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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Totò … virgola, punto e virgola, anzi no punto

Argomento: Poesia

Saggio di Giorgio Mancinelli (Biografia)

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Pubblicato il 11/03/2017 06:07:25

Totò … virgola, punto e virgola, anzi no punto.
Poesie e canzoni del ‘principe della risata’ Antonio De Curtis a cinquanta anni dalla sua scomparsa, anzi no ai cinquant’anni passati insieme a noi.

Napoli celebra Totò con una mostra dal titolo ‘Totò genio’ che avrà luogo nella città partenopea dal 12 aprile al 9 luglio - Informa Fabiana Carcatella dalle pagine di ‘Vieni a Napoli’ il nuovo portale sulla città: vienianapoli@gmail.com.
«Sono passati 50 anni dalla sua scomparsa, ma il ricordo di Totò, il principe Antonio de Curtis, è ancora vivo nella mente di tutti. Napoli celebra la carriera di questo personaggio, e la sua genialità, con una mostra, per l’appunto. Presentata lo scorso 20 febbraio e curata da Vincenzo Mollica e Alessandro Nicosia, l’esposizione sarà allestita in alcuni dei luoghi più importanti della città, dal Maschio Angioino, a Palazzo Reale fino a San Domenico Maggiore. Un’occasione da non perdere, che consente di andare oltre il Totò personaggio ed entrare in contatto con il Totò persona. Oltre ai 97 manifesti dei film che lo hanno visto protagonista, infatti, sarà possibile ammirare anche il famoso baule dal quale il principe de Curtis non si separava mai, nonché 50 contribuiti foto e video inediti. Napoli costituisce solo la prima tappa di un’iniziativa destinata a durare. La mostra, che è stata possibile grazie alla collaborazione dell'associazione "Antonio de Curtis, in arte Totò", rappresentata oggi da Elena Articoli, figlia di Liliana de Curtis, approderà anche all’estero. Sono già stati presi contatti con l’Argentina.»

«Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.»

Sia nei disegni di Federico Fellini, Garretto, Onorato, Staino, Pazienza; sia nelle tavole di Crepax, Manara, Pratt, Galleppini, Pasolini e nelle numerose locandine anonime dei suoi innumerevoli film, l’immagine di Totò è imprescindibile dalla sua ‘maschera’ facciale o, se preferite dalla sua ‘caricaturale avvenenza’ di signore distinto, sia che vestisse i panni dell’uomo qualunque, sia che indossasse il costume di scena. Come lui stesso direbbe di sé … signore a prescindere.

«Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui.»

Il ricordo personale che ho di lui è lontanissimo nel tempo, attorno agli anni ’50 in cui era in voga la ‘rivista’ all’italiana, allorché i miei genitori amanti di quel genere di spettacoli, per non lasciarmi solo in casa mi portavano ovunque, a volte ‘in braccio’ come si è in uso dire. Totò appunto recitava ‘A prescindere’ che prendeva il nome da un suo modo di dire, andata in scena al Teatro Sistina di Roma alla fine del ’56, il cui successo fu così strepitoso che venne replicato in molte altre città italiane.
Un altro ricordo che mi sovviene è l’aver accompagnato mio padre nella casa romana del Principe per sopravvedere un lavoro di ristrutturazione; in quell’occasione Totò venne ad aprire la porta personalmente e fu così signorilmente generoso e amabile di complimenti da cancellare in un solo istante il comico esilarante che tante volte avevo visto al cinema. Dopo di che, rammento, guardai le sue interpretazioni con altri occhi, e quasi non risi più alle sue scenette, tant’è che appresi molto su quello che doveva essere l’arte dell’attore.

«Io non sono un artista, ma solo un venditore di chiacchiere, come Petrolini che, infatti, è stato dimenticato. Un falegname vale più di noi due messi assieme, perché almeno fabbrica un armadio, una sedia che rimangono. Noi, al massimo, quando ci va bene, duriamo una generazione. Lo scritto rimane, un quadro rimane, anche un lavandino rimane. Ma le chiacchiere degli attori passano.»

