Mi tocca questo arduo piacevole compito, presentare l’antologia poetica 1963-2007 di Mariella Bettarini. Poetessa stimata e apprezzata per la sua onestà poetica ed intellettuale, per il suo fervore e per la sua capacità critica sempre attenta ai giovani e a promuovere la buona poesia. Una scrittrice di grande valore, un’amica, una compagna di viaggio per chi non voglia perdersi nei meandri del solipsismo ostentato, dell’aggettivazione, del lirismo, della scrittura scadente. Una donna che ha saputo e sa condurre una parva acies di amichevoli scrittori verso la poesia. La conobbi intorno al 1995 e fu un incontro subito delizioso, la sua disponibilità mi conquistò immediatamente, mi aiutò a lavorare sui miei testi, mi corresse col sorriso e col rigore, ero affascinato da quel suo modo gentile ma deciso di dire il suo pensiero sulla poesia, mai annacquato da convenevoli, ma semmai sempre schietta. Il lavoro poetico della Bettarini si sviluppa su molti anni di vita, di vicende, di dolori personali e sociali, attraversa per intero gli anni del fermento ideologico del Sessantotto, fino ai giorni odierni con le sue contraddizioni. Riguardo le motivazioni di questa antologia, riporto, meglio di altre mie parole, un estratto dalla “Nota dell’autrice”: “Perché questa corposa, quasi metà-secolare antologia di versi, ad accrescere il gran mare di carte, libri, segni, tomi, riflessioni, parole, enormi o parve testimonianze [.…]. Di certo, c’è il fatto contingente di tanti miei libri e libretti da anni esauriti (ma a chi cale) e la voglia, il bisogno di ri-trovarli, ri-averli, con essi (e con me) confrontarmi come di nuovo, rivisitando questioni e ferite, anni e lustri e gli abitanti loro: pensieri, persone, emozioni, utopie, speranze, desolazioni che siano, che fossero. […] da quei primi anni Sessanta, da quando iniziai – forse mio malgrado, ma certo per intima, vitale ‘salvazione’ – l’avventura dello scrivere, soprattutto dello scrivere in versi, mediante i versi. […]”. Impossibile per me parlare, in una pagina, di quasi mezzo secolo di scrittura, cercherò tuttavia di balbettare qualcosa che indirizzi l’appassionato lettore ad un personale e più proficuo approfondimento circa il lavoro dell’autrice in questione. La Bettarini ha scritto moltissimo e sempre bene, sempre con destrezza di parola, sempre decisa e al contempo ponendo nel lettore il dubbio, nei versi scorrono domande, interrogativi, mai esclamativi – che semmai detesta – o affermazioni assolute, senza possibilità di dubbio, questi non si confanno alla sua poesia. Ella procede, in molti suoi testi, per domande, talvolta suggerendo possibili risposte; il suo è un fare quasi scientifico. E’ una poetessa, non ha una formazione scientifica, eppure nei suoi testi scorre un’anima scientifica, ragionevole, indagatrice. Ricordo ancora quando le donai copia della mia tesi di laurea in fisica nucleare, guardò tutte quelle formule estasiata, contenta: nella disposizione grafica delle formule vi vedeva una sorta di poesia, arte. Nell’antologia sono proposti testi di fine ricerca, testi che procedono sull’analogia o sulla metafora, in continuo riferimento al mondo della natura o del quotidiano, situazioni che ama e descrive in modo mai scontato, procedendo per una strada di parole che lasciano intravedere un lavoro di ricerca e di documentazione a monte della composizione. È esemplificativo, in tal senso, il suo lavoro “Delle nuvole” (1986 – ’88), Edizioni Gazebo, Firenze, 1991; ecco alcune sue parole introduttive alla citata raccolta, composta da una decina di poesie: “Ho ideato questa breve raccolta [.