Capitolo XIX
La mattina seguente, martedì 17 Settembre, il Tenente Passeri si mise in contatto con i colleghi di Domodossola. Come aveva immaginato, la sera precedente c’era stata la conversazione telefonica tra Sinibaldi e Symensth. I carabinieri ora erano pronti ad intervenire, conoscevano luoghi, tempi e modalità degli spostamenti. Passeri pianificò tutto in poche ore, organizzò immediatamente la partenza per il Lago Maggiore con tutti i propri uomini, compreso De Lellis. Durante il viaggio i carabinieri approfittarono per mettere a punto gli ultimi dettagli dell’operazione. La squadra che si sarebbe riformata, sarebbe stata la stessa delle operazioni precedenti. Sulla riva ovest del lago, sarebbero intervenuti il Tenente Passeri, Crescenzi e Banfi, con a supporto un’altra auto di colleghi di Domodossola pronti ad intervenire. Sulla sponda di Luino ci sarebbe stato un altro automezzo con Furlan e Todde, sotto la guida di De Lellis. Inoltre dell’operazione era stata allertata la polizia doganale svizzera che, in caso di eventuale fuga dei malviventi, li avrebbe attesi al confine di P.te Tresa.
«Allora questa volta non sono un fantasma, hai chiesto l’autorizzazione ai miei superiori?» Domando Antonio a Corrado. «Sì Antonio, questa potrebbe essere un’operazione delicata, e poi mi serviva un uomo fidato al comando dell’altra pattuglia e questa volta, sarebbe stato troppo complicato giustificare la tua presenza.»
«No, tranquillo hai fatto bene, è meglio così. Con chi hai parlato?»
«Con il capitano in persona, quando mi muovo, non scherzo io!»
Si respirava una certa tensione in auto, questa volta si aveva la netta sensazione che la vicenda volgesse al termine. Passeri con tutta la sua squadra, aveva una gran voglia di prendersi una rivincita su coloro che li avevano messi in ridicolo più di una volta. Alle sedici e trenta i carabinieri erano a sud del lago. All’altezza di Somma Lombarda s’incontrarono con un’altra auto venuta a prendere il Maresciallo. Poco dopo, le due auto proseguirono separate, ognuna procedette verso la sponda del lago di competenza.
Fin dalla mattina Trabaschi riprese la sua opera di pulizia del giardino, i ragazzi da sotto vedevano filtrare un poco più di luce e pensavano che ormai l’uscita fosse questione di ore. Erano veramente stanchi, il cibo scarseggiava, avevano i muscoli rattrappiti, i panni umidi e non dormivano su un letto comodo da ormai tre notti. Sempre più spesso i genitori venivano nei pressi della villetta per poter scambiare qualche parola con loro tramite la radio dei carabinieri. Erano comunicazioni veloci, cercavano di sollevarli ed incoraggiarli. I ragazzi dal canto loro, cercavano di dimostrarsi sempre tranquilli e a loro volta tentavano di rassicurare i genitori. Gianni e Maurizio rimasero un po’ male quando scoprirono che di pattuglia fuori dalla casa non c’erano né Crescenzi, né il signor Antonio impegnati nell’operazione sul lago Maggiore. A volte due chiacchiere con loro gli permettevano di passare meglio le giornate estremamente vuote. All’ora di pranzo il giardino era completamente pulito, tutto il materiale raccolto era stato caricato sul camion ed era pronto per essere portato via. Io e Roberto nel pomeriggio andammo a trovare Luca, volevamo vedere direttamente come fosse la situazione. Suonammo al citofono e come la volta precedente la mamma ci invitò a rimanere a giocare in giardino.
«Zitto un po’ Maurì, non ti sembra la voce di Marco e Roberto?» Disse Gianni.
«Sì, sono loro, sono venuti a giocare con Luca.»
«Ma è chiaro che è una scusa, volevano vedere che aria tirasse sopra di noi.»