Resta il fatto che a distanza di cinquant’anni dalla sua scomparsa posso, anzi possiamo ben dire che Totò è sempre rimasto con noi ‘..a prescindere’. Lo apprezziamo ancora ogni volta che rivediamo un suo film; ogni qual volta viene riproposto un suo scketch o una macchietta alla TV, o sfogliando una qualche rivista in cui la sua ‘maschera’ si riaffaccia dentro un siparietto o in una parodia ‘mitica’ del suo lavoro attoriale.

«...e io pago.»

Racconta Pietro De Vico, a proposito del film ‘Che fine ha fatto Totò Baby?’:
« Una volta... dovendo girare una scena del film, Totò si avvicinò e mi disse: "ho letto il copione di questa scena, è una vera schifezza. Fai tutto quello che ti dico di fare e segui le mie battute, improvvisiamo..." Così facemmo e ne venne fuori una delle migliori scene del film.»

Racconta Mario Castellani, riguardo allo sketch del ‘Vagone letto’:
« Uno dei suoi sketch più famosi è quello del vagone-letto, che ha fatto sbellicare dalle risate le platee di tutta Italia. Ebbene, nella rivista di Galdieri in cui era inserito, era accennata soltanto la situazione: due uomini nella cabina e una donna che chiede ospitalità per la notte. La prima volta che lo facemmo, questo sketch durava una decina di minuti; le ultime volte siamo arrivati a tenerlo in piedi quasi un'ora, col pubblico che ci seguiva col fiato sospeso. In seguito al rinnovato interesse per la figura e per l'arte di Totò, spesso mi capita di sentirmi chiedere il testo di questo e di altri sketch diventati ormai leggendari. Ma i testi non ci sono. Non ci sono mai stati.»

Sapere che Totò oltre ad essere un attore di grande spessore interpretativo fosse anche poeta e compositore di canzoni di successo, permette qui di avere una visione più specifica su alcuni aspetti dell’animo umano … un uomo impegnato, a suo modo, nella cultura e nel sociale. Credo che ben pochi dei suoi molti fan sappiano del suo spirito caritatevole:

«..capace di compiere in tutta la sua vita molteplici gesti di altruismo e numerose opere di beneficienza, come l’aver dato sostegno e offerte per i bisognosi, tale da accreditargli l’appellativo di ‘benefattore’ di ospizi e brefotrofi donando grandi somme alle associazioni che si occupavano degli ex carcerati e delle famiglie degli stessi. Furono numerosissimi i gesti nobili dell'attore. Si parla anche che alle volte tornasse di notte nel suo quartiere natale (il Rione Sanità) e infilasse sotto le porte dei bassi abitanti biglietti da diecimila lire. (…) Avendo poi una particolare predilezione per i bambini, dopo la morte del figlio Massenzio, Totò andava spesso a trovare insieme a Franca Faldini, gli orfanelli dell'asilo Nido Federico Traverso, di Volta Mantovana, portando con sé regali e giocattoli. Inoltre, in merito al suo amore per gli animali, per raccogliere cani randagi acquistò e modernizzò un vecchio canile, L'ospizio dei trovatelli, che lui stesso visitava regolarmente per accertarsi che i numerosi ospiti a quattro zampe (si parla di più di 200 cani) avessero le cure necessarie.» (cfr. Wikipedia – l’enciclopedia libera).

Un poeta quindi che ha contrassegnato il costume di un’epoca, il ‘900 italiano, semplicemente mettendo a disposizione degli altri la sua faccia-maschera rimasta immutata nel tempo, con la quale è giunto fino ai giorni nostri, sollecitandoci al riso o forse, al sorriso, con la sua comicità arguta e intelligente che a rivederlo oggi si comprende molto di ciò che siamo, di quella ‘miseria e nobiltà’ che ci accomuna tutti.

«Scegli come amico un signore impoverito e maji nu’ pezzente sagliuto.»

Anche per questo Totò è intramontabile al pari di qualunque altra ‘maschera’ universalmente conosciuta che, dalla tradizione della Commedia dell’Arte in poi, abbiamo apprezzato in comici come Buster Keaton e Charie Chaplin, ma anche altri, come Ridolini, i fratelli Marx ed Ettore Petrolini. Non in ultimo Totò può essere considerato la ‘summa’ caricaturale del ‘comico’ per eccellenza, riprendendo ora da questo, ora da quello e tuttavia restando fedele a se stesso, capace di una sua univoca originalità comico-semiseria, imperturbabile.