…] spinta da ciò che spinge e muove da sempre il fare poetico: l’osservazione, la constatazione di ciò che esiste, la contemplazione, lo stupore, e poi la lunga dimenticanza e ancora l’osservazione, la meraviglia, il rapporto cangiante fra ciò che appare e ciò che – di quanto appare – non si conosce, ossia l’ignoto […]. Non dissimile, credo, nella sua origine, la passione dello scienziato, del biologo, del chimico, del botanico, dell’astronomo. [.…] Nuvole, dunque. Nuvole “scientifiche” e – solo dopo ma insieme – nuvole “poetiche”. [.…] per potere letteralmente scrivere quanto ho scritto delle nuvole e sulle nuvole, ho sentito l’impellenza di una documentazione scientifica [.…].” Ma è con la sua prima pubblicazione, “Il pudore e l’effondersi” (1963 – 1965), Edizioni Città di Vita, Firenze, 1966, che ella dà subito l’idea di che pasta sia fatta questa giovane donna (24 anni) che si affaccia sul mondo della poesia e della vita pubblica letteraria e di conseguenza sociale (perché come ci dice Sophia de Mello, poesia è rivoluzione, è lavoro sociale). Riporto qui integralmente la poesia che dà il titolo alla raccolta:
Il pudore e l’effondersi,
le forze che contrastano in me,
il segreto spalancarsi dell’anima,
il non sempre compreso farne parte
con gli altri, tutto questo, mio Dio,
quante emozioni provochi Tu sai,
quanti affanni di vero,
quali forti domande per giungere
al proposito del sì,
alla serena sicurezza
di avere posto a frutto quanto avevo,
di poter mantenere le promesse
che in silenzio mi facevo nel cuore,
anche se quanti non le udirono
ora un poco mi fanno resistenza,
e diversa mi credono,
e restano confusi nell’inganno.
Gennaio 1964
Questa sua prima raccolta rivela una Bettarini meditativa, quasi silenziosa nella sua introspezione, capace, in pochi ben tagliati e musicali versi di dipingere situazioni interiori o esteriori, a lei prossime, di disagio, inganno, grazia o dolore. E’ interessante che in diverse poesie appaia un Tu, forse il Signore della fede cristiana: “Signore, solo Tu ed io sappiamo / della mia infanzia. Nessun altro / […]”. La Bettarini è una donna di grande fede, una fede che ha le sue radici nel Dio cristiano ma che si dilata sull’uomo, la sua è una fede che, nel corso del tempo, si espande poeticamente sull’uomo, sulla natura, sulla ragione, sulla Storia – a mio avviso è una grande fede umana (e per questo divina), vera, senza bigottismi o falsità, ottimista, una fede che sa guardare in faccia l’assoluto, con estrema umiltà e proprio per questo riceve dall’assoluto la pienezza della visione sulle piccole cose del mondo che Mariella esprime benissimo in poesia, rivelando il suo grande rispetto e la sua passione per la vita, per i più deboli, per la natura e le sue creature, con un fare (e non dispiace) talvolta francescano, ma anche, per la simpatia verso la scuola di Barbiana, ha in sé la forza pedagogica di un Don Milani, lei maestra elementare che ha saputo amare appieno i suoi bambini, donando e ricevendo anche poesia. Dalla raccolta “Balestrucci”, un racconto in versi (1998-’99), Edizioni Gazebo, Firenze, 2006, propongo la poesia iniziale intitolata “L’arrivo”: “da dove? da lontano-lontano / in viaggio / e migranti / apolidi – lontane / da noi – da qui – le rondini – / i balestrucci – questi solo di sé / benedetti Irundinidi”. Non posso non segnalare la presenza nell’antologia della bellissima poesia che nei momenti di sconforto poetico mi risolleva portandomi a “casa”, poesia tratta da “Case, luoghi, la parola” (1993-’95), Edizioni Fermenti, Roma, 1998; in particolare propongo un estratto da “La casa del poeta” (1995), in cui la Bettarini racconta il suo luogo poetico, figurato e reale: “io nel letto – sempre – nel letto / le ho scritte e le scrivevo / le scrivo / io nel letto / quasi sempre le ho scritte / le sceglievo: parole e parolette – file – covi / famiglie / le parole-mie madri / le parole mie figlie / in casa e dentro un letto / io sempre le ho covate / al caldo / dopo il male sbadata le ho incubate [.…]”. Dal punto di vista dello stile compositivo/grafico dei suoi poemi, si assiste ad una evoluzione che la porta, in una decina di anni dalla prima raccolta, ad assestare la sua scrittura su una libertà espressiva di composizione dei versi e di disposizione delle parole all’interno degli stessi, i quali si delineano sempre più privi di punteggiatura e caratterizzati dall’uso di trattini a delineare pause e parentetiche, e disposti nella pagina con andate a capo e nessuna maiuscola, una scrittura talvolta di non immediata comprensione per chi non è avvezzo alla poesia, ma che la inserisce nel filone di certa scuola zanzottiana, dalla quale però si discosta con originalità di senso. Mi piace inoltre segnalare, l’uso di parole italiane talvolta non di uso comune nel linguaggio parlato, alcune forse più utilizzate nell’area del territorio toscano, ma nonostante questo mai arcaiche o che lasciano un sapore di antico, anzi rendono i testi di una finezza e di una tipica sonorità bettariniana, oso dire con una nota di piacere. La Bettarini gioca molto sulla parola, su assonanze interne al testo che lo rendono fluido e scorrevole verso un senso che talvolta rende la poesia tagliente, altre volte ironica, altre leggera, altre ancora meditativa. Segnalo, è d’obbligo, che l’autrice si è confrontata, con successo, anche con gli haiku, pubblicando una raccolta intitolata “Haiku di maggio” (maggio 1996), Edizioni Gazebo, Firenze, 1999, riportati nell’antologia, eccone uno: trinità erba erba storna – aglio orsino erba galletta A fine antologia vengono proposte alcune note critiche di importanti critici e scrittori, e alcuni estratti di due tesi di laurea: “L’opera poetica di Mariella Bettarini”, di Maria Amelia Sucapane, discussa nell’aprile 2003 presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli studi La Sapienza di Roma; e “Seguace della parola. L’opera poetica di Mariella Bettarini”, di Alessia Orsini, discussa nel 2004 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Chieti. Ci sarebbero un’infinità di cose da dire ancora sui testi proposti in questa antologia che, in modo intelligente, presenta i lavori più significativi della Bettarini, pubblicati, come già detto, nell’arco di quasi mezzo secolo, lavori che non appartengono, ormai non più, soltanto all’anima della poetessa ma a noi tutti, appassionati del bello e del vero, in una parola dell’arte. Penso che, al di là delle parole che qui hanno cercato di dare valore ad una scrittura, sia necessaria la lettura – o, quando possibile, l’ascolto – che consiglio vivamente ad ogni scrittore e lettore de larecherche.it.