Dopo circa un’ora, la mamma di Luca, ci portò la solita merenda abbondante, succo di frutta, panini con la marmellata ed alcune fette di torta fatta in casa. Io approfittai della sua gentilezza e tentai di forzare la mano.
«Vedo che il giardino è pulito, possiamo giocare a pallavolo un poco?»
«Be credo che ora non ci siano problemi, comunque ragazzi mio cognato mi ha detto che alle diciotto e trenta circa viene a fare altri lavori, quindi fate in modo che al suo arrivo non vi trovi dall’altra parte, meglio evitare discussioni.»
Io scavalcai subito dall’altra parte e vidi chiaramente l’apertura sul terreno. Senza quel materiale intorno era ben visibile, evidentemente proprio per questo era stata occultata. Non era molto grande, sarà stata quindici/venti centimetri di diametro, diciamo che il pallone non ci sarebbe entrato sicuramente. Più di una volta il pallone finì da quelle parti. Una volta di queste, dando la schiena alla staccionata, chinandomi per raccogliere la palla, feci scivolare nell’apertura due fette di torta ed il mio panino che avevo nascosto nelle tasche.
«Oh Maurizio guarda», disse Gianni.
«Che cos’è? È arrivato babbo natale in anticipo.»
«Deve essere Marco, ci ha mandato giù la sua merenda, vedi che sono venuti per noi! Si è un poco sbriciolata, però ci voleva proprio un dolcetto.»
«Sì meno male, però mi sono proprio stancato, voglio uscire», rispose Maurizio.
Maurizio era proprio arrivato al limite, non ne poteva più, per fortuna da lì a poco l’evolversi degli eventi avrebbe anticipato questo suo desiderio. Alle diciotto Luca mi ricordò che lo zio stava per tornare e sarebbe stato meglio che io fossi rientrato nella sua parte di giardino. Io naturalmente lo accontentai subito anche perché, non avevo assolutamente voglia di trovarmi faccia a faccia con Agostino Trabaschi. Dopo un’altra mezz’ora di giochi, decidemmo di tornare. Chiuso il cancello della casa di Luca alle nostre spalle, stavamo percorrendo il tragitto che ci avrebbe portati alla fermata del trenino. Avevamo camminato già per dieci minuti quando lo sbuffo di un camion betoniera richiamò la nostra attenzione.
«Marco, ma non era Trabaschi quello alla guida?»
«Mi sembra di sì, ma non l’ho visto proprio bene, ma tu sei sicuro?» Chiesi a Roberto.
«Sì è lui. Ma non avrà mica l’intenzione di gettare il cemento ora?»
«Vieni torniamo indietro bisogna avvisare il carabiniere di guardia, andiamo subito.»
Corremmo a perdifiato, ma giunti sul posto non trovammo nessuna auto con una persona dentro che potesse essere quella dei carabinieri, evidentemente si era assentato per qualche motivo. Cercammo anche nelle due vie limitrofe ma niente. Il terrore ci prese quando vedemmo chiaramente che il Trabaschi stava estendendo una specie di scivolo dove sarebbe dovuto passare il cemento e si apprestava ad indirizzarlo verso l’apertura nel terreno. A quel punto bisognava intervenire.
«Roberto tu vai da Don Gino, telefona subito ai carabinieri vai vola, io provo a fare qualcosa qui per ritardare.»
