Pubblicato il 12/10/2008 21:44:44
10 Genio maledetto (Barra Gabriele, classe ottantuno, signore!)
GENNAIO E FEBBRAIO DEL MITO
Stavo mangiando un cornetto alla crema caldissimo, con nessun pensiero particolare nella mente, spensierato come un ragazzino di quindici anni da compiere fra non molto, innamorato di una ragazza, che si dirige nella sua classe alla fine della ricreazione. Ed era proprio ciò che effettivamente ero. Non lo vidi arrivare e mi accorsi che era lui solo quando sentii la sua mano stringersi sul cornetto e crema calda inondarmi il viso, pensando già a come sarebbe stato appiccicoso il mio tentativo di togliermela via. “Bastardo!” dissi sporgendomi in avanti per non sporcarmi i vestiti con la crema che era scesa giù per il mio viso e adesso ristagnava sul mio mento formando dense gocce che sembravano di muco, in una mano tenevo il cornetto, l’altra era semiaperta ed impotente. Quelli dell’ultima fila erano tutti lì e ridevano piegandosi in due e descrivendomi come un lattante che aveva appena vomitato, non capivo che cazzo avevano da ridere, mi sentivo imbarazzato in una maniera animale e già prospettavo che fossi in dovere di lavare presto l’onta subita da Luigi Corona che adesso se ne stava un po’ distante da me per avere il tempo di fuggire nel caso io... ...con un salto fui vicino a lui, ma quello mi prevenne, si voltò ed iniziò a correre con le gambe che si alzavano verso l’esterno e con i lunghi capelli biondi che gli si stavano slegando dal codino in cui li teneva legati. Lo inseguii per tutto il corridoio evitando un paio di professori tra le urla dei miei compagni di classe che incitavano ridendo ancora, saltai una ragazzina intera seduta per terra proprio sotto la finestra, feci volare il registro ad un altro che usciva proprio allora da una terza e mandai all’aria una seconda ragazzina che non vidi affatto. A due metri dalla mia classe mi lanciai a tuffo come un giocatore di rugby e lo agganciai con le braccia attorno alla vita e lui, ridendo, cadde in avanti proteggendosi il volto con le mani. A terra riuscì a girarsi a pancia in su ed io gli stetti proprio sopra. Rideva ancora. Rideva e rideva e basta, coi capelli davanti agli occhi e con i suoi denti bianchi e con le orecchie piene di orecchini brillanti a cerchio. Rimasi fermo per un attimo a guardarlo e mi venne una rabbia che era la stessa che avevo provato il giorno che fui sospeso, quando c’era nell’aria quella atmosfera tesa come una corda nel tiro alla fune e lui se la rideva mentre venivo mandato a casa per due settimane. Che grande faccia da coglione che aveva, Corona! “Adesso te la mangi tutta, ‘sta crema qua” dissi e con le dita della mano destra mi ripulii alla meno peggio il viso eppoi gli spalmai quello schifo su tutta la faccia che assunse un’espressione ripugnante. Lo guardai di nuovo ed ancora non aveva smesso di ridere, nessuno aveva ancora smesso di ridere e adesso ci erano attorno a cerchio, li guardai, c’erano anche Sarah Moretti e le altre ragazze tra loro; guardai di nuovo Corona che adesso si ravviava i capelli lasciando intravedere lo schizzo che gli avevo fatto in faccia che gli andava dal naso all’orecchio sinistro, rideva con gli occhi chiusi e mi parve un bambino che fugge, ridendo, l’ira dei genitori e così mi spense, anche io iniziai ad avviarmi prima sorridendo, poi con piccole esplosioni di risa e alla fine ridendo apertamente, mi chinai su di lui abbracciandolo e poggiando il mio mento sulla sua spalla. “Hai proprio una faccia di cazzo” gli sussurrai ancora ridendo in un orecchio. Due minuti dopo eravamo in piedi ai lati della cattedra, con la faccia ancora sporca di crema a spiegare al supplente che avrebbe sostituito storia in quell’ora, che stavamo solo scherzando e che non c’è niente di male a scherzare ogni tanto e che non poteva metterci quella nota che voleva perché in fondo non