Informiamo che il libro "Il cappotto di Proust", qui recensito già dal dicembre 2009 - a quel tempo edito dall'editore
Portaparole -, è ora ri-edito da
Mondadori, il 29 ottobre 2010, nella collana
Strade blu, con il titolo
Il cappotto di Proust. Storia di un'ossessione letteraria. Questa edizione è stata completamente rivista, arricchita di nuove pagine e nuovi episodi ,corredata di altre foto. Ecco la nuova copertina:
Il libro, inoltre, è uscito, a fine agosto 2010, negli Stati Uniti con il titolo
Proust's overcoat, ed. Harper Collins. Il 4 novembre 2010 è uscito in Inghilterra con il titolo
Proust's Overcoat, ed. Portobello. Prossima pubblicazione in Germania, gennaio 2011.
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“Avevo un pretesto: venuta al ballo per danzare, lui, poveretto, non ballava; ma, anche se lo confesso, era soltanto la sua presenza che mi faceva passare dalle braccia di un ballerino a quelle di un altro, e mi faceva dire al successivo, con accento supplichevole, di non riaccompagnarmi al posto da cui mi aveva presa, posto davanti al quale – livido e barbuto, col collo del cappotto sollevato sopra la cravatta bianca – Marcel Proust aveva trascinato la sua sedia fin dall’inizio della serata.” Ecco come la principessa Bibesco, raffinata scrittrice e leggiadra mondana, racconta il suo primo incontro col grande scrittore, e lo descrive con addosso il suo celeberrimo ed inseparabile cappotto. Molte altre sono le testimonianze delle visite che Proust faceva nei salotti mondani, sempre col suo – immagino, amato – cappotto, soprattutto quando la salute gli si era fatta ancor più precaria, ma doveva uscire per raccogliere qualche frammento da incastonare nella sua opera che, assieme all’asma, lo teneva inchiodato al letto. Il cappotto quindi come superficie mondana dello scrittore, livido e barbuto, la parte che si presentava in pubblico, quasi una corazza atta a difendere la debolezza di un corpo che però conteneva un grandioso capolavoro. Il cappotto che al termine delle visite, si sdraiava sul letto di Proust per scaldare il suo povero corpo scosso dalla tosse e impregnato di suffumigi, il cappotto, quasi dotato di vita propria, una sorta di golem che “nel mondo esterno” protegge il corpo di Proust tutelando così la grande opera contenuta nella sua mente ma che una volta tornati nella stanza foderata di sughero, al sicuro, si stende mansueto ai piedi del suo padrone. E questo cappotto, oltre a tante chiacchiere ha sempre suscitato tanta curiosità, così come è solito per i cimeli di ogni tipo. Nel prezioso volumetto firmato da Lorenza Foschini ci mettiamo sulle sue tracce, e con esso di tutti gli oggetti appartenuti al grande scrittore, raccolti pazientemente da un grande bibliofilo. La bellezza del libro non sta nell’enumerare i “pezzi da collezione” e come sono stati ritrovati, ma, attraverso di essi, la Foschini riesce, con estro squisitamente proustiano, a ricostruire le storie dei vari personaggi che gravitavano attorno ai medesimi e alla vita di Proust stesso. Nel corso delle peripezie di questi oggetti e del famoso cappotto, veniamo a sapere che la cognata di Marcel, accanto a lui riposa col marito Robert e i suoceri, in realtà non ha mai nemmeno tentato di capire l’immensità della Recherche, anzi la disdegnava come aveva in orrore il cognato, reo, secondo la donna, di aver gettato discredito sull’intera famiglia e aver avuto il brutto vizio di mettere in piazza le sue “perversioni” facendo dediche e scrivendo lettere. Appare questa una brutta e pecoreccia copia del metodo Sainte-Beuve, che soleva giudicare le opere attraverso la lente – deformante – della vita privata degli autori delle stesse; così Marthe Proust, che ritiene il cognato un debosciato, allarga il suo stupido giudizio su ogni cosa da egli fatta, toccata o posseduta. Come si può notare la miopia dell’omofobia ha radici profonde che si nutrono dell’ignoranza. Tuttavia vedremo, verso le battute finali del libretto, come anche l’integerrima Marthe aveva i suoi vizietti, e forse anche a causa di questi il celeberrimo cappotto si è salvato da una brutta fine e oggi si trova al Museo Carnavalet di Parigi. Ma sarebbe riduttivo descrivere il libro solo menzionando le vicende della vedova di Robert Proust, nella simpatica cronaca incalzante, in 84 pagine la signora Foschini riesce a ricostruire un microcosmo, fatto di avidità e di amore per i libri, la dedizione per la memoria del fratello di Robert contrapposta all’indifferenza di Marthe che forse anche così vuole vendicarsi post mortem dell’umiliazione del tradimento da parte del marito; le pagine ricostruiscono anche le vicende del collezionista Jacques Guerin e della sua famiglia a cavallo del mondo evocato da Proust e di quel mondo più moderno che muoveva i primi passi sulle due strade, Swann e Guermantes, unite dal cambiamento dei costumi, e forse ci mostra nella figura del collezionista uno degli ultimi esemplari di un mondo ormai estinto, quello del collezionista sentimentale, che non ha scopi di guadagno o speculativi ma raccoglie gli oggetti perché li ama e teme che i posteri non possano goderne.
Un libro dall’apparenza minuta ma molto interessante sia per i proustiani sia per i nostalgici di un mondo che è quasi sparito, e soprattutto per chi vuole passare un paio d’ore in compagnia di una bella lettura intelligente, che – chissà – avrebbe forse fatto sorridere lo stesso Proust.