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Dentro una passione

di Antonio Piscitelli (Biografia)

Proposta di Redazione LaRecherche.it

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Pubblicato il 26/01/2015 21:35:08

 

[Anticipazione del libro Dentro una passione, di Antonio Piscitelli, Edizioni Scientifiche Italiane, in occasione del Giorno della Memoria, 27 gennaio 2015]

 

 

[dal cap. 8]

 

Io so perché Scioltè stava diventando matto, pur senza darlo a vedere. Forse io stesso suffragavo quel suo farneticante ragionare, dopo che gli avevo detto di Seth. Non riusciva a pensare se non che la shoah-olocausto non opera umana fosse, ma di un’oscura forza del male che opera contro l’ordine universale. Così pensando, cessò di valutare serenamente i fatti e ineluttabilmente scivolò nel mito, nella leggenda, nell’irrazionale sentire con «animo perturbato e commosso». Lui era divorato non dalla sete di conoscenza, ma da un’insana passione.

Pare che i due fratelli di Berlino siano stati tra i rivoltosi del campo guidati da Aleksandr Aronovič Pečerskij, il celebre ufficiale ucraino ivi detenuto. Le testimonianze dei pochi sopravvissuti e i documenti raccolti dicono che, a parte coloro che perirono durante la rivolta, quelli riacciuffati dai nazisti nelle campagne circostanti furono tutti uccisi. Un colpo alla nuca davanti alla fossa che si erano essi stessi scavata. Otto e Hans erano tra loro.

– Nooo! – urlò Scioltè e l’urlo squarciò il silenzio attonito dei presenti, scosse la sala in cui eravamo, come uno scoppio improvviso.

 

 

[dal cap. 17]

 

Si annoiava il personale tedesco del campo. Così poteva capitare che, per svagarsi un po’, selezionasse un detenuto qualsiasi di sesso maschile, gli cucisse nelle braghe un topo vivo e gli intimasse di non muoversi, pena la fucilazione. Immagina. Cosa faresti tu, se avessi un topo vivo nelle mutande? Il prescelto era ovviamente condannato a morire prima degli altri. Un’altra pratica impietosa era quella di dar da bere le urine prodotte dai tedeschi al disgraziato di turno, dopo che si fosse ubriacato di vodka e avesse ingurgitato chili di salsicce. Non doveva vomitare. Se lo avesse fatto, sarebbe andato incontro a sevizie di ogni genere, fino a quando non fosse morto. Quelli che compivano queste atrocità erano uomini o bestie? Uomini, uomini, perché nessuna bestia potrebbe fare cose del genere.

È risaputo che i prigionieri erano immediatamente selezionati per sesso, per età, per condizioni fisiche. La signora de Vries teneva ben stretta al petto la sua bimbetta e non intendeva in alcun modo separarsene, ma la regola era che i bambini fossero uccisi per primi. Erano detenuti fin troppo scomodi da gestire. Un soldato tedesco impose alla madre di cedergli la piccola e, all’ostinazione di lei a non volerla mollare, lui prima le fracassò la testa col calcio del fucile, poi, quando la donna, tramortita, mollò finalmente la presa, gliela strappò dalle braccia e la lanciò, come fosse un fagotto di cianfrusaglia, nell’enorme falò che era stato acceso nei pressi, così che la creaturina morì bruciata viva, senza nessuno che potesse soccorrerla. Questo riferiva la lettera, ma diceva anche che il signor de Vries desiderava morire e sperava di essere inserito nel turno delle imminenti esecuzioni. Dopo l’orrore al quale aveva assistito, rifiutava la vita, rifiutava la condizione di uomo. Un altr’uomo aveva massacrato sua moglie e fatta morire una bimba di appena tre anni tra atroci tormenti.

 

 


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