Entrai di nascosto ed osservai le operazioni che compiva lo zio di Luca. Indirizzò lo scivolo verso l’apertura nel terreno. Il camion presentava una serie di pulsanti, luci e comandi vari. Ad un certo punto il cassone cominciò a girare e l’uscita del cemento si avviò. Prima che questo potesse fare l’intero percorso, io uscii dal mio nascondiglio spinsi tutti i pulsanti ed abbassai tutte le leve che vidi dinanzi a me. Il cemento fermò la sua avanzata, subito tornai a nascondermi. Il Trabaschi, scese dal camion e non pensando assolutamente che qualcuno avesse potuto toccare quelle leve, indirizzò la sua attenzione al motore della betoniera. Aprì il cofano e controllò l’interno. Questa decisione fu quella che fece guadagnare il tempo necessario a permettere l’arrivo dei carabinieri. Dopo circa venti minuti, Trabaschi chiuse il cofano e tornò a controllare la pulsantiera. Vide tutte le leve abbassate e non riuscì a capire come mai. Alzò lo sguardo e si guardò intorno, forse pensava ad uno scherzo del nipote, comunque aveva un aspetto tutt’altro che amichevole. Io dal mio nascondiglio mi sentii gelare il sangue, ma questo non m’impedì di ripetere da lì a poco tempo, il gesto che avevo fatto in precedenza. Il cassone riprese a girare, io di nuovo scattai fuori e feci le stesse operazioni di prima. Questa volta al fermarsi del cemento il mio sguardo incrociò quello del Trabaschi che mi osservava dallo specchietto retrovisore del camion.
«Chi sei? Che cavolo vuoi qui, esci fuori da casa mia», mi urlò contro Trabaschi.
«Fermo, ho visto entrare un gatto in quel buco così lo ammazzi», risposi io con la prima cosa stupida che mi venne in mente mantenendomi comunque a distanza di sicurezza da lui. Cercavo in ogni modo di guadagnare del tempo prezioso. Uscii fuori dal giardino ma rimasi lì davanti. Le leve ripresero il loro posto, il cemento riprese il suo cammino ed iniziò a tracimare nel sottosuolo.
«Aiuto che succede, aiuto carabinieri», urlò Maurizio subito seguito da Gianni.
«Fermatevi, fermatevi subito, ci sono persone qui sotto, fermi», continuò Gianni.
Noi da fuori con il frastuono del camion non riuscivamo a sentire le grida, io comunque sapevo che era questione di pochi minuti e che sarebbe stato troppo tardi attendere oltre. Entrai nel giardino di Luca, avanzai abbassato lungo il confine e scavalcai la staccionata all’altezza del camion. Spostai il getto di cemento che cominciò a finire nel giardino. Passarono un paio di minuti prima che Trabaschi se ne accorse. Spense il camion, scese e mi vide. Questa volta corse verso di me per prendermi. Io rimasi fermo paralizzato, con le spalle verso la palizzata. Fortunatamente, per arrivare dove ero io, dovette passare nella pozza di cemento che era fuoriuscita. Tutto avvenne in un attimo, la sirena dei carabinieri squarciò l’aria, il Trabaschi girò lo sguardo verso la strada e distraendosi scivolò finendo, a faccia avanti nel cemento fresco. Io cominciai a ridere, una risata che per molti aspetti era isterica. I carabinieri entrarono di corsa, la squadra era guidata da Franceschilli con l’aiuto di altri tre colleghi.
«Maurizio, Gianni vi tiriamo fuori subito», urlai abbassandomi verso il foro nel terreno. Nel frattempo Luca la madre ed il padre uscirono fuori attirati dal frastuono.
«Ma che dice Marco? Maurizio e Gianni sono sottoterra?» Chiese Luca sia a me sia ai genitori.
«Sì Luca, tuo zio non è quello che credi tu, e neanche tuo padre.»
I fratelli Trabaschi vennero ammanettati davanti a tutto il vicinato. Luca rimase immobile, seguiva con lo sguardo silenzioso quello che stava accadendo intorno a lui, andò ad abbracciare forte la madre, la fissava negli occhi come se aspettasse una spiegazione, avrebbe accettato qualsiasi spiegazione.
«Mamma, ma cosa sta succedendo?»
«Amore te lo giuro non lo so, non ne so niente», e strinse suo figlio con tutta la forza che aveva.
Io mi pentii un secondo dopo di avergli detto quella frase, era un ragazzino come noi, con tutte le sue fragilità e questa brutta esperienza avrebbe potuto segnarlo per sempre. Ai ragazzi imprigionati furono subito passati dei viveri e dell’acqua. Dopo circa un’ora, con l’aiuto dei pompieri, furono tirati fuori. La zona rimase sotto sequestro per molti giorni e dopo il lavoro dei carabinieri, cominciò quello di ricercatori ed archeologi che riportarono alla luce un’ulteriore stanza con tantissimi reperti.