avevamo fatto male a nessuno e non eravamo stati indisciplinati ma semplicemente un po’... come dire... teste di cazzo innocue. Non era d’accordo con noi e ci mandò a posto tutti quanti riempiendo la sezione delle note di quella giornata e noi lo stesso risultammo pienamente soddisfatti delle nostre risate, pur beccandoci una nota collettiva. Sedemmo ai nostri posti tranquilli come se non fosse successo niente ed in verità per noi era proprio così, con tutte le note che avevamo già collezionato, una in più non avrebbe cambiato di molto il nostro stato di condotta. Tra la fine delle vacanze natalizie e quel giorno di fine gennaio io personalmente avevo beccato sette note di cui l’ormai leggendaria: ‘Barra canta in classe alla fine delle lezioni e Corona fa il coro e finge di suonare la chitarra’ in collaborazione con Luigi che ne aveva già una bella scorta dall’inizio dell’anno. Cristiani si era preso la nota che più comprometteva la sanità mentale dei componenti della classe e più o meno diceva che ‘ha degli strani attacchi durante le lezioni in cui lancia urla forsennate all’indirizzo dei compagni e fa strani gesti’. Quelli dell’ultima fila avevano invece solo note collettive ed erano pure loro una bella banda di menomati, ogni tanto si prendevano a pugni e litigavano ad alta voce per una cazzata qualsiasi, Fortunato metteva sempre pace con un testa contro testa fra i due di turno e loro si prendevano lo stesso la nota alzandosi a fare casino con il professore malcapitato. Tutti i professori ci confidavano volta per volta che avrebbero tanto desiderato abbandonare la classe al suo destino e parecchie ore le perdemmo a fare casino mentre i professori ci guardavano semplicemente esausti della situazione e stanchi di fare il cattivo sangue tutte le volte che mettessero piede in classe. L’idea quella volta fu (tanto per cambiare) di dare il più fastidio possibile al supplente e così mi alzai per andare a sfottere quelli dell’ultima fila e da lì, inginocchiandomi e nascondendomi dietro le spalle di alcuni di loro iniziai a gridare versi senza senso mentre a Cristiani si drizzarono le antenne e risate sparse per la classe venivano sommesse sul nascere. “Ma che succede?” urlò il professore dalla sua cattedra alzando la testa dall’agenda su cui aveva gli occhi. “Sono stato io,” mi alzai dall’ultima fila “‘sta faccia di fesso mi ha schiacciato il piede e mi sono fatto male, scusate” conclusi facendo segno verso Mangino. “Torna a sederti al tuo posto” mi ammonì lui, guardandomi di traverso da sopra al paio d’occhiali grigi posti sulla punta del naso. “Va bene” dissi avviandomi verso il mio banco con un sorrisetto sulle labbra. “Come ti chiami, ragazzo?” mi chiese adesso lui. “Barra Gabriele, classe ottantuno, signore!” facendomi spazio tra le sedie e riprendendomi il mio posto mentre quello continuò a fissarmi un po’. “Il famoso Gabriele Barra, quello che è stato sospeso all’inizio dell’anno” affermò convinto con una piccola sfumatura di domanda. “Sì, signore, me ne vergogno un po’ perché sostanzialmente sono timido” e diventai rosso mentre i miei compagni ridevano come se quel giorno ce l’avessi io la rotella che dava il via a tutte le risate. “Da quello che hai fatto per meritarti la sospensione non si direbbe” affermò ancora. “Perché?” chiesi “Si è venuto a sapere in giro?” Ancora risate. “Una cosa così grave viene a sapersi presto. Tu cosa ne dici?” animò con la mano la sua domanda ponendosi un dito sulle labbra. “Dico” e qui mi staccai quel sorriso da idiota dalla bocca “che io non ho fatto niente, questo sputa, lui si incazza e poi mi sospende” ed agitai le mani in aria simulando due o tre tic. “Hai sputato in testa al professore perché ti aveva rimproverato. Sputare contro una persona è l’offesa peggiore che uno possa avere intenzione di fare, lo sai? Sono i sociologi e gli psicologi a spiegarlo” “Quello è