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Integriamo la recensione di Roberto Maggiani con i contributi gentilmente inviatici dalla critica e scrittrice Franca Alaimo e dal poeta Salvatore Violante: Leggere la poesia di Mariella Bettarini nel suo svolgersi cronologico, senza pause, è come appropriarsi della storia più intima di lei, storia di un pensiero che è mutato nell’urto con la realtà, interrogandola, interrogandosi, nella ricerca dell’equilibrio, ma senza che quello faticosamente trovato ogni volta, si tramutasse in quiete o peggio quiescenza, divenendo anzi indicazione per un nuovo procedere. Si avverte farsi sempre meno invadente, mano a mano che scorrono gli anni, il fuoco dell’ideologia, così necessaria nella prima fase del suo impegno scritturale, quando doveva ancora la Bettarini prendere coscienza di sé, del suo posto nella Storia, di fronte le istituzioni, i poteri, quando doveva distruggere, e forse distruggersi, per costruire un nuovo modo d’essere donna, il suo scomodo (per tanti) modo di sentire la sessualità, di ingravidarsi, così come lei stessa scrive, d’un amore senza scopo procreativo e senza però perdere la dimensione etica. E tutto questo Mariella Bettarini l’ha detto prima con la rabbia della parola stuprata, poi con libertà della fantasia, e ancora con la consapevolezza che tutto può essere poesia: la natura, le cose, le città, i piccoli eventi, purché siano traslati oltre se stessi, purché si sia disposti a guardare tra gli interstizi della realtà dove molto mistero giace in silenzio.Così con la mano della scrittura la poetessa fiorentina ha spinto verso nuovi sensi tutto il corpo della lingua e non più per il gusto di ferirla, rivoltarla, rinnovarla, ma per affermare ciò che fin qui non era stato detto, e non per dimostrare di essere poeta, ma per vivere da poeta che fa la lingua ininterrottamente, con devota umiltà, come seguace della Parola. Così Storia con la esse maiuscola e storia con la esse minuscola, quella privata di ciascuno che pure se inconsapevolmente ha appiccicata addosso la Storia come un bozzolo, si sono incontrate in reciproco assenso e la prima, la Storia, sia pure poco nominata, è divenuta sostanza, umore che scorre a fianco, dentro la quotidianità, non meno eroica, non meno possente quest’ultima, se letta come metafora di una condizione, di un essere donne nel tempo in cui esserlo significava gregarietà e debolezza d’opinione e d’azione, di un essere, comunque, nella vita, al di là delle categorie. Ecco nascere le bellissime sessantotto poesie per Vera, una per ogni anno d’età, gioie-dolori cuciti con lo stesso filo dell’amore e della pazienza. Il linguaggio d’ora in poi, non dimentica mai la sua tenerezza, l’affettività, la cromaticità del reale, procede visionario e concreto insieme: filosofia, storia, scienza vi si intrecciano lasciando impronte lessicali, catalogazioni, classificazioni, pagliuzze varie dell’infinito svolgersi ed esserci della vita, abbracciata con amore, dolore, interrogazione, sgridata, condivisa nell’amicizia, nella passione, nel dolore e scrutata, penetrata, sposata nelle sue più intime fibre. Il periodare corre, insegue le parole che sembrano avere un’energia infantile, mobili, vivaci, zampillanti, imprevedibili: l’una chiama l’altra in un ludus-lusus che però è serio, serissimo come lo è per tutti i bambini quando, giocando, interpretano il mondo ed escono ed entrano da se stessi ed afferrano significati celati; in questo modo la più ampia libertà è stata raggiunta: le parole “raggiano…espandendosi ovunque come faville”. Dobbiamo noi tutti un grazie a questa figura di donna e poeta, perché proprio il suo non volere essere maestra di nessuno, la fa maestra di molti, perché ha trovato una voce inconfondibile, uno stile imprendibile, voli d’anima alti, perché è rimasta una vecchia-bambina vera, verissima ed una grande amica. Mariella Bettarini, donna dal cuore enormemente stanco, appare una poeta leggera, perché sa vedere il mondo più di quelli che hanno le diottrie intatte.