Bisognava mantenere il totale silenzio sull’arresto almeno fino alla mattina seguente, non si poteva rischiare che la notizia arrivasse a Luino e facesse saltare in qualche modo l’operazione. Nessuna notizia dell’accaduto ai mezzi d’informazione dell’epoca. Pensandoci bene, le uniche informazioni che Sinibaldi avrebbe potuto avere da Roma, erano quelle che la sera gli forniva Trabaschi ma oggi, il Sinibaldi aveva impegni più importanti che telefonare al suo amico a Roma. Messo al corrente dell’accaduto il Tenente, questi decise comunque che, per sicurezza, Franceschilli alle ventuno avrebbe passato un’ora nel famoso bar del quartiere Centocelle, e in caso fosse arrivata una chiamata particolare, lui avrebbe saputo come cavarsela.
Alle ore sedici, lo sguardo sognante di Sinibaldi era impegnato a cercare in un parco in riva al lago, la donna che improvvisamente gli aveva fatto battere il cuore come non accadeva da molto tempo. Dopo qualche minuto la vide. Era seduta sopra una panchina proprio vicino all’acqua. Si fermò ad osservarla, le scarpe erano ben composte come stessero sedute di fianco a lei. Di tanto in tanto un piede lasciava il piccolo scoglio dove era poggiato e come ad accarezzare il lago, scendeva bagnandosi un poco. Aveva una piccola cartellina dove poggiava dei fogli bianchi che riempiva con tutto ciò che questo spettacolo della natura gli suggeriva. Era talmente bella in quella cornice che era quasi un peccato disturbarla. Rimase a guardarla per alcuni minuti fino a quando lei percepì la sua presenza e si girò verso di lui regalandogli un dolce sorriso.
«Ciao Michele, ma da quanto sei qui?»
«Solo da alcuni minuti, però sufficienti ad apprezzare la tua bellezza.»
«Grazie, ti piace questo posto? La mattina presto poi è veramente un paradiso, i rumori e gli odori sono ancora più intensi.»
«È veramente magico, ora capisco perché ti rifugi qui per scrivere. Se non ti disturba domani mattina, vengo a salutarti qui, nel tuo regno prima di partire.»
«No, passa pure tranquillamente. Quindi sei di partenza?»
«Devo andare per lavoro in Svizzera, ma starò massimo due giorni. Dopo tornerò qui, e se tu vorrai, non ti libererai più di me.»
«Non esagerare Michele, però devo proprio confessarti che anche tu sei entrato in maniera prepotente nel mio cuore. Sai, pensavo che anch’io, uno di questi giorni devo recarmi a Lugano. Devo consegnare l’ultimo mio lavoro al mio editore, potresti accompagnarmi se ti fa piacere. Sarebbe un’occasione per stare un poco insieme.»
«Certamente. Io non ti chiedo di accompagnarmi perché i miei viaggi di lavoro sono tutto tranne che piacevoli. Facciamo una passeggiata?
«Eccomi», disse Olga e così facendo le diede il braccio che, solo poche decine di metri dopo, divenne la mano. Il pomeriggio trascorse talmente bene che Michele era veramente dispiaciuto che la sera non avrebbe potuto vederla. Il lavoro di quella sera però, poteva veramente essere la svolta della sua vita. Ad affare concluso, avrebbe potuto decidere di trasferirsi in quelle zone veramente incantevoli, magari con al fianco una donna affascinante come Olga.