stato dopo, professore. Dopo la sospensione ho sputato contro la finestra e mi hanno dato una settimana. Visto che c’ero, ho sputato in testa al professore e me ne sono aggiudicata un’altra” “E ti sembra una cosa normale da fare?” me lo chiese quasi fosse un’affermazione. “A me tante cose non mi sembrano normali. Ma non me ne lamento” spiegai. “E sai che tutti i tuoi temi di italiano girano tra tutti i professori appena dopo i compiti in classe?” la rivelazione mi fece aggrottare le sopracciglia ed inclinare leggermente il capo da una parte. “I miei temi… d’italiano?” chiesi. “I tuoi temi di italiano, se tu sei Gabriele Barra, quello che è stato sospeso all’inizio dell’anno” “Classe ottantuno, signore” ripetei con saluto militare annesso, stavolta. “Fra i docenti si pensa che siano i migliori dell’istituto, davvero eccezionali. Da parte mia posso dirti che quello su quanto possa essere importante una frase non detta mi ha impressionato parecchio” mi guardò con ammirazione, cambiò posizione, mettendosi più comodo, sembrava che avesse trovato qualcuno a cui attaccarsi per passare il tempo. “Beh…” che palle, parlare di questo genere di cazzate davanti a tutti. Ho sempre odiato che qualcuno mi mettesse al centro dell’attenzione in questo modo “a volte il professore li legge in classe” “Tutte le volte…” rettificò Catalano alzando un sopracciglio con leggero disprezzo. Era sempre fottutamente competitivo con me, a quanto avevo notato. “A me non sembrano così eccezionali…” Sarah Moretti fingeva di colorare il suo diario, distrattamente. Lei parlava per invidia del pene. “Invece sono belli” annuì Del Monte, il che mi riempì d’orgoglio. E da lì iniziò una diatriba enorme che Coviello seppe interrompere con la voce soffusa che faceva ogni volta che dovesse parlare in pubblico. “I temi di Gabriele sembrano delle vere pagine di un libro, non è vero che non sono eccezionalì” si muoveva a destra e a sinistra per dissimulare l’imbarazzo, il che invece lo evidenziava. Tarantino annuiva, Pastore confermava, Nagliero che di solito si faceva i cazzi suoi ammise che “Quello sa scrivere e basta” ed a sdrammatizzare la situazione ci pensò Corona che mi abbracciò la vita smuovendomi fortemente a destra e sinistra annuncio che il suo amico sarebbe diventato uno scrittore con la stessa gioia che se avessimo vinto una cifra assurda al totocalcio. “Quindi ho il piacere ed il dispiacere di conoscerti, Gabriele” riprese il professore pensandoci su e cambiando di nuovo posizione “ma il fatto che stiamo parlando mi servirà quantomeno a farti la domanda che faccio sempre agli alunni, fra quelli che mi è capitato di avere che si comportano come te e che hanno delle straordinarie doti nascoste: perché l’energia che sprecate per fare le vostre stupidaggini, non la utilizzate invece per costruire qualcosa di positivo?” “Non lo so” continuavo a tastarmi l’orecchino in cerca di un appiglio. “Uno che si comportava come te e che è stato un grandissimo poeta era Rimbaud. Ma Rimbaud ha scritto forse le pagine più belle della poesia francese dell’ottocento, lui era considerato un genio maledetto” un genio maledetto. Io di Rimbaud conoscevo soltanto il Battello Ebbro che stava sulla nostra antologia. “Ma io non voglio diventare uno scrittore, mi basta essere un povero buffone di strada, a volte mi piace fare ridere, a volte… sputo sulle cose” nuove risa scoppiarono all’interno della classe. “Professò, io gli ho insegnato a sputare” Corona voleva ritagliarsi la sua fetta, dal mio momento di gloria. “Ma tu hai buone qualità, perché vuoi sprecarle facendo il buffone di strada?” “Non sono sprecate. Posso andare al bagno?” indicai la porta. “Sono sprecate se nel tuo tempo libero non le valorizzi esercitandoti e disciplinandole” “Io cerco di disciplinarle, ma non voglio essere uno scrittore e sono incontinente, mi faccia andare in bagno” “Ma non