L’opera di Martin Palmadessa L’amore è una guerra, uscita di recente nella collana poetica delle Edizioni Setteponti di Enrico Taddei, con significativa Prefazione della poetessa e critico letterario Lia Bronzi e notevole Postfazione dello stesso editore, costituisce, a nostro modo di vedere, una novità nel panorama letterario degli ultimi anni. E questo sia per il contenuto che per lo stile che richiama, come si è fatto notare, il modo di poetare dei simbolisti francesi del secondo Ottocento (Rimbaud, Verlaine, Mallarmé nonchè del loro padre spirituale Charles Baudelaire) come pure quello della Beat Generation americana degli anni Cinquanta del Novecento. Insomma, c’è, nelle poesie di Palmadessa, qualcosa che richiama, che ci riporta a un certo maledettismo sia francese che americano e potremmo aggiungere che talvolta lo stile del Nostro ci ricorda anche il modo di poetare di Jacques Prevert.
L’amore è una guerra, recita il titolo, ma si sarebbe anche potuto intitolare: La vita è una guerra, perché, in verità, è poi questo il messaggio implicito che l’autore vuol trasmettere: la vita è una lotta, è una guerra sin dal primo momento che veniamo gettati nel mondo (direbbe Heidegger) e questa guerra, questa lotta è durissima, spietata, sanguinolenta, crudele, soprattutto in tempi di mondo globalizzato, nel quale la parola poetica appare sempre più ai margini e sempre più clandestina. Ma il vero poeta non demorde, non rinuncia alla sua lotta, non rinuncia a combattere la sua guerra non foss’altro perché – come direbbe Albert Camus – egli è un uomo in (continua!) rivolta: un uomo che dice no, ma questo non significa che rinunci. E, infatti, Palmadessa non rinuncia e armato di simbolico elmetto, impugna la penna e mette nero su bianco. A dargli forza e coraggio è l’amore: l’amore per la donna che ama, l’amore per la vita, l’amore per gli uomini e, soprattutto, l’amore per la poesia, l’amore per la parola poetica che viene vista come unica barriera, unica diga al male che regna nel mondo e che condiziona le nostre esistenze, tanto da renderci fragili e facili a cadere vittime anche di noi stessi, dei nostri involontari errori, delle nostre più innocue intenzioni. Questo ci sembra il significato che si coglie in alcuni versi della poesia che dà il titolo alla silloge: Dovunque ti giri, comunque tu ti muova farai dei danni, / vetraio. E non sei infrangibile. / Metti il cuore in una teca antiproiettile e verrai fulminato dal / killer delle tue intenzioni più dolci. / Sei morto a prescindere. / Il killer sarai stato sempre e comunque tu.
Intanto, la guerra continua, tra volontà-necessità di cancellare emozioni passate e vecchi ricordi: Perdevo sempre. / A Risiko invece no / non perdevo mai le mie stesse armate / pareggiavo sempre le guerre / con me stesso / non finendo mai una partita. Così si legge nella poesia La mia guerra, guerra che prosegue anche nella visione dei barboni (San Francisco) lì sulla strada, sul / cavalcavia della vita, / sul viadotto del Nulla. E (in Ali di gabbiano) la lotta prosegue con questi versi: Respiri dolori di sale / e profumo di squali. / Sei l’esca / la carne / la preda, ma alla fine un sorriso di vittoria si afferma sulle labbra del poeta-gabbiano: Sorridi e poi spieghi le ali: è riuscito a vincere la battaglia: è riuscito a spiccare il volo, il volo che salva e rende liberi. Ne La punizione di Dio il poeta dice a se stesso: E dormi da sveglio / e i sogni sono come dei pesci / imprendibili: si vorrebbe poter sognare in mezzo a tanta guerra e vedere i sogni come realtà, ma non è possibile e ci si accorge che intanto il tempo scorre inesorabile e che anzi sembra essersi stancato anche lui di passare, di scorrere: Guardo / il mio orologio e / non ha più/ lancette (L’illusione del tempo). Intanto, Il dolore del mondo preme e il poeta, pur nell’inquietudine che l’opprime, sente di non demordere: Gocciolo di inquietudini / senza staccare / la spina dello sguardo / sul mondo, perché: La vita è meravigliosa / in ogni attimo / perennemente in bilico. E, l’io narrante, non può fare a meno (in Alea iacta est) di riflettere sul fatto che, a volte, nella nostra vita, in un secondo, in un attimo, appunto, si può decidere un mondo, si può decidere sul destino di milioni di uomini, persino dell’umanità intera. È stato un attimo a far decidere Giulio Cesare a varcare il Rubicone con tutte le conseguenze che poi ci furono: Colui che sarebbe diventato un / dittatore era un uomo. / In un secondo / ha scritto la storia. Intanto, si deve prendere atto che, nella guerra della vita e dell’amore, gli abbracci mancati / sono ombrelli chiusi / mentre sta piovendo (La vita vera) e che i colpi delle gocce sulle pozzanghere sembrano / bastonate inquietanti sulla terra della Vita (Bronzo & rose). E si sa che la vita impone delle Scelte e che dunque: Chi ha le ali deve solo / volare chi non le ha deve / solo vivere e schivare il fango.
Nonostante la guerra sia finita nel 1945, il poeta è costretto a prendere dolorosamente atto che la Guerra della vita e anche della morte, la guerra della nostra resistenza continua sempre ad essere combattuta (magari lottando contro una crudele pandemia o qualsiasi altro invisibile nemico): Siamo fuori dal 1945 / eppure in guerra / senza bombe / senza aeroplani / senza aquiloni. / Ma siamo in trincea. Siamo in guerra ma non dobbiamo perdere la nostra tensione verticale, la nostra tensione verso la salvezza e la vittoria finale: Si deve tornare a volare. / È questione di volere: si deve sempre sognare di volare e di vivere e vincere, ma occorre volerlo. E non va bene se la terra mostra i denti e tu sorridi / appeso all’altalena del tuo cuore (Amore e tempo) e si deve prendere atto che: Devi staccarti dai cuori di pietra / (perché) diversamente verrai lapidato (Battito impietrito). Siamo sempre in guerra, questa è la cruda realtà: Siamo in guerra / gli obici sferzano / i cannoni ti bersagliano / la gente si divide da sola. / Le bombe arrivano dal basso / arrivano da dentro. / Osservi questo dolore viola / con il cuore spappolato / per il mancato rumore / delle parole dolcissime / coronate dalle museruole / che nemmeno permettono baci (Guerra fredda).
La guerra della vita e la guerra dell’amore: si perde e si vince, in entrambe. Alla fine, l’io narrante ammette la propria resa incondizionata alla donna che ama e se ha preso l’anima di lei ha perso per sempre la sua e, per questo, la ucciderebbe (Ti ucciderei). E mentre la guerra prosegue, al poeta non resta che concludere con un lascito morale e culturale per il proprio figlio, che un giorno (Arriverà quel giorno), magari leggerà un libro di poesie del padre, quelle poesie con cui ha resistito, con cui ha combattuto la guerra della vita e dell’amore per e tra gli uomini: E d’improvviso ti sorrideranno / le foglie del ciliegio / e tu sentirai / da un lieve fruscìo delle foglie / che noi siamo ancora lì / a far poesia.