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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Sogno

di Maria Girardi
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Pubblicato il 29/12/2014 16:55:31

Il cancello del cimitero si richiuse alle nostre spalle e il gemito del suo cigolio, ruppe il silenzio di quella notte cupa e satura di presagi annunciati.
Il cielo ad occidente si sfilacciava sotto l' incessante epifania dei fulmini, guizzi di luce tortuosi ed indisciplinati.
Mi camminava accanto, un mantello lo avvolgeva fino ai piedi e se non fosse stato per quegli occhi che bucavano il buio, lo si sarebbe potuto definire uno spirito amorfo, tanto lieve era il suo incedere. La presenza del suo essere tesseva nel mio io una sensazione di sicurezza sempre più fitta ed iniziai a non interrogarmi più sul perchè fossi lì, a districare i miei passi ed i miei pensieri fra vicoli stretti rischiarati da candele di varia foggia e misura.
Le lapidi, accarezzate da quei chiaroscuri di cera, sembravan cantare la dualità della loro stessa esistenza, perennemente in bilico tra la mortale materialità di cui eran composte e il simulacro d' eterno a cui aspiravano.
All' improvviso, come un sasso gettato nell' acqua ne altera la sua armonia, così una folgore caduta nelle vicinanze, increspò i nostri animi e inconsciamente ci predisponemmo all' attesa di un qualcosa di indicibile.
L' infinito cominciò a lacrimare, le sue stille s' adagiavano cortesi sulla realtà circostante e ancora adesso ricordo perfettamente l'umida carezza che avvolse il pumbleo scorrere del tempo. Contemplavo l' adagio intonato dal vento quando quell' aspettativa indefinita si palesò con tutto il suo carico emotivo.
Lui, lui che nel mistero aveva aleggiato sereno, mi cinse la vita con un braccio e m' attirò a sè. Sbocciò dalla sua bocca un cremisi: "voglio stare con te" ed io, io trincerata dietro mura inespugnabili, lo bagnai con rugiadosa felicità.
Quale dolcezza, quale struggimento quell' intreccio di mani!
Eravamo due individualità unite nell' amore e fieri di questa neonata consapevolezza, continuammo a contemplare la notte. Buio di luce che sapeva di Noi.
Il cancello del cimitero si richiuse alle nostre spalle e il gemito del suo cigolio, ruppe il silenzio di quella notte cupa e satura di presagi annunciati.
Il cielo ad occidente si sfilacciava sotto l' incessante epifania dei fulmini, guizzi di luce tortuosi ed indisciplinati.
Mi camminava accanto, un mantello lo avvolgeva fino ai piedi e se non fosse stato per quegli occhi che bucavano il buio, lo si sarebbe potuto definire uno spirito amorfo, tanto lieve era il suo incedere. La presenza del suo essere tesseva nel mio io una sensazione di sicurezza sempre più fitta ed iniziai a non interrogarmi più sul perchè fossi lì, a districare i miei passi ed i miei pensieri fra vicoli stretti rischiarati da candele di varia foggia e misura.
Le lapidi, accarezzate da quei chiaroscuri di cera, sembravan cantare la dualità della loro stessa esistenza, perennemente in bilico tra la mortale materialità di cui eran composte e il simulacro d' eterno a cui aspiravano.
All' improvviso, come un sasso gettato nell' acqua ne altera la sua armonia, così una folgore caduta nelle vicinanze, increspò i nostri animi e inconsciamente ci predisponemmo all' attesa di un qualcosa di indicibile.
L' infinito cominciò a lacrimare, le sue stille s' adagiavano cortesi sulla realtà circostante e ancora adesso ricordo perfettamente l'umida carezza che avvolse il pumbleo scorrere del tempo. Contemplavo l' adagio intonato dal vento quando quell' aspettativa indefinita si palesò con tutto il suo carico emotivo.
Lui, lui che nel mistero aveva aleggiato sereno, mi cinse la vita con un braccio e m' attirò a sè. Sbocciò dalla sua bocca un cremisi: "voglio stare con te" ed io, io trincerata dietro mura inespugnabili, lo bagnai con rugiadosa felicità.
Quale dolcezza, quale struggimento quell' intreccio di mani!