I carabinieri oramai erano pronti ad agire. Erano le ore ventidue, un’auto d’appoggio era lungo la via che portava al supermercato pronta ad intervenire, l’altra con a bordo Passeri, Crescenzi e Banfi era a poche decine di metri dall’entrata del supermercato a fari spenti. Alle ore ventitré, un furgone bianco entrò con calma nel vialetto del supermercato e si diresse verso il retro nella zona parcheggi, spense il motore e si mise in attesa. Intanto, sull’altro versante del lago, l’altra auto era in una posizione tranquilla che permetteva di controllare a vista l’entrata dell’albergo dove alloggiava Sinibaldi. Verso le ore ventidue e trenta Sinibaldi uscì a piedi e si diresse verso il lungolago. Furlan per evitare di perderlo di vista, cominciò a seguirlo a piedi mentre pochi secondi dopo la pattuglia, sotto il comando di De Lellis, si mosse rimanendo ad una certa distanza. Passando lentamente davanti all’albergo, De Lellis istintivamente girò lo sguardo, i suoi occhi incrociarono per alcuni secondi quelli di Olga che fino ad un attimo prima era occupata a seguire il suo amico allontanarsi. La macchina che procedeva lentamente permise ai due di scambiarsi un fugace sorriso. Il signor Michele svoltò su una piccola via laterale, che dal lago riportava verso il centro storico, fece un altro paio di cambi di direzione fino ad arrivare ad una strettoia che immetteva in un’isola pedonale, dove si poteva proseguire solamente a piedi.
«Maresciallo, attento, qui non può passare con l’auto deve fare tutto il giro del paese e attendere dall’altra parte altrimenti lo perdiamo», comunicò Furlan a De Lellis.
«Dai, dai, Todde gira quest’auto, ci sta fregando ancora una volta.»
Nonostante la velocità della manovra, Sinibaldi l’aveva pensata proprio bene anche questa volta. Pochi secondi dopo riprese una via aperta al traffico, montò sopra ad un furgone parcheggiato e fece perdere le sue tracce. Ripreso a bordo Furlan, De Lellis informò Passeri dell’accaduto.
«Certo che è veramente un bastardo», commentò Passeri.
«Io comunque non credo che sospetti qualcosa, penso che abbia messo in atto questo stratagemma solo per precauzione», rispose De Lellis.
«Spero sia come dici tu Antonio, comunque lo sapremo a breve e speriamo di non dover fare di nuovo la spesa nel furgone di Symensth.»
«Non voglio neanche pensarlo. Comunque abbiamo la descrizione e la targa del furgone, se noi non arrivassimo in tempo e voi dalla barca non riuscite a bloccarlo, non potrà andare troppo lontano.»
«Quando stiamo per arrivare dalla vostra parte, vedo se dalla barca si riescono a scorgere dei punti di riferimento per poterveli comunicare immediatamente.»
«Ok Corrado ci sentiamo dopo, tienici informati, in bocca al lupo ed attenzione.»
Capitolo XX
Ore ventitré e quaranta, dal lago si vede avvicinare una barca, un colpo di sirena e due flash con i fari. Il furgone nel parcheggio del supermercato risponde con i fari.
«Ragazzi ci siamo, concentrazione», intimò Passeri.
«Come procediamo Tenente?» Chiese Crescenzi.
«Aspettiamo che la barca ancori. Al mio via, tu Crescenzi arrivi con l’auto e blocchi il furgone da dietro, io e Banfi arriviamo a piedi, intanto arriverà nel parcheggio anche l’altra auto a coprire l’eventuale fuga di qualcuno. Tutto chiaro ragazzi?»
«Sì!» Risposero i due
Dopo venti minuti la barca aveva ormeggiato, Symensth ed il suo uomo aprirono il furgone e cominciarono a dare indicazioni su come caricare la merce ai due marinai.
«Ragazzi ci siamo, Cecchini pronti ad intervenire tra un minuto.»
«Tenente noi siamo pronti.» rispose il responsabile della seconda auto.
Crescenzi arrivò di gran carriera nel parcheggio, dai lati giunsero Passeri e Banfi, tutti rimasero sorpresi.
«Fermi, carabinieri, alzate le mani, evitiamo di fare stupidaggini.»