Franca Alaimo
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Prima o poi, i critici letterari, se intendono salvare qualcosa anche in “fieri” del secondo novecento, dovranno cercare quei poeti che, nella bagarre della ricerca sperimentale, non abbiano dimenticato che la parola si riempie, si muove, rappresenta e risuona, perché dentro ha un’anima: la passione del poeta. Una bella antologia “A parole – in Immagini” edita da Gazebo Firenze, 2008, raccoglie la produzione poetica dal 1963 al 2007 di una grande protagonista del Novecento: Mariella Bettarini. Si tratta di un volume di 855 pagine che si apre con “Il pudore e l’effondersi” (1963-1965), e si chiude con “Alcuni testi inediti in volume” (1994-2007). Un’avventura per il lettore, sostanziosa e di lungo impegno. Per questo, ma non solo, il libro è dotato di un segnalibro decoro ma anche invito alla diversità prospettica, grazie alle bellissime foto di Gabriella Maleti che riportano ad alcune poesie della raccolta. La Bettarini vede la poesia come un’entità viva di per sé che non ha padroni né confini. È libera e accoglie tutto e tutti. È la terra di nessuno, il luogo dove l’azione si dilata, si allontana diventando altro da sé. Orecchi ed occhi si ingannano nella distanza …… ……e tu sai fin d’ora che l’erba tagliata rigetta………. ……eppure tutto questo è ancora poesia e fantasima…. recita a pagina 30, aggiungendo subito dopo che tutto questo va scartato perché è il tempo della disobbedienza (1968). Ecco quindi un altro aspetto della poesia della Bettarini e cioè quello dell’impegno civile poiché il poeta, anche il poeta lirico, cantando di sé fra gli altri, canta di questi ultimi. Difatti la Bettarini, senza ombra di dubbio, è, insieme a Pasolini, nel ‘900, la poetessa civile che individua nella poesia, una sua intrinseca carica rivoluzionaria. In una poesia a pagina 42 dice che ….l’amore porta fuori strada e le scintille provocate da una frenata incendiano un bosco: questo lo sanno i custodi del bosco,…….. E’ davvero curioso che quando m’imbatto in una poesia che mi prende, finisco sempre per individuare lo sguardo d’amore. Allora provo la verifica tecnica. Vado a fare visita ai grandi poeti di tutti i secoli. Da Rudel a Dante, da Villon a Pascoli, da Cavalcanti ad Ungaretti e rilevo che non c’è poeta che non abbia avuto negli occhi la luce d’amore. La Bettarini entra nella casistica perché la sua poesia civile è poesia d’amore. Sorgente fresca in un deserto disabitato perché nella società dei mercanti, la poesia non si fa merce. Non trova acquirenti, ma, se possibile, è più necessaria del pane. Questo mondo rumoroso e appariscente, spietato e disperato, impaurito e intemperante ne ha assoluto bisogno per esistere in sostanza e non sopravvivere in apparenza. La produzione della Bettarini dal debutto ad oggi raccoglie 31 libri di poesia, 8 di narrativa, 6 di saggistica, uno di traduzioni. Partecipa a svariati video tra cui, rilevanti, risultano quelli di Gabriella Maleti e quello costituito da un’intervista fattale per l’Università degli studi di Firenze da Elisa Biagini. Ha fondato nel 1973 la rivista letteraria “Salvo Imprevisti” che dal 1993 ha preso il nome de “L’area di Broca”. Ha collaborato con le più importanti riviste letterarie ed i più importanti quotidiani. Ad elencare tutto questo, non basterebbe lo spazio a disposizione. Per un po’ di campanilismo cito “Altri termini” e “Gradiva. La prima diretta dal compianto Franco Cavallo. La seconda dal napoletano in America Luigi Fontanella. Per chiudere dirò che la Bettarini, pur avendo attraversato tutti i sentieri dello sperimentalismo, ha utilizzato quest’esperienza solo e sempre per appuntare la parola e le immagini a supporto dell’amore per il più debole, che alimenta la sua ispirazione. Anche per questo la sua scrittura risulta in continuo movimento; c’è una fuga espressiva che non è mai il risultato freddo e forzato di scelte “politiche”. Utilizzando un’immagine della fisica, la poesia della Bettarini sembra rannicchiarsi tutta in quella differenza di potenziale che sempre c’è tra due poli: privato-pubblico, Maschio-Femmina, Dio-Natura, giudizio-pregiudizio e così via. È un poeta di confine che pur pressato dalla necessità di rinnovamento, non rinuncia né alla grande poesia della tradizione né alla sua anima.
Salvatore Violante