necessariamente uno che sa scrivere deve diventare uno scrittore. Potresti per esempio diventare un ottimo insegnante o magari se sei tanto bravo a parlare e scrivere come si evince dai tuoi temi, potresti essere un ottimo avvocato” “Sono lavori che non mi interessano. Posso uscire, adesso?” “Un lavoro prima o poi dovrai farlo, nella vita” “Attore comico? La prego, non ce la faccio più, voglio andare in bagno” “Perché non ci pensi seriamente al tuo futuro?” “Perché il futuro importante è il presente secondo me, per esempio in questo istante dovrei andare al bagno” “Invece bisogna costruirselo da adesso un ottimo futuro” “Se lo dice lei” così mi alzai e mi diressi verso il basso della classe e lì mi girai di spalle al professore Con una mano mi grattai la nuca, mentre con l’altra lentamente abbassai la cerniera dei miei jeans e sentii tutti gli sguardi della classe proprio addosso. Mi voltai verso Fortunato che era quello più vicino a me, forse aveva capito ciò che stavo per fare, perché mi fece segno di no con la testa, che era meglio lasciare perdere e non impuntarsi, gli sorrisi per dirgli che tanto ormai non me ne fregava più niente proprio e così, voltandomi nuovamente, scaricai tutti i liquidi che avevo nei reni ed in quel momento sentii il vero peso e valore del grande futuro che mi stavo costruendo. “Aspetta che vengo anch’io, Gabrié” disse Corona che in tutto quel tempo era stato ad intagliarsi il banco di nuovi disegni. Un grande silenzio proprio, e poi risate a raffica, dopo un attimo di titubanza, prima che la classe iniziasse ad evacuare nel senso che quasi tutti scapparono fuori, mentre alcuni vennero a pisciare accanto a me. Tra quelli che andarono via ci fu anche il professore che forse intuì che con le teste di cazzo come me, non era proprio il caso di darsi tanta pena. Dieci minuti dopo i bidelli si incazzarono come iene per quello che avevamo combinato, rifiutandosi di pulire. Promisi loro che avremmo dato una mano e mi giustificai dicendo che il professore non mi aveva lasciato uscire e io non ce l’avevo fatta più ed era la sacrosanta verità. Nonostante tutto mi beccai la seconda sospensione per due settimane, ma questa volta Corona e Nagliero furono sospesi con me. E fu sospeso anche Catalano che, tra le altre cose, non voleva mancare di essere competitivo anche in una sfida a chi piscia più a lungo. E con quell’altra cazzata fui separato ancora da Sarah Moretti che presto, visto che si era spesso fermata alle apparenze, mi ripromisi che avrebbe finalmente visto il Rimbaud che c’era in me.
Al ritorno dalla sospensione, la scuola rotolò avanti per altri due mesi in cui si cristallizzò il mito della nostra classe come più indisciplinata di tutta Italia. Si creò una moda in quei mesi, la moda del simpatizzare con noi come fossimo gli studenti da imitare, tutti iniziarono a copiare il nostro modo di vestire ed il nostro modo di fare, senza che a noi ce ne importasse più di tanto, c’era chi copiava quelli dell’ultima fila (che venne denominata il Loggione) per il modo trasandato di vestire, chi copiava Corona per il modo di portare i capelli e le basette, chi prese a copiare Cristiani per le sue magliette fosforescenti e ci fu un vistoso incremento di lobi bucati da orecchini a cerchio, jeans larghi e sbiaditi e camicie mezze sbottonate a volte esatte uguali a quelle che portavo io. Sembrava che la scuola si fosse rispecchiata dentro noi e avesse trovato la sua stessa anima nella nostra e a noi questo cambiamento ci sfiorò solamente perché continuavamo a fare quello che dovevamo e volevamo come e quando ci pareva, solo e semplicemente c’era in più il fatto che gli studenti degli anni superiori iniziarono a rispettarci, iniziarono a credere che fossimo veramente dei figli di puttana. Ci attribuivano delle qualità ideologiche che in realtà non avevamo, ci credevano dei ribelli, ci credevano