«Dove l’ignoranza urla, l’intelligenza tace ..è una questione di stile, signori si nasce … stronzi pure.»

Capace inoltre di una interiorità emotiva perturbabile, esternata nelle canzoni che, non a caso, sono tutte (o quasi) di tipo amoroso e appassionate. L’elenco dei soli titoli ne rammenta il carattere sentimentale e accorato tipico della poesia e della canzone napoletana; come ad esempio quelle qui riportate: ‘Malafemmena’, ‘Tu si tutto pe’ mme’, ‘L’ammore avesse a essere’, ‘Baciami’, ‘Nemica’, ‘Uocchie ca’ me parlate’ che ricordiamo cantate da Sergio Bruni, Giacomo Rondinella, Achille Togliani, Roberto Murolo, Tullio Pane, ed altri. Alcune delle quali hanno partecipato in diverse occasioni anche al Festival di Sanremo.

‘L’ammore avesse a essere!’

L’ammore avesse a essere
‘na cosa fatta ‘e zucchero
‘na cosa doce e semplice
tutta sincerità:
Duje piotte c’a suspireno;
duje vocche c’a s’e vaseno;
duje core c’a s’abbracciano
fino a ll’eternità!
L’ammore è ‘na cosa magnifica,
è comm’a ‘na musica:
So nnote’e viuline c’a mpietto
Accrezzano ll’anema …
…o ‘bbone ca scenne indo ‘e vvone
Cchiù ddoce ‘e nu balzamo,
è chiesto ‘o miraculo ‘e sempe
c’a fa ‘a giuventù!

Il tutto raccolto in un’antologia storica delle ‘Canzoni di Totò’ apparsa in cofanetto dedicato CGD 1988 a cura di Vincenzo Mollica con libretto allegato e disegni di F. Fellini e degli altri sopra citati, un Lp con ‘A livella’ interpretata nel 1967 dallo stesso Totò e la stessa interpretata nel 1961 da Nino Taranto su musica di Raffaele Viviani; inoltre a un CD di canzoni che raccoglie l’introvabile ‘Geppina Gepi’ in duetto con Anna Magnani dal film ‘Risate di gioia’; ‘Carme’ Carme’ con Maldacea Jr. dal film ‘Un turco napoletano’; ‘Veleno’ con i Rockes dal film ‘Rita la figlia americana’; ‘Baciami’ con Mina dalla trasmissione ‘Studio Uno’.

Canzoni scritte (e alcune interpretate) da Totò:

