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I sogni di Margot

di Paulie Flamant
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Pubblicato il 16/02/2014 18:35:26

 

I

 

"Il mio cuore non ha ancora un biglietto da visita".

Questo pensò, ma non si diede da fare,

Non era certamente il momento migliore.

Non riusciva nemmeno ad asciugargli gli occhi.

Lui urlava, lei sapeva solo baciare in silenzio le sue palpebre.

Era un ambiente troppo sterile per tutto ciò che stava accadendo.

"Come è possibile? Non è possibile! Senti? Piango per te! Questo lo senti?"

Un boato, le sue parole come uno schiocco di frusta.

Ci sarebbe voluto più sangue, più vetri, più bugie.

Era tutto così vigliaccamente trasparente e chiaro da sembrare lurido.

Il freddo era finalmente diventato un argomento secondario.

Lei chiuse la finestra, poi la porta.

 

II

 

Il vento continuò a soffiare e le cose non cambiarono più.

I baci resero cieco lui e le urla muta lei.

Rimase ad entrambi la polvere di quel sentimento stanco

da stringere in pungo come la sabbia sul lungomare

aspettando che scivoli via fino all'ultimo granello.

Il vento ruba ciò che si lascia sfuggire e lui perse il controllo.

Perse il controllo su di lei, su di sé e su tutta la situazione.

Venne calato il sipario nella convinzione che

se un amore finisce, vuol dire che non era quello.

Non era quello come non lo erano stati i precedenti

e come non lo saranno tutti quelli che finiranno.

 

III

 

Perché lo sai Margot che finiranno vero?

Ascolta la tua mamma, così tenera e buona,

ascoltala perché ha vissuto.

Ascolta il tuo papà, così forte e maschio,

ascolta le tue amiche puttane.

Ascoltali tutti perché hanno tutti vissuto,

ascolta i tuoi vecchi, che non ricordano più niente

e hanno solo sbuffi di tenerezza.

Tu mia piccola Margot,

cosa ne vuoi mai sapere?

Fatti una corazza, ti prego,

costruisciti un'armatura di piombo

da tutte le storie che finiranno.

Sarai sempre una perdente piccola... come tutti noi.

Anche quando penserai di esserne uscita vincitrice.

Preparati! Oh mia dolce Margot!

 

IV

 

Margot aveva dodici anni e si immaginò d'un tratto questa

sterminata e immortale schiera di perdenti.

Se avevano perso tutti, per cosa mai combattevano?

Ma soprattutto contro chi? E perché nessuno era mai riuscito a vincere?

Se li immaginò tutti in fila