dissidenti, ma in realtà eravamo soltanto teste vuote sbattute contro la scorza del mondo. A scalfirsi era lei, mentre le nostre teste vuote non ne subivano conseguenze. In quel periodo diventammo il referente preferito di tutti: i ragazzi ed i professori mi osannavano perché avevo matematicamente portato la squadra della scuola nelle provinciali con quattro gol di cui due decisivi in soli quaranta minuti giocati, il ché mi aveva garantito finalmente il posto in squadra da titolare, i comunisti, con la loro voglia di rivoluzione, si identificavano nelle nostre proteste contro i professori, i professori stessi crearono un rapporto confidenziale con noi per quella inconscia simpatia che si prova sempre per gli studenti più indisciplinati, i miei temi vennero pubblicati nel giornale della scuola, Catalano riuscì soltanto a pareggiare con le sue poesie, Tarantino e Marcantonio si alternavano nel disegnare vignette satiriche scritte da Coviello che, insieme a Fortunato, fu inserito nella squadra dell’atletica vincendo i cento metri e la staffetta a quattro mentre Fortunato vinse il lancio del peso il secondo, Pastore divenne presidente del cineforum e poi capo redattore del giornale stesso, Morra organizzò il concerto di Carnevale ed a Corona fu affidato il compito di disegnare un grande murales con l’intestazione della scuola sul muro di fronte del corridoio delle assemblee di istituto. Tutti ottenemmo riconoscimenti e chiunque in generale ci si affezionò perché in giro per i corridoi, nei bagni, nel cortile, montavamo improvvisamente spettacoli di una comicità unica e in quel grandioso periodo riuscimmo ad infondere vita nel logorante tempio della cultura che la scuola voleva rappresentare, riuscimmo a rendere ogni giornata divertente ed interessante per chi avesse un minimo di intelligenza e di apertura mentale. Ci odiavano e ostacolavano solamente, fra tutte, tre categorie di persone: i professori della nostra classe, i nostri compagni figli di papà ed il preside. Di una di queste tre categorie purtroppo faceva parte Sarah Moretti e quello me la allontanò come nientaltro credo, non ci pensai immediatamente perché sembrava che non ci fosse contro nessuno in quei mesi, sembrava veramente che nulla sarebbe stato più impossibile per noi, i nostri nomi e le cose che facevamo, anche le cazzate più grosse, erano nella bocca di tutti, professori e alunni e ad un certo punto cominciammo ad essere coscienti di questo stato di grazia che ci aveva avvolti. Ragazze più grandi ci guardavano affascinate dal grande mistero dell’essere considerati popolari senza avere il merito di essere belli o ricchi. Catalano si fidanzò con una del terzo anno, Corona era assediato dalle ragazzine del primo e del secondo, quelle delle classi in cui era stato gli anni precedenti si affacciarono spesso a salutarlo, come rimpiangendo di non averlo più con loro, Coviello ricevette un mazzo di fiori da una ammiratrice anonima, Tarantino veniva pedinato tutte le mattine da una che sembrava una ballerina spagnola, Pastore fu visto a baciarsi con una piccola piccola e brutta come lui. Di tutte le cazzate che fioccavano ogni giorno, quello veramente storiche furono due: Cristiani che si calava da una finestra con una corda fatta di bretelle di zaino preparata da me e Corona e Coviello salito dal davanti sulla cappotta dell’auto di una professoressa che stava arrivando. Tutto questo alla fine iniziò ad avere il suo peso sulle mie spalle ed essere sempre monitorato da chiunque e sapere che in ogni momento tutti si aspettavano da te qualcosa di grande, ad ogni passo che mettessi nel corridoio o ad ogni entrata che facevi nella scuola, non era poi la cosa migliore che potesse capitarmi, proprio a me che volevo mischiarmi nella folla e catturare la mia ispirazione estratta direttamente dalla fonte Sarah senza dare nell’occhio. Per esaltarmi scrivendo