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In rete!!

di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 19/11/2014 01:04:36

 

Testo pubblicato su L'aera di Broca - In rete

Semestrale di letteratura e conoscenza (già “Salvo Imprevisti”)

Anno XXXIX - XL, n. 98-99, luglio 2013 - giugno 2014

 

 

 

 

 

mattina

Gli occhi sono un poco appiccicati a causa del sonno appena interrotto, la tazza di caffè formato maxi è posta sulla scrivania, la voce non si è ancora sentita nell’aria di questa mattina, però le dita già viaggiano sicure sulla tastiera. Il pc è la mia finestra sul mondo, beh, mondo… su quella manciata di persone che mi conoscono. Oggi voglio chiamare tutti a raccolta: chiederò di inviare un testo inedito, e sottolineo inedito, da inserire nell’antologia che ho in animo di realizzare. Il tema mi frullava nella mente da un po’ di tempo ma solo oggi mi si è dispiegato chiaramente nei suoi risvolti, in fondo è facile – universale, direi – non sarà poi così complicato scrivere “a tema”. E su quest’ultima virgolettatura premo l’invio della e-mail, leggerò i componimenti che mi invieranno, ci vorrà almeno una settimana prima che i più veloci, analizzato e capito il tema, scrivano un testo adeguato… Ho tutto il tempo per mettere sul fuoco un’altra macchinetta di caffè. Mentre ritorno davanti al monitor, vedo che la e-mail lampeggia, urca! 4 nuovi messaggi. Allora, vediamo un po’ chi è. Mi scrive Anna Broglio da Cuneo, ottimi cioccolatini, penso, mentre la e-mail stenta ad aprirsi, “...ed ecco i testi che propongo per l’antologia” cinguetta la piemontese Anna. Ma dico io, come ha fatto a comprendere ciò che le ho chiesto, a pensare cosa poteva scrivere e a realizzarlo in una misera manciata di minuti? Chi può averle suggerito il tema? Ok, non l’ho messo in busta chiusa e depositato al ministero, ma diamine, ne ero a conoscenza solo io… i miei sospetti cadono sulla gattina che, placida, si gode un raggio di sole. Nel frattempo sto scaricando i testi. Gira la rotella… uffa… finalmente! Il primo parla della zia Gelsomina, ha il titolo “Una vita per i tajarin”, un racconto che col tema proposto non c’entra assolutamente nulla; vediamo il prossimo, una poesia, “Il mare di gennaio”, considerato che il tema proposto era inerente alle colline quando gli aceri arrossano e colorano il novembre, direi che siamo fuori tema, forse la cuneese gioca in fior di metafora… vediamo? Invece no, parla proprio delle onde del mare sulla battigia e di un amore che se n’è andato. Vista la logica che anima la cara poetessa, forse il fanciullo ha avuto un sussulto di coerenza ed è fuggito. Si sarà sbagliata nell’invio, ecco infatti un’altra e-mail dallo stesso mittente, ah ecco, mi chiede se ho ricevuto la e-mail scritta pochi secondi prima, invece nella terza e-mail, sempre targata Broglio, apprendo che l’autrice mi ha reinviato i testi perché temeva non mi fossero arrivati, e sollecita un riscontro e vuole saper se per caso ha vinto il “concorso”. Chissà quale, forse una mostra canina, visto che io di concorso non ho assolutamente parlato… Nel mentre giunge da Frosinone un’altra mail, di certa Concetta Loiacono, la quale, vista la mia richiesta di componimenti brevi ed inediti, mi invia, in formato pdf, il suo ultimo libro di 425 pagine appena pubblicato, certo, un piccolo sforzo ancora e ce la poteva fare a capire il senso del tutto. E va bè, sussurro, mentre sto per lasciare la pagina, ma un nuovo lampeggìo mi trattiene, bene, altri tre messaggi. In uno mi viene comunicato che ho uno sconto sul cialis del 35%, e diciamo che, visto l’inizio dell’antologia, mi sa che qualcosa che dia una bella scossa ci vorrebbe, ma forse così si va a esagerare un po’, l’altra e-mail mi promette novecentosessantamila euro, meno male, è quasi uno stipendio; visto che almeno due volte al mese mi arriva questa bella sommetta, fanno unmilionenovecentoventimila al mese/ventitremilioniquarantamila annui, che bastano appena appena per le spesucce correnti, tipo gli psicofarmaci per affrontare questa ultima e-mail che mi sto accingendo ad aprire. È di una mia vecchia conoscenza, Arturo Caprazzoli di Inverugo. Persona della quale ho sospettato per anni l’inesistenza, forse si tratta di qualche studentello buontempone, che vuole burlarsi di questo vecchio ed invisibile zietto che sulla rete urla e minaccia se qualcuno non si ricorda da che lato del giardino di Combray sta quel cancelletto di cui monsieur Adrien Proust serbava la chiave nel taschino del panciotto, pronto a estrarla al termine della passeggiata, quando a tutta la famiglia girava ormai la testa, preda dello smarrimento più totale, dopo ore di chilometri a piedi sotto scrosci di pioggia con continue citazioni di Saint Simon e Madame de Sevigné, mischiate a nozioni di araldica e botanica, spesso non disgiunte tra loro, e senza consultare Wikipedia. Mi pare quasi inimmaginabile, nella vita dell’umanità, un momento senza Wikipedia. Ma ora mi devo concentrare sullo scritto del fantomatico Caprazzoli, vediamo quali “perle” mi dedica oggi. Ah bè, devoto come sempre cannoneggia un bel “Impietosito assai nostro signore a quelle parole dopo aver allungo meditato decise” certamente ‘sto signore minuscolo ha “allungo” meditato, tanto “allungo” che ha bisogno di un numero doppio di spazi fra le parole. Questo testo richiede talmente tante correzioni che forse sarebbe meglio riscriverlo tutto da capo… Meglio chiudere la e-mail per oggi e incominciare con la vita reale: Facebook.