Uno dei marinai stava cercando la fuga quando ecco arrivare l’altra auto nel parcheggio a bloccargli la strada. Tempo pochi minuti e tutti e quattro furono ammanettati. Passeri era pienamente soddisfatto ma ancora non gioiva a pieno. Si diresse con estrema calma verso il furgone, si avvicinò ad una delle casse e con terrore l’aprì. Avvolto in uno strato di paglia un piatto antico, poi una brocca. In un’altra cassa una statuetta ed ancora un pezzo di mosaico e tanto altro ancora.
«Sì cavolo, questa volta abbiamo fatto centro, bravi ragazzi. Portate via questi farabutti e adesso facciamoci questa gita sul lago ed andiamo a prendere Sinibaldi. Tu che mi sembri il più intelligente, cerca di collaborare che magari ne teniamo conto in fase processuale. Mettiti alla guida della barca e dirigiti dove era previsto l’appuntamento.»
Immediatamente Passeri volle dividere la gioia con De Lellis.
«Antonio sono Corrado, abbiamo fatto centro, abbiamo recuperata tutta la refurtiva penso abbia un valore inestimabile, ci sono tantissimi reperti.»
«Bravi, l’operazione è andata bene? Tutti illesi?»
«Sì Antonio, è stato più facile del previsto, nessuno si è fatto male. Tra poco partiamo, abbiamo un marinaio che manovra la barca e siamo quattro di noi sopra, per Sinibaldi dovrebbe bastare non credi ah ah.»
«Credo di sì, ma non ridere troppo presto.»
«No, no ormai ho imparato la lezione, però, abbiamo già ottenuto risultati importanti, l’arresto dei due inglesi, il recupero della refurtiva. Ora com’era previsto dobbiamo traversare il lago molto lentamente, proprio come se avessimo i reperti a bordo, ci vorranno almeno due oreo anche di più, dovremo essere da voi intorno alle tre, tre e mezzo».
«Prendetevi il tempo che ci sarebbe voluto, non dobbiamo insospettire il nostro amico, noi intanto proviamo a fare un giro sulla cost,a magari questa volta la fortuna gira dalla nostra parte e ci imbattiamo in lui per caso.»
Sinibaldi aveva parcheggiato il furgone in una piccola via senza uscita che terminava proprio sul lago. Era circa tre chilometri a sud di Luino. Aveva studiato bene la situazione e quella via, da un lato così perfetta per il suo essere così isolata, dall’altro poteva trasformarsi in una trappola senza via di fuga nel caso fosse arrivato qualcuno alle spalle del furgone. Si era quindi premunito per un’eventuale fuga. Aveva fin dalla mattina ancorato un piccolo ma potente motoscafo in quel preciso punto che gli avrebbe permesso una comoda fuga via lago. Erano le tre e venti quando il Tenente Passeri contattò De Lellis.
«Antonio mi senti, passo.»
«Forte e chiaro Corrado dimmi.»
«Siamo a trecento metri dalla costa, davanti a me è estremamente buio saremo circa a tre chilometri a sud di Luino. Unico riferimento che posso darti è la presenza di quella che sembra una serra, ha delle grandi superfici in vetro che riflettono la luce della luna e il nostro faro. Guarda se queste notizie possono bastarti.»
«Adesso vado in zona e vedo se incontro un qualcosa di simile, a dopo.»
«Forza bello avvicinati alla costa nel punto dove siamo attesi», disse Passeri al marinaio.
«Ma non posso andare alla cieca, qui il fondale è basso e scoglioso, c’è vegetazione che potrebbe imprigionare l’elica ci dovrebbe essere un lampeggiante che ci dovrebbe indicare il punto preciso di attracco.»
«Cosa intendi per lampeggiante?»
«La persona che ci avrebbe dovuto aspettare qui, doveva metterlo in funzione, sarebbero bastati anche i fari di un’auto, ma non c’è nulla è completamente buio.»
«Aspettiamo, forse il nostro amico non è ancora arrivato.»
