per senso civico? Perché hanno letto Cicerone in latino al Liceo? O perché dopo il diploma non sapevano cosa fare e Legge sembrava una soluzione multitasking e morbida? Un’idea ce l’ho ed ho anche un suggerimento: fate l’avvocato per passione oppure lasciate perdere.
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