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di Salvatore Cuomo
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Pubblicato il 25/01/2015 21:26:19

“Come hai fatto ad arrivare fin qui?”.

Una squallida stamberga. Due sedie poste al centro della nuda stanza, sopra le quali stavano seduti due uomini ormai da diverse ore, un miserabile tavolino annerito dal fumo reggeva la lampada a olio.

“Tu mi chiedi come. Potrei rispondere che si è trattato di un grande gioco in fin dei conti. Prima ero io a comandare e poi tu, oppure dovrei raccontarti l’intera storia della mia vita, ma sono certo che in entrambi i casi non basterebbe, sappiamo come si concluderà tutto questo”. L’altro si accese una sigaretta consunta con un fiammifero, sfregandolo con delicatezza su una delle assi del tavolo. Esitò.

“Posso offrirtene una?”, l’altro non rispose. Indugiò ancora per un attimo, dopodiché trasse una profonda boccata. Sul tavolo erano disposte in fila ordinata cinque carte, illuminate dalla traballante luce della lampada a olio.

“Servirebbe a qualcosa?”, chiese quello. Una grigia nuvola di fumo si disperse nell’aria e piccole ombre si allargavano con essa.

“Credo proprio di no. Ti prego rispondi alla mia prima domanda”.

“Quando tutto ebbe inizio ci fu il caos, la gente correva per le strade, era terrorizzata. Cosa altro avrebbero potuto fare se non scappare? Niente, ma era lo stesso inutile. Molti di noi, me compreso, ce l’avevamo segnato al braccio cos’eravamo, cosa siamo ancora adesso, e quando ti porti dietro il simbolo della vergogna non esista via di fuga. Loro però scappavano, chissà in quanti si saranno salvati. Io dovevo pensare alla mia famiglia, a me stesso, quindi feci in modo di procurarmi i documenti necessari per lasciare il paese, mentre da tutte le parti i vostri alleati ci stanavano come topi nei magazzini. La sorte prima ti viene in contro, poi ti volta le spalle; già, perché i miei furono trovati prima ancora che riuscissi a portarli via. Mia moglie, insieme alla mie due figlie vennero impiccate per strada ai pali della luce. Le vidi da lontano, non ebbi neanche il tempo di salutarle, spogliate dei loro vestiti e della loro vita. Le carte false che feci firmare mi caddero di mano, tutte tranne una. Decisi che avrei avuto tempo di piangere per loro, giammai avrei sperato di recuperarne le spoglie, Dio solo sa cosa ne hanno fatto.

Scappai più lontano che potevo, vagai per molto molto tempo. Più mi allontanavo più perdevo la speranza, giacché guardandomi intorno mi rendevo conto che tutto stava crollando. Non c’erano più domande da porsi ormai, c’erano solo risposte e quando hai tutte le risposte che desideri, o fai come ho fatto io, o ti arrendi”.

Sul tavolo erano disposte in fila ordinate cinque carte, illuminate dalla traballante luce della lampada a olio: un jack di quadri, un asso di quadri, un tre di fiori, un cinque di fiori e un dieci di picche. Un silenzio carico d’ansia imperava nella stanza spoglia, financo la fiammella della lampada stentava a vibrare.

“Come hai fatto ad arrivare fin qui?”, chiese il primo. Il secondo sorrise.

“Credevo che avreste rinunciato, che una volta sfogata la vostra rabbia e il vostro odio avreste cessato con quella folle e insensata caccia. Invece no, voi dovevate prenderci uno per uno, guardarci negli occhi mentre ognuno di noi implorava per avere salva la vita, perché così è andata. Ci avete etichettati come mostri, abomini da mandare alla rovina, ma cosa c’entravano le nostre famiglie? Cosa c’entrava la mia di famiglia?

Quando siete venuti da me poi, credevo che avreste avuto un certo modus operandi, come era successo con gli altri, non credevo che sareste stati così pragmatici. Sono diventato un musicista, ci pensa? In fuga dal mondo perché considerato una blatta da pestare sotto lo stivale, per poi diventare un artista. Chi può saperlo, magari è stato questo il mio errore, o più probabilmente voi sapevate già dove cercare. Il resto è storia recente, e sa che c’è?”, alzò le mani davanti a sé, tenute legate da una corda di canapa. “Eccomi qua”.

L’uomo dinanzi a lui gettò via il mozzicone, guardò sul tavolino annerito.

“Non ha ancora guardato le sue due carte, se non le dispiace…”.

L’uomo con le mani legate lo fissò attentamente, i grandi occhi neri riflettevano la tenue fiammella. Abbassò lo sguardò e con calma prese le due carte, le girò con accortezza verso di sé. Sul suo volto in penombra si disegnò un ghigno enigmatico.

“Perché non ha fatto semplicemente come hanno fatto gli altri suoi amici? Perché non si è limitato a togliermi la vita come un cane allo stesso modo con cui ha fatto con gli altri? Chi sono io per meritare un simile trattamento, un servizio che ha quasi del dignitoso?”, l’altro non fiatò, curvò solo la testa indicando con gli occhi le due carte che reggeva a fatica tra le dita.

“Giusto dimenticavo. Carta alta, servito, non ho altro da puntare”. Ancora il ghigno, ormai beffardo.

“Io ho ancora qualcosa da puntare se lei permette”, Dalla giacca di pelle estrasse un rotolo di carta che posò sul tavolo. Il ghigno beffardo si spense lentamente, prese in mano il rotolo e lo aprì. Lesse.

Nomi, cognomi, date, luoghi. Tutti catalogati per giorni, mesi, anni. Non era un solo foglio, ce n’erano due. Le labbra ormai serrate, il ghigno ormai sparito.

“Perché le ho riservato questo trattamento mi chiede, perché lei è il peggiore della sua razza. Non si illuda però, non c’è molta dignità in questo come lei ha prima affermato. Un cane che giace per strada morto in una pozza stagnante, infestato di mosche e vermi che ne divorano le membra, ha più dignità di lei. Io non sono quella gente, quella che ha ucciso la sua famiglia”. L’altro lo guardava con aria spavalda, non c’era paura, né odio. Tutte le carte erano al loro posto.

Tris di dieci.

“Mi dica una cosa, se queste carte fossero ora invertite, sarebbe cambiato qualcosa?”. Chiese il primo dopo aver riposto i fogli di carta. L’uomo annuì tre volte col capo.

“Le manca la sua famiglia? Sua moglie e le sue due figlie?”. L’aria spavalda si dissolse, al suo posto una cupa espressione di rassegnazione.

“Ogni giorno della mia vita”.

“Allora se lei è davvero un uomo e ciò che dice è vero, non desidererebbe mai che quelle carte fossero invertite”. Un ultimo silenzio. All’esterno della miserabile stamberga la notte scorreva tranquilla, i grilli seguitavano con la loro interminabile melodia. I due uomini si guardarono fissi negli occhi, uno di loro osservò le sue due carte. Un otto di quadri e un re di picche, carta alta. Sorrise divertito.

“Allora che cosa stiamo as…”. L’altro tirò fuori l’arma e sparò.


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