una canzone che avrei cantato solo a me stesso centinaia di volte. Tutta la nostra popolarità ci si rivoltò contro alla fine del primo quadrimestre e ci fece aprire gli occhi di fronte alle tre grandi inimicizie che ci eravamo creati. La prima la scoprimmo nell’assemblea di classe di febbraio, quando il più importante punto all’ordine del giorno fu il casino durante le ore di lezione e tutto il resto della classe ci puntò il dito contro e ci mandò alla pena capitale accusandoci nome per nome di disturbare le lezioni e di aver dato una pessima reputazione all’intera classe e non solo a noi stessi e poi anche delle note che avevamo collezionato mese per mese. Per tutta quell’assemblea Sarah Moretti mi guardò come fossi un assassino, proprio a me che sembravo la vera scintilla del cambiamento di tutta la classe e proprio per il fatto che ero stato la vera scintilla della classe. “Ma non ti dà fastidio il fatto che per colpa tua il preside ci abbia additato come la classe più deludente dell’intero istituto? Io a scuola ci vengo per studiare, non per vedere come voi fate gli stupidi e per essere discriminata da tutto il resto dell’istituto” affermò lei intervenendo nel corso dell’assemblea in occasione della quale mi ero unito ai miei compagni del Loggione sedendomi fra di loro con Corona e Cristiani come in una bella rimpatriata. Era alquanto alterata, forse perché l’avevo un po’ trascurata, in quel periodo. Mi alzai. “Non è colpa mia se questa è una classe di merda” risposi semplicemente scaricandomi la colpa come fosse polvere sulle mie mani e tornai a sedermi. “Sì, è vero, rimbambita, povera scema, non capiscono un cazzo questi qua” la sommersero con il coro i ragazzi fra cui ero seduto. Erano proprio dei ragazzi d’oro quando ci si mettevano, eh. “Vi ringrazio” dissi come se fossimo in un’importante assemblea parlamentare. “Invece è colpa sua, è stato sospeso due volte, ha sputato in testa al professore d’inglese, non si sta un attimo fermo, è lui che provoca gli altri” Altamura si aggiunse alla contestazione di Sarah. “E i rimbambiti siete voi che sapete solo aggredire” commentò Marisi, incrociando le sue grosse braccia sul petto. “E io a mia madre che gli devo dire?” anche Di Bitonto che non aveva mai un cazzo da dire, volle esprimere la sua opinione. “Quel… maiale ha fatto... i suoi… bisogni vicino al muro” Sarah Moretti indicò il fondo dell’aula “Ma vi rendete conto almeno della gravità di questo?” Nessuno seppe rispondere adesso, ci fu solo la risata di Cristiani che accese tutte le altre nostre. Di Monte scuoteva la testa in segno di dissenso, Pastore era fermo immobile come un capo indiano, nella differenza di posizione che esprimevano i loro volti si identificava la frattura che aveva diviso l’intera classe. “E se la ridono!” disse solo Sarah Moretti stringendosi la testa tra le mani, ormai del tutto scoraggiata “Mi sembrano dei dementi, questi qua” effettivamente lo eravamo.
La seconda inimicizia che ci eravamo creati la scoprimmo, anzi, più che altro avemmo ulteriore conferma della sua esistenza, quando il preside beccò Corona che stava scrivendo sul muro del bagno, ci aveva proprio una fissa per l’arte grafica, lui. Ce lo portò in classe per un orecchio mentre quello bestemmiava in sette lingue diverse di lasciarlo andare. Ci guardò con una luce di stizza negli occhi quando stava per uscire, poi gli ordinò di stare zitto e, fermandosi per un attimo sulla porta, gli puntò un dito contro. “Hai trovato i tuoi giusti compagni in questa classe, ma io so come sistemarvi a tutti e poi quest’anno te ne vai, se vieni bocciato ancora e giuro che neanche se inizierai a studiare da adesso giorno e notte lascerò che tu passi l’anno. E qualcun altro ti seguirà così vediamo di organizzarci per fare diventare innocua questa classe entro l’anno prossimo” lui non era di quelli che sapevano prenderla con ironia.