La barca rimase quasi un’ora ferma nel lago, la tensione saliva qualcosa stava andando storto. Sinibaldi aveva fiutato che c’era qualcosa che non andava. Per sicurezza aveva sciolto la cima che ancorava il motoscafo e si era messo alla guida dello stesso. Non succedeva nulla quando Passeri rivolse una domanda al marinaio.
«Ma tu così esperto non riesci ad attraccare nonostante i fari accesi della barca?»
«Io veramente ho sempre fatto l’aiuto marinaio.»
«Ma allora chi doveva pilotare la barca?»
«L’altro marinaio, quello che avete portato via.»
«Ma allora perché cavolo hai accettato di pilotare la barca?»
«Be lei mi aveva proposto uno sconto di pena ed io ho accettato, la barca comunque la so portare.»
«Ma chi aveva preso contatti per questa corsa?»
«Io no sicuramente, penso il capo e l’altro collega.»
«Crescenzi contatta la caserma e fatti passare l’altro marinaio immediatamente.»
Poco dopo, «Tenente eccolo, è in linea.»
«Senti che tipo di accordi avevi all’arrivo sull’altra sponda del lago? C’era da fare qualche segno convenzionale.»
«Avrei dovuto spegnere tutte le luci, poi lampeggiare una volta e riaccendere tutto. Dalla riva avrebbero lampeggiato indicandomi il canale di attracco.»
«Cavolo ecco perché Sinibaldi non si muoveva.»
«Forza imbecille fai come ha detto il tuo collega alla radio, chissà se è vero che non eri al corrente di nulla, altro che sconto.»
Tutte le operazioni furono fatte come da programma. Sinibaldi era estremamente sospettoso ma non poteva far altro che fidarsi. Accese i fari sul furgone, lasciò una freccia lampeggiante accesa ma subito si riposizionò dentro il motoscafo e si staccò di qualche metro dal bordo del lago. Studiò bene la rotta fatta dalla barca per avvicinarsi, in caso di fuga l’avrebbe percorsa al ritroso per raggiungere il largo. La barca con a bordo i carabinieri toccò la riva nel momento esatto in cui l’auto di De Lellis entrava nel vicolo bloccando la fuga del furgone. I carabinieri scesero dall’auto, circondarono il furgone ma dentro non c’era niente e nessuno. Andarono sulla riva e Furlan raccolse la cima lanciata da Banfi e la assicurò ad un grosso tronco secco arenato sulla piccola spiaggia. Tutto intorno silenzio, l’unico rumore quello del motore della barca ancora accesa.
«Dov’è finito», domandò Passeri, «Doveva essere qui fino ad un minuto fa, ha acceso i fari del furgone proprio adesso.»
«Dal viottolo siamo arrivati noi e lo avremmo visto se fosse fuggito da lì», rispose Todde.
«Spegni questo motore che non capisco niente», urlò Passeri al marinaio.
«L’ho appena fatto», rispose questo.
«Mi prendi in giro?» E dicendo questo diresse lo sguardo verso il retro della barca da dove effettivamente non si vedeva più uscire nessuna schiuma segno dell’acqua mossa dall’elica.
«Gira quel faro dietro veloce forza.» Dalla riva l’intera squadra vide allontanarsi pian piano con il motore al minimo un motoscafo che appena illuminato accelerò all’istante. Sopra si stagliava la figura di Sinibaldi che con una mano alzata salutava la compagnia.
«Che gran figlio di put…» disse Passeri, questa volta quasi sorridendo.
«Tranquillo Corrado, non penso finisca qui, ormai di prove a suo carico ne abbiamo sin troppe è solo questione di tempo vedrai.»