‘Margherita’, cantata da Totò nel film L'allegro fantasma (1941)
‘Girotondo’, cantata da Totò con il Trio Primavera nel film L'allegro fantasma (1941)
‘La mazurka di Totò’, cantata da Totò nel film Totò le Mokò (1949)
‘Ischia mia’, cantata da Giacomo Rondinella (1951)
‘Malafemmena’, cantata da più artisti, tra cui Giacomo Rondinella, Roberto Murolo, Lina Sastri, Fausto Leali e James Senese (1951). Viene cantata anche da Teddy Reno nel film Totò, Peppino e la... malafemmina (1956). Anche Gabriella Ferri la cantò in una puntata del varietà RAI Mazzabubù (1975).
‘Nun si 'na femmena’, cantata da Totò nel film Totò terzo uomo (1951)
‘Sulo’, cantata da Giacomo Rondinella (1951)
‘Casa mia’, cantata da Totò e Giacomo Rondinella nel film Dov'è la libertà? (1952)
‘Comme a nu' carcerato’ (2º premio festival Cava dei Tirreni 1952 di De Curtis, Nello Franzese, Porcaro)
‘Me diciste 'na sera’ (1952; di De Curtis, Nello Franzese, Porcaro)
‘A chi non lo sapesse’, cantata da Giacomo Rondinella (1952)
‘Isola d'oro’, cantata da Giacomo Rondinella (1952)
‘Uocchie ca me parlate’, cantata da Totò nel film Dov'è la libertà? (1952)
‘Non voglio amare più’, cantata da Giacomo Rondinella (1952)
‘Me songo annammurato’, cantata da Totò nel film Dov'è la libertà? (1952)
‘Margellina blu’, cantata da Franco Ricci (1953)
‘Carme' Carme'’, cantata da Nicola Maldacea junior nel film Un turco napoletano (1953)
‘Ddoje strade’, cantata da Amedeo Pariante (1953)
‘Nemica’, cantata da Roberto Murolo (1954)
‘Con te’, cantata da Natalino Otto, Achille Togliani e L. Morosini (1954), presentata al Festival di Sanremo (cantata anche in spagnolo nel 1967 da Ernesto Bonino)
‘Aggio perduto 'ammore’, cantata da Roberto Murolo (1954)
‘Abbracciato cu tte’, cantata da Achille Togliani (1955)
‘Luntano 'a te’, cantata da Franco Ricci (1955)
‘Tu si tutto pe' mme’, cantata da Achille Togliani (1955)
‘Core analfabeta’, cantata da Totò nel film Siamo uomini o caporali (1955)
‘Che me diciste a 'ffa’, cantata da Fausto Cigliano (1956)
‘Miss, mia cara miss’, cantata da Totò nel film Totò a Parigi (1958)
‘Mariarosa’, cantata da Claudio Villa (1960)
‘Geppina Gepi’, cantata da Totò e Anna Magnani nel film Risate di gioia (1960)
‘Rapallo’, cantata da Achille Togliani (1961)
‘Le Lavandou’, cantata da Achille Togliani (1961)
‘Filomè’, cantata da Nino Taranto (1961)
‘Piccerella, piccerè’, cantata da Nino Taranto (1961)
‘L'ammore avesse 'a essere’, cantata da T. Pane (1962)
‘Baciami’, cantata da Totò e Mina nella trasmissione RAI Studio Uno (1965)
‘Veleno’, cantata da Totò e i Rokes nel film Rita la figlia americana (1965)

Altra cosa sono invece quelle riconoscibili come scenette-comiche quali ‘Ufficio di collocamento’, ‘Lallo, parrucchiere per signora’, ‘Vagone letto’, ‘Pasquale’ che, a suo tempo, abbiamo apprezzate, interpretate o reinterpretate da numerosi attori comici come Nino Taranto, Gianni Agus, Corrado Olmi, Mario Castellani, Enzo Turco, Cesare Gelli, Corrado Olmi; e nei duetti con Anna Magnani, Nino Mafredi, Macario, Fernandel, Carlo Croccolo, Aldo Fabrizi. Chi non ricorda le sue apparizioni serioso-esilaranti nel film di Mario Monicelli ‘I soliti ignoti’ del 1958 e le sue apparizioni in TV con Mina? (‘Studio Uno’ 1965).

Altresì le ‘poesie’ vere e proprie, alcune delle quali sono state trasferite su disco già negli anni ’50 dalla Cetra e dalla Voce del Padrone, Columbia ecc. SQuella che segue è la lista completa delle poesie scritte da Totò (tra parentesi il titolo in italiano, salvo errori ed omissioni ... permettendo:

