Così credevo dal barbiere
non mi piace la bellezza da sfoggiare
negli apparati della mondanità sempre in guardia
sulla fascia rossa dei nastrini che non taglieremo per primi
forbici spuntate le nostre ali di papavero.
Cadendo constato il filo a piombo dei narcisi
per mietere vittime all'ingranaggio spappolato del domani
un solo prato dei tuoi scalpi
ricce gondole a prelevare lune di miele
come salmi d'ascesi da cantare di notte
per far fronte comune al passaggio svelato
del tempo in costume, una moda del lento
che dura la stagione dei tornadi
e piove un solco rosso tra le tue rughe
tagliando di mille cartoline inviate dallo spazio.
A me piace la bellezza che si vergogna
d'essere stata scoperta dalla persona sbagliata
in quanto triste per eccesso di credito
ma volenterosa d'infinite ricadute nel baratro.
Inguaribile romantico da carta stagnola.
Invega chi la piega la sorgente del pensiero?
Addio mio cosmo rarefatto lucidato a gommalacca
con i tamponi di una volta sul piano di noce
frequenteresti queste sponde se avessero maniglie per i baci?
Una sola voce: noi saremo tutto
quanti di luce a falangi da interrompere la storia
per quanti sono i battiti dei nostri cuori in fiamme
a spaccare il secondo
reversibili meccanismi sollevano il sipario
attori governano il palcoscenico avvolti nel loro sudario
indigeni dell'universo a caccia dell'applauso
dallo spettatore che hanno fissato per tutto lo spettacolo
credendolo non solo uno specchio ma anche un riflesso
del resto circostante
- non ti preoccupare che non ti voglio sto mettendo la testa a posto-
Musa non mi hai mai deluso
nemmeno quando mi hai condotto al rogo
con la scusa che sentivi freddo.
Mi siedo al mio capezzale
mi bacio sulla fronte in memoria di te.
Rasato a zero.
Da scrivere poesie a tatuar la pelle
quante derive concesse alla codifica rituale degli astratti!
Strana la voglia che ci prende di entrar nei quadri
senza un degno finale che ci lecchi le labbra:
onironauti mutanti della veglia, eroici ossimori carnali.
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