 

pomeriggio

Pare che Facebook in origine sia stato inventato per tenere collegate le persone, ora serve per lo più per mostrare animali domestici impegnati in nefandezze che non si sarebbero mai sognati di fare. Certo, non solo animali, anche i loro proprietari si sentono molto coinvolti nel diffondere un “animale” ideale nel web, infatti non perdono un solo secondo ad immortalarsi in ogni frangente della giornata. Dal mattino mentre si lavano i denti, al tavolo della colazione, all’uscita di casa con pantaloni e mutande bene in vista. L’importante è sporgere le labbra il più possibile, assumendo quell’espressione trasognata che va sotto il nome di aria da selfie, ma che un tempo, neanche tanto lontano, non si sarebbe esitato a definire bocca a culo di gallina. Ma è all’ora del pranzo che il popolo di Facebook si scatena a fotografare piatti a dir poco imbarazzanti, panini con affettati grigiastri, risotti collosi e paste allucinate, scaraventate nel piatto scotte, con condimenti prelevati da scatolame. L’importante è pubblicare la foto accompagnandola con espressioni da uomini delle caverne, tipo “slurp” o “yammy”. Accanto a ciò le balenottere, in preda alle diete da seguire pedissequamente fra uno spuntino e un Macdonalds, pubblicano foto di gallette asfittiche o insalatine cerulee, ma che possono sbandierare l’amato slogan del decennio: #maiunagioia, naturalmente preceduto dal cancelletto, lasciapassare per qualunque idiozia che, fregiandosi della dicitura di hashtag, è pronta ad assurgere nell’empireo delle citazioni più importanti, o meglio top trends, dell’anno. A fare da contorno a tutta questa paccottiglia si trovano fotografie di frasi celebri, scritte con caratteri polimorfi e con accompagnamento vegetale e fiorito, forse per distrarre – chi in teoria dovrebbe leggere – dall’assurdità delle frasi, che fanno arrossire il maresciallo Jacques de La Palice e mettere in ombra il coretto intonato dai suoi soldati a Pavia: “Ahimè, La Palice è morto, / è morto davanti / a Pavia; / ahimè, se non fosse morto / farebbe ancora invidia.” A questo punto la sera cala e per evitare i resoconti delle più svariate giornate lavorative descritte con pedissequi virtuosismi su twitter esco per un aperitivo.

 

sera

Mi accomodo al tavolo, e mentre attendo di essere servito da una cameriera che sta nascosta a inviare messaggi col telefonino dietro la cassa, osservo quattro simpatiche ragazze che marciano spavalde e sorridenti verso il loro tavolo. Noto che ognuna di esse impugna un telefonino, pardon, uno smartphone, il quale occupa il campo visivo della proprietaria in modo esclusivo. Appena le fanciulle si siedono, e subito dopo aver messo in mostra i lavori congiunti di tatuatore e chirurgo plastico, lo smartphone viene sistemato con cura e precisione di fronte a sé. Una volta in quel punto ci si poneva il piatto, ora no, ci sono Facebook e Instagram, molto più gustosi ed appetitosi. Le ragazze neanche si parlano, sono molto impegnate a digitare. Ma qualcosa improvvisamente turba il quartetto: arrivano quattro bicchieri di vino bianco. Attenzione, tutte in posa, boccuccia di ordinanza, bicchiere tra le mani, tutte vicine e via, una per volta scattano quattro foto pressoché identiche, che verranno inviate in poco meno di un secondo a tutti i contatti sparpagliati nei quattro angoli del Web. Considerando che le ragazze sono intime fra loro il parco amici sarà per molte parti sovrapponibile, ma è sempre meglio farsi ricordare, e se poi un’altra amica ha postato un bicchiere più bello, o più pieno, o magari con una traccia di rossetto appena stampata, ad ammiccare un bacio clandestino e segretissimo, visto solo da 2965 amici?. Stessa fotografica diffusione tocca ai piatti del cibo, scelto solo per i colori o perché il nome è facile da digitare: una chateaubriand giammai, come si scrive?, e se poi un mio follower non capisce cos’è e stizzito mi defollowa? Meglio andare sul sicuro: pizza, pasta, fragola… ecco, così all’ora di cena, come già accaduto nella pausa pranzo, il Web manda a nanna i cuccioli di gatti salterini o i cani cantanti, per pubblicare valanghe di piatti sbocconcellati in location supermodaiole ma inesorabilmente identici per non passare inosservati dall’ignoranza o dal disinteresse di chi surfa nel Web a velocità supersonica guardando “milioni” di foto al secondo, invidiando invariabilmente qualunque cosa veda, per il semplice fatto che appare su di un monitor, quindi sta in rete, ergo “esiste”.

 


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