'A livella’ (La livella)
'A passiona mia erano 'e rrose’ (La mia passione erano le rose)
‘Uocchie 'ncantatore’ (Occhio incantatore)
'Ncantesimo’ (Incantesimo)
‘Esempio’
‘Calannario’
‘Essa’
‘La donna’
‘Ma che dulore ‘(Ma che dolore)
'O sol’ (Il sole)
‘A Franca’
‘Preghiera del clown’
'A vita è ingiusta’ (La vita è ingiusta)
‘Tutto è finito’
‘Chi è ll'ommo’ (Chi è l'uomo)
'E dduje 'nnammurate’ (I due innamorati)
‘Riflessione’
'A 'mmasciata’ (L'ambasciata)
‘Statuina a Francesca’
'A femmena’ (La femmina)
‘Pe nun te scurdà cchiù’ (Per non scordarti più)
‘Viola d'ammore’ (Viola d'amore)
‘Siamo uomini o caporali’
‘Cuore’
'A cchiu' bella’ (La più bella)
‘Ho bisogno di rivederti’
'O piso’ (Il peso)
‘Che me manca!’
‘Donna Amalia’
‘Pe sta vicino a tte’ (Per stare vicino a te)
‘La società’
‘Napule, tu e io’ (Napoli, tu e io)
'O saccio sultant'io’ (Lo so soltanto io)
‘Passione’
‘Il dramma di Don Ciccio Caccavalle’
'A cchiu' sincera ‘(La più sincera)
‘Nu iuorno all'intrasatta ‘(Un giorno all'improvviso)
‘All'intrasatta... ‘(All'improvviso)
‘Ricunuscenza’ (Riconoscenza)
'A mundana’ (La prostituta)
‘Dick’
‘Zuoccole, tammorre e femmene ‘(Zoccoli, tamburi e donne)
‘Si fosse n'auciello’ (Se fossi un uccello)
'Ngiulina’ (Angelina)
‘Balcune e llogge’ (Balconi e logge)
‘Ll'ammore’ (L'amore)
‘Uocchie ca mme parlate ‘(Occhi che mi parlate)
'A statuetta ‘(La statuetta)
'A cunzegna’ (La consegna)
‘Ammore perduto’ (Amore perduto)
'A nnammurata mia’ (La mia fidanzata)
‘Core analfabeta’(Cuore analfabeta)
'E ccorna’ (Le corna)
'O schiattamuorto’ (Il becchino)
‘Felicità’
'A vita’ (La vita)
‘Il fine dicitore’
‘Bianchina’
'E pezziente’ (I pezzenti)
'A speranza’ (La speranza)
‘Il cimitero della civiltà’
‘Sarchiapone e Ludovico’
‘L'indesiderabile’
‘L'acquaiola’

In Totò, più che in ogni altro, la poesia è un ‘pensiero’ che significa libertà di espressione, di disobbedienza a ogni tentativo di censura molto efferata in quei tempi, sebbene non risulti mai propriamente scandalosa o indecente. La sua funzione primaria rimane contenuta nell’ovvio concetto dell’amore, come dire, è piuttosto dell’ambizione, o forse della vocazione, secondo la quale chi scrive versi cerca di trovare la sua verità, nell’intento di attingere agli strati pur superficiali di una ‘verità’ possibilmente valida per tutti, e perciò universale.

Come pur rammenta Marcel Proust «..ciascuno di noi non fa che leggere (dentro) se stesso, così la poesia è per Totò l’unico modo possibile per realizzare e raggiungere la ‘forma dell’arte’. Come anche scrive Attilio Mauro Caproni. «La poesia, come genere letterario non si presenta quasi mai come un’entità finita di scrittura. Invero (…) sembra definire un’opera che è sul punto di cominciare, oppure un’opera che sia come manchevole rispetto a se stessa, e dinanzi a quel che dice, affinché ciò che dice si schiuda nella distanza dell’indefinito, e vi si depositi, vi si preservi, e alla fine patisca.»

‘A livella’

