C’è uno specchio lungo tutto il muro. Mi vedo: ho gli occhi rossi e privi di conoscenza. Non mi riconosco. Sono leggero come un soffio e a volte mi piace, a volte mi delude, non credo ci sia una sola strada nella droga, sicuramente almeno due.
Corro velocemente al binario sei dal quale partirò. Ho cinque minuti più o meno. Attraverso ancora il sottopassaggio, avevo dimenticato i due barboni visti in precedenza e nel vederli mi inquieto, ma per raggiungere il mio posto sporco di polvere nel binario di seconda classe devo passare per forza davanti a loro. Vado senza ragionare sul futuro ma solo su ogni singolo passo.
Dormono.
Mi rassereno, magari non si accorgeranno nemmeno di me in mezzo a tutta la folla di vetro muta che borbotta qua sotto. Pas- so loro davanti e nel farlo uno si sveglia, quello familiare. Con gli occhi marroni, impenetrabili e tanto pesti da essere stretti gelosamente l’uno dell’altro, mi lancia un’occhiata e con voce ebbra ripete tremolando:
«Vai al treno per Barabassandè figliolo?».
«Sì, vuoi venire anche tu?».
Puzza di alcol e di pavimento sporco di fanghiglia senza esse-
re stato lavato da giorni. Mi guarda, mi guarda. Attimi immensi, senza fine, attimi rancidi, attimi triti, incrostati. Attimi. Geme tirandosi via dai polmoni una gran quantità d’aria, era un peso. Sale un odore di vino in cartone lasciato fuori dal frigo aperto per cinque settimane.
«Venire a Barabassandè dici?».
«Sì, insieme a me!».
«Ma non ho soldi per pagarmi il viaggio, non me lo posso
permettere».
Getto per terra una banconota da venti e una da cinque, in
pratica tutto quello che custodivo nel portafoglio, lo trafiggo negli occhi cercando di farlo capire.
«Ora puoi!».
Frastornato barcolla, muove lo sguardo sul cane, sul compa- gno, per terra, su me, per terra, sul cane, per terra.
«Non sono una buona compagnia, sono uno sporco barbone sudato ed ubriaco, cosa ci fai con me?».
«Ci vivo!».
“Riprendi pure il denaro se vuoi. Non verrò mai a Barabas- sandè insieme a te. Il mio posto è qui, per restare sdraiato ad ubriacarmi con vinaccio scadente insieme a questi due e per fare paura a tutte le persone che passano senza muovere un dito, come ho fatto prima con te. Tu non hai bisogno di me, loro due sì» mi indica con un cenno del capo l’altro uomo che dorme e il cane.
Rifletto qualche istante.
«Come si chiama il tuo cane?».
«Come me».
«Ovvero?»
«Claudio».
Ricade rassegnato sul terreno sordido assopendosi anche pri-
ma di porre fine a quello che stava dicendo. Chiudendo gli occhi mostra un grosso neo sulla palpebra sinistra, poi niente.
Vado via lasciando lì i soldi e il giacchetto. Scappo.
Binario sei, destinazione dimenticanza. Andrò a Barabassandè!