La terza inimicizia la scoprimmo come detto alla fine del primo quadrimestre, quando su ben dodici pagelle il voto segnato a nero che riguardava la condotta fu il sette. C’eravamo tirati dietro anche qualche innocente e fu finalmente confermato che eravamo la classe più indisciplinata d’Italia. Sulla mia il sette non c’era fortunatamente, la mia pagella aveva per voto della condotta un bel sei dalle curve tonde tonde; a far compagnia a quel sei solo soletto, venne quello di Corona. Praticamente perfetto per un primo anno da primato, visto che l’unico sei sia per me sia per Corona fu quello. Per quanto riguarda la mia pagella, tutti i miei voti superavano abbondantemente il sette, dato che da un po’ avevo anche recuperato a matematica, mentre quella di Corona ce li aveva tutti al di sotto del sei, gli altri voti. “Guarda qua, quest’anno sono salito pure in condotta” mi disse sorridendo della sua pagella e tirò fiori uno splendido coltello intarsiato con cui prese ad intagliare il banco. “Bello, quel coltello” gli dissi. “Ti piace?” voltò la testa verso di me “Se vuoi posso procurartene uno uguale” “Lascia stare, va a finire che ci ammazzo qualcuno, schizzato come sono” mi piantai una mano sotto il mento, annoiato.
Quel giorno stesso di metà febbraio ci scambiarono di posto. A tutti senza pietà neanche per chi non aveva mai fatto niente e, per quanto fosse difficile, si cercò di fare in modo che non esistessero più due sette in condotta vicini di banco, per non parlare di me e Corona che saremmo stato posizionati uno ad un angolo e l’altro all’angolo opposto della classe. Presenti alla destrutturazione e ristrutturazione della classe di quella mattina furono tutti i nostri genitori o almeno quelli che avevano potuto essere presenti. C’era mio padre che era tanto deluso che nelle ultime due settimane di sospensione non mi aveva praticamente cagato se non per mandarmi a fare in culo ogni qualvolta gli capitassi tra i piedi. E c’era la madre di Sarah Moretti che, con espressione arcigna ci aveva spiegato che chi aveva usato l’aula come urinatoio non aveva nulla di diverso da quei ragazzi che a quell’epoca avevano lanciato massi dal cavalcavia. Dunque ero anche un assassino. Mentre il professore cercava il posto adatto a me e continuava a farmi spostare zaino e tutto prima a destra e poi a sinistra, mio padre non smetteva di consigliarlo in perfetto vernacolo facendo ridere chiunque e accattivandosi le simpatie dei miei compagni di baldorie, col risultato che mi piantai le mani in faccia della vergogna e ripagai quella che lui doveva aver provato e stare ancora provando per me. Io, che di tutto il casino ero stato il fautore, con la storia di Rimbaud e del genio maledetto, tradii i miei amici che protestarono di non voler cambiare posto ammettendo che smetterla era la cosa migliore e facendoli tornare alla ragione. La leggenda era ormai terminata e poi veramente non ce la facevo più a sentirmi richiamare ad ogni stronzata che facessi, fosse anche solo pulirmi il naso e non ce la facevo più a subire lo sguardo indignato di mio padre del quale non sembrava più che fossi neppure lo sputo. Così anche gli altri si decisero a farsi cambiare di posto, dopo che, di buona volontà, fui il primo a prendere posto, nell’aula vuota al nuovo banco che mi fu assegnato: tanto dopo tutti i giri che mi avevano fatto fare, mi avevano rimesso al posto di prima. Tu vai lì, tu spostati qui, tu fuori dalla finestra, tu sopra la lavagna e un mescolamento totale da far paura, mi vidi i miei amici andare a finire negli angoli più bui della classe, nascosti dietro facce da mummie sgobbone che avrebbero scatenato una polemica di quelle asprerrime (se si potesse dire) appena avessero aperto bocca. Il banco accanto al mio era rimasto ancora vuoto, mentre me ne stavo con la testa fra le mani ed una emicrania allucinante ad osservare il pavimento dove quattro mesi prima Corona aveva artisticamente elaborato i suoi vomitini a chiazze. Mi svuotai da ogni pensiero, cancellai tutte le voci attorno a me, pensai che non avevo scritto neanche una canzone in tutto quel tempo ed avevo solo cazzeggiato in compagnia di questi futuri nullafacenti, vidi la mia vita andare a rotoli e pensai che forse il mondo non mi sarebbe mai più piaciuto come mi era piaciuto in quei due mesi perché nell’unico periodo in cui ero stato felice, non avevo costruito nulla di buono ed avevo anche distrutto la mia più bella storia d’amore e ispirazione, nonché forse l’unica. Poi, quando tutto si era ormai profondamente tinto di nero (si posssono immaginare la mia gambe che tremano leggermente ed il cuore che ha un sussulto, io che, nell’incertezza di aver capito bene, volto la testa da una parte, la osservo avvicinarsi, sbuffando, ma è come se finga, come se in realtà sia contenta, come se sperasse che quello che lei aveva voluto si avverasse per davvero, ma casualmente, così da non compromettersi) la presidentessa Sarah Moretti, quella dai fouson fucsia che quel giorno, tra l’altro, indossava per l’ora di educazione fisica ormai saltata, abbandonò lo zaino dietro lo schienale della sedia che era stata di Corona e adagiò i suoi morbidi glutei sul fondo della stessa. Quel giorno seppi per davvero che, se la fortuna baciava gli audaci, io dovevo esserlo stato all’ennesima potenza.