Ogn’anno, il due novembre, c’è l’usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ogn’anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch’io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza.
St’anno m’è capitata ‘n’avventura …
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna, si ce penzo, e che paura!,
ma po’ facette un’anema e curaggio.
‘O fatto è chisto, statemi a sentire:
s’avvicenava ll’ora d’ ‘a chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.
«Qui dorme in pace il nobile Marchese
Signore di Rovigo e di Belluno
Ardimentoso eroe di mille imprese
Morto l’11 maggio del ’31.»
‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto …
…sotto na croce fatta ‘e lampadine;
tre mazze ‘e rose cu na lista ‘e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.
Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e stu signore
nce steva’n’ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe’ segno, sulamente na crucella.
E ncoppa ‘a croce appena se liggeva:
«Esposito Gennaro netturbino»:
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco ‘nu lumino!
Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo …
Che ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s’aspettava
Ca pure a ll’atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero,
s’era ggià fatta quase mezanotte,
e i’ rummanette ‘chiuso priggiuniero,
muorto ‘e paura … nnanze ‘e cannelotte.
Tutto a nu tratto, che veco ‘a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse ‘a parte mia …
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano …
Stongo scetato … dormo, o è fantasia?
Ate che fantasia!, era ‘o Marchese:
c’ ‘o tubbo, ‘a caramella e c’ ‘o pastrano;
chill’ato appriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu na scopa nmano.
E chillo certamente è don Gennaro …
‘o muorto puveriello … ‘o scupatore.
‘Int’a stu fatto i’ nun nce veco chiaro:
so’ muorte e se retireno a chest’ora?
Putevano sta’ ‘a me quase nu palmo
quando ‘o Marchese se fermaje ‘e botto,
s’avita e, tomo toma … calmo calmo,
dicette a don Gennaro: «Giovanotto!
Da Voi vorrei saper , vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellire, per mia vergogna,
saccanto a me che sono un blasonato!
La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!
Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente, da d’uopo,
quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente».
«Signor Marchese, non è colpa mia,
‘i nun v’avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa’ sta fessaria,
i’ che putevo fa’ si ero morto?
Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse ‘a casciulella cu ‘e qquatt’osse,
e proprio mo, obbj… ‘nda stu mumento
mme ne trasesse dinto a n’ata fossa».
«E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!»
«Famme vedè… - piglia sta violenza
‘A verità, Marchè, mme sp’ scucciato
‘e te sentì; e si perdo ‘a pacienza,
mme scordo ca soì muorto e so’ mazzate!..
Ma chi te crede d’essere … nu ddio?
Cca dinto, ‘o vvuò capì, ca simmo eguale?...
… Muorto si’ tu e muorto so’ pur’io;
ognuno comme a n’ato è tale e qquale».
«Lurido porco! … Come ti permetti
paragonarti a me ch’ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?».
«Tu qua’ Natale … Pasca e Ppifania!!
T’ ‘o vvuo’ mettere ‘ncapo … ‘int’a cervella
che staje malato ancora ‘e fantasia?...
‘A morte ‘o ssaje ched’ è? … è una livella.
‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo
trasenno stu cancello ha fatt’’ ‘o punto
ch’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme;
tu nun t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssentì … nun fa’ ‘o restivo,
suppuorteme vicino – che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e fanno sulo ‘e vive;
nuje simmo serie … appartenimmo ‘a moprte”».
(Editori del Grifo – Montepulciano 1988)

Tuttavia la poesia come la canzone di Totò da sempre e nell’immediato, hanno un pubblico sterminato di conoscitori e tutta una serie di sostenitori perché ripropone tutta una serie di sentimenti ‘popolari’ ascrivibili a ottimali pretesti di comicità, corrispondenti della gioia e dell’amore:

«A sera quanno 'o sole se nne trase e dà 'a cunzegna â luna p' 'a nuttata, lle dice dinto 'a recchia: "I' vaco â casa: t'arraccumanno tutt' 'e nnammurate.»

Indubiamente non sono il meglio dell’interpretazione poetica del principe della risata o della canzone napoletana, tuttavia sono rappresentative della straordinaria capacità di un autore eclettico e decisamente originale quale è Totò. Tra tutte le battute, gag, poesie e frasi celebri che l'immenso patrimonio di film e opere di Totò ci ha lasciato, alcune sono entrate di diritto nel nostro linguaggio comune, tramandandosi per generazioni.

Eccone alcune:
«C'è chi può e chi non può: io può.» (Da Totò Peppino e a malafemmena.)

«Parli come badi.» (Da Totò a colori)

«Sono un retrocesso.»

«Lei è un cretino, s’informi.» (Da Totò, Peppino e le fanatiche.)

«La donna è mobile e io mi sento mobiliere.» (Da Un turco napoletano.)

«Elena di Troia… Troia…Troia: ohibò questo nome non mi giunge nuovo.»
(Da L'imperatore di Capri)

«Per avere una grazia da San Gennaro bisogna parlargli da uomo a uomo.»
(Da Operazione san Gennaro.)

«Femmena, tu si ‘a cchiù bella femmena, te voglio bene e t'odio, nun te pozzo scurdà…» (Da "Malafemmena", canzone scritta da Totò).

«Il coraggio ce l’ho. E la paura che mi frega.» (Da "Figaro")

«Gli avvocati difendono i ladri. Sa com'è... tra colleghi.»

«Come è gentile per essere una parente: sembra un'estranea!»