Erano ormai passate le cinque, il motoscafo di Sinibaldi volava sull’acqua diretto verso nord. I carabinieri stanchi e comunque soddisfatti, raccolsero le loro cose ed andarono a godersi un meritato riposo. Ancora un’ora di buio dava a Sinibaldi un vantaggio veramente incolmabile, avrebbe potuto dirigere il suo mezzo in talmente tanti posti che, organizzare dei posti di blocco, sarebbe stato impossibile. Sarebbe potuto andare verso sud, verso nord e addirittura direttamente in Svizzera via lago. Sinibaldi invece si diresse verso il suo nuovo amore. Alle sei e trenta ormeggiò nei pressi del parco così amato dalla sua Olga. Sedette proprio sulla panchina dove lui il giorno prima l’aveva contemplata tanto e decise di attendere il suo arrivo proprio lì, in quel luogo così speciale. In quel momento Olga sembrava essere l’unica cosa che contasse veramente per lui.
Ormai era mercoledì da circa otto ore. Con un passo che diffondeva una docile eleganza, Olga raggiunse il suo giardino di delizie e trovò Michele ad aspettarla.
«Michele, ma che ci fai qui?»
«Ti aspettavo.»
«Lo vedo, ma come mai a quest’ora?»
«Te l’avevo detto che sarei passato presto per salutarti non ricordi? Ho un appuntamento a Lugano per le dieci e volevo stare qualche minuto con te prima di lasciarti al tuo lavoro.»
«Sì, ricordo, ma non pensavo così presto. Ti sei lasciato trasportare da questi profumi?»
«Hai proprio ragione, la mattina presto qui è ancora più coinvolgente.»
«Peccato che man mano che i giorni passano inizi a fare sempre più freddo. Pensavo di terminare il mio libro qualche giorno prima e non ho portato delle maglie pesanti, una sera di queste dovrò uscire a comprare qualcosa.»
«Se vuoi, nella mia camera in albergo, ho dei capi che potrebbero servirti in attesa che compri qualcosa. Mi farebbe davvero piacere se li indossassi tu. Certo saranno un poco grandi ma almeno non prenderesti freddo. Se lo desideri, potrei lasciare detto alla reception che hai il mio permesso per entrare nella stanza.»
«Va bene con piacere, a me poi le maglie comode piacciono molto, danno un senso di protezione. Pensi di tenere occupata la stanza anche in tua assenza?»
«Sì, spero di tornare presto, in un paio di giorni massimo vorrei cercare di essere qui. Tu invece quando pensi di andare per consegnare le tue bozze?»
«Penso di terminare in un paio di giorni, comunque sabato ventuno ho un appuntamento inderogabile per consegnare il tutto.»
«Facciamo una cosa Olga, se dovessi tardare per qualche motivo, ti telefono e ci vediamo su a Lugano in occasione della tua consegna, non vorrei rischiare di tornare e di non trovarti. Naturalmente sempre se tu sei d’accordo.»
«Va bene Michele, c’è un piccolo locale molto romantico, un poco fuori dal porto, sulla strada che porta al golf club. Ci si arriva con una stradina stretta si chiama “Il piccolo faro”, in caso ci potremmo vedere lì.»
«Da come me lo descrivi mi sembra perfetto.»
«Dai, ora andiamo a prendere un caffè, così poi ti metti in viaggio ed io continuo a fissare i miei pensieri.» Così dicendo lo prese frontalmente per le mani, salì sulla punta dei piedi e le diede un dolce bacio.
Michele aveva deciso che per un periodo lungo, non sarebbe più rientrato in Italia. La stanza era già stata pagata anticipatamente per ulteriori tre giorni ma lui non aveva nessuna intenzione di metterci più piede, sicuramente qualcuno in divisa lo stava aspettando nei paraggi. Dopo un paio di giorni avrebbe chiamato Olga da un telefono pubblico il più lontano possibile da Lugano, l’avrebbe incontrata, e se le cose avessero funzionato tra di loro, si sarebbero fermati a vivere in qualche luogo della Svizzera o del centro Europa. Con il tempo poi le avrebbe raccontato qualcosa. Il minimo necessario a farle capire che per la loro tranquillità, sarebbe stato meglio che lui avesse cambiato identità. Di conoscenze, che avrebbero potuto aiutarlo in questo, Sinibaldi ne aveva molte.
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