Eravamo due individualità unite nell' amore e fieri di questa neonata consapevolezza, continuammo a contemplare la notte. Buio di luce che sapeva di Noi.
Il cancello del cimitero si richiuse alle nostre spalle e il gemito del suo cigolio, ruppe il silenzio di quella notte cupa e satura di presagi annunciati.
Il cielo ad occidente si sfilacciava sotto l' incessante epifania dei fulmini, guizzi di luce tortuosi ed indisciplinati.
Mi camminava accanto, un mantello lo avvolgeva fino ai piedi e se non fosse stato per quegli occhi che bucavano il buio, lo si sarebbe potuto definire uno spirito amorfo, tanto lieve era il suo incedere. La presenza del suo essere tesseva nel mio io una sensazione di sicurezza sempre più fitta ed iniziai a non interrogarmi più sul perchè fossi lì, a districare i miei passi ed i miei pensieri fra vicoli stretti rischiarati da candele di varia foggia e misura.
Le lapidi, accarezzate da quei chiaroscuri di cera, sembravan cantare la dualità della loro stessa esistenza, perennemente in bilico tra la mortale materialità di cui eran composte e il simulacro d' eterno a cui aspiravano.
All' improvviso, come un sasso gettato nell' acqua ne altera la sua armonia, così una folgore caduta nelle vicinanze, increspò i nostri animi e inconsciamente ci predisponemmo all' attesa di un qualcosa di indicibile.
L' infinito cominciò a lacrimare, le sue stille s' adagiavano cortesi sulla realtà circostante e ancora adesso ricordo perfettamente l'umida carezza che avvolse il pumbleo scorrere del tempo. Contemplavo l' adagio intonato dal vento quando quell' aspettativa indefinita si palesò con tutto il suo carico emotivo.
Lui, lui che nel mistero aveva aleggiato sereno, mi cinse la vita con un braccio e m' attirò a sè. Sbocciò dalla sua bocca un cremisi: "voglio stare con te" ed io, io trincerata dietro mura inespugnabili, lo bagnai con rugiadosa felicità.
Quale dolcezza, quale struggimento quell' intreccio di mani!
Eravamo due individualità unite nell' amore e fieri di questa neonata consapevolezza, continuammo a contemplare la notte. Buio di luce che sapeva di Noi.
Il cancello del cimitero si richiuse alle nostre spalle e il gemito del suo cigolio, ruppe il silenzio di quella notte cupa e satura di presagi annunciati.
Il cielo ad occidente si sfilacciava sotto l' incessante epifania dei fulmini, guizzi di luce tortuosi ed indisciplinati.
Mi camminava accanto, un mantello lo avvolgeva fino ai piedi e se non fosse stato per quegli occhi che bucavano il buio, lo si sarebbe potuto definire uno spirito amorfo, tanto lieve era il suo incedere. La presenza del suo essere tesseva nel mio io una sensazione di sicurezza sempre più fitta ed iniziai a non interrogarmi più sul perchè fossi lì, a districare i miei passi ed i miei pensieri fra vicoli stretti rischiarati da candele di varia foggia e misura.
Le lapidi, accarezzate da quei chiaroscuri di cera, sembravan cantare la dualità della loro stessa esistenza, perennemente in bilico tra la mortale materialità di cui eran composte e il simulacro d' eterno a cui aspiravano.
All' improvviso, come un sasso gettato nell' acqua ne altera la sua armonia, così una folgore caduta nelle vicinanze, increspò i nostri animi e inconsciamente ci predisponemmo all' attesa di un qualcosa di indicibile.
L' infinito cominciò a lacrimare, le sue stille s' adagiavano cortesi sulla realtà circostante e ancora adesso ricordo perfettamente l'umida carezza che avvolse il pumbleo scorrere del tempo. Contemplavo l' adagio intonato dal vento quando quell' aspettativa indefinita si palesò con tutto il suo carico emotivo.
Lui, lui che nel mistero aveva aleggiato sereno, mi cinse la vita con un braccio e m' attirò a sè. Sbocciò dalla sua bocca un cremisi: "voglio stare con te" ed io, io trincerata dietro mura inespugnabili, lo bagnai con rugiadosa felicità.
Quale dolcezza, quale struggimento quell' intreccio di mani!
Eravamo due individualità unite nell' amore e fieri di questa neonata consapevolezza, continuammo a contemplare la notte. Buio di luce che sapeva di Noi.


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