«Di notte, quando sono a letto, nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano, mi interrogano, sono gli occhi della mia coscienza.»

« La felicità non esiste. La felicità non esiste in nessun modo. Nessuno è felicissimo.»

« Quella mia battuta «siamo uomini o caporali» non è affatto un gioco. Il mondo io lo divido così, in uomini e caporali. E più vado avanti, più scopro che di caporali ce ne son tanti, di uomini ce ne sono pochissimi.»

«A morte ‘o ssaje ched'è?… È una livella. ‘Nu ‘rre,'nu maggistrato, ‘nu grand'ommo, trasenno stu canciello ha fatte ‘o punto c'ha perzo tutto,'a vita e pure ‘o nomme: tu nun t'e fatte ancora chistu cunte?’» (Da "A livella", poesia di Totò).

Vale la pena di leggere ciò che hanno detto di lui alcuni attori, registi e compagni di lavoro:

Totò, la maschera e la smorfia, il volto e lo sberleffo, ecco come Carlo Delle Piane, raccontando di Totò e Aldo Fabrizi sul set di Guardie e ladri:
« Erano attori eccezionali, con loro non c'era la sicurezza del copione tutto previsto, bisognava stargli dietro, perché le gag non venivano mai uguali, da una ripresa all'altra. Questo, per la mia età, mi divertiva e mi preoccupava. Si provava quello che era scritto, si girava ed era diverso, si ripeteva ed era ancora diverso. Finiva che non capivo niente. Ero dentro, e dovevo istintivamente comportarmi a seconda del momento, non era mai una cosa meccanica. »

Racconta Mario Monicelli:
« In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento tra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche da solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare... Era gentile, un signore... Si facevano le due, le tre... Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo "questo si poteva fare così, questo è andato male perché..." Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai ritrovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito.»

Racconta Vittorio De Sica:
« Era veramente un gran signore, generoso, anzi, generosissimo. Arrivava al punto di uscire di casa con un bel po' di soldi in tasca per darli a chi ne aveva bisogno e comunque, a chi glieli chiedeva. (…) Aveva la mania della nobiltà: il primo giorno che lavorai con lui gli domandai: «Devo chiamarla principe o Totò?» Ci pensò un attimo, poi mi rispose: «Mi chiami Totò». Ma tutti gli altri dovevano chiamarlo principe, e lui da principe, quei principi di cui leggiamo nelle favole, si comportava con tutti e in ogni suo pur minimo gesto, pensiero, atteggiamento.»

Totò, intervistato da Oriana Fallaci:
«Io non prendo i 100, i 70, i 50 milioni di lire che prendono gli altri. E ciò di proposito, perché se sento dire che il tale o la tale hanno preso 600 milioni per la parte in un film, resto inorridito, schifato. Io non ho mai voluto prendere grandi cifre perché ho sempre pensato che il produttore deve guadagnare, col film. Se non guadagna, fallisce. Se fallisce, io non faccio più film. E se un po’ alla volta falliscono un po’ tutti, dopo che faccio? I film dove recito io son commerciali, son filmetti arraffati, destinati alle sale di seconda visione, e costano poco: anche come film.»

In verità, furono poche le occasioni che fecero apprezzare Totò dalla critica cinematografica, dalla quale fu spesso avversato:

«Nel mio pessimismo professionale influisce certo l'atteggiamento negativo dei critici, che mi hanno sempre stroncato. Non posso fare a meno di notare che questi signori si limitano a distruggere, mentre dovrebbero consigliare per il meglio noi attori. Se uno entra in casa mia, osserva che l'arredamento è brutto e mi sfascia i mobili a martellate, non agisce in modo sensato. Meglio sarebbe se esponesse i motivi del suo dissenso, per affinare il mio gusto e farmi capire i miei errori. Ma, alla fine di tutti questi discorsi, rimane la constatazione che io rispetto i critici, mentre loro non rispettano me. Mi rimproverano perché, secondo loro, faccio sempre le stesse cose. Non è vero. Sono passato dalla Commedia dell'Arte alla prosa, dal varietà al cinema, dalla poesia alla musica. Certo, rimango sempre Totò, perché non sono io a comandare la mia faccia, ma la mia faccia a comandare me.»






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