Molto tempo dopo, forse a metà del secondo quadrimestre, ce ne saremmo stati buttati nel cortile della scuola, Corona e Tarantino (ex-ultima fila o loggione) a fumare, Cristiani a togliersi la cacca dal naso, Coviello (ex-ultima fila o loggione) a cercare di convincere Mangino (ex-ultima fila o loggione) a fare l’imitazione del professore di inglese, Fortunato (ex-ultima fila o loggione) a prendere in braccio Pastore (ex-ultima fila o loggione almeno moralmente) e fargli fare le capriole, Nagliero (ex-ultima fila o loggione) a sfottere la mamma di Morra (ex-ultima fila o loggione) che tra parentesi era una bravissima e bellissima donna e Ieva (ex-ultima fila o loggione) a parlarci a tutti quanti delle sue avventure dell’anno precedente ed io sdraiato per terra a pensare a Sarah Moretti così vicina nel campo di pallavolo e così lontana per ciò che sarebbe successo. Un tipo di quarto allora se ne sarebbe venuto per fumare anche lui una sigaretta ed avrebbe detto come fosse un segreto di stato: “Io lo so che voi state solo cercando di far calmare le acque per poi riprendere a fare più casino di prima. Tutti lo sanno nella scuola e stanno aspettando di... per modo di dire... rivedervi all’azione” Noi ci saremmo guardati tutti in faccia pensando ‘che cazzo vuole questo?’ e lo avremmo mandato affanculo con una tranquillità da indiano buddhista. Ma ci saremmo resi conto comunque che quelli erano stati i mesi più grandi per noi, all’interno della scuola e forse i mesi più grandi della scuola stessa, eravamo stati capaci di riaccendere l’entusiasmo di tutto un istituto e smontargli di dosso quel vestito di tedio che indossava da sempre. E se ci avevano spenti piuttosto presto erano stati loro a volerlo e loro ci stavano andando da sotto, senza più nessuna guida all’interno del Liceo, senza più nessuno stimolo ed in fondo in fondo anche se sapevamo che non avremmo più fatto casino neanche col pensiero, ognuno di noi si aspettava dall’altro che, come aveva detto quel ragazzo di quarto, avesse la forza e la volontà di riaccendere la fiamma che ci aveva animati un tempo e naturalmente, anche se nessuno lo diceva, le più grandi aspettative gli altri le avevano su di me. Ma il ‘genio maledetto’ come mi aveva definito in un giorno di gennaio quel professore, aveva perso l’interesse per qualunque genere di leggendarietà perché aveva altro a cui dedicarsi, e qualcosa a cui Rimbaud non avrebbe mai pensato, visto che informandomi, scoprii che era stato omosessuale. Avevo da pensare a come intessere una storia d’amore con Sarah Moretti e per fare ciò avevo bisogno di ricostruirmi un’immagine che a lei non dico piacesse, ma quanto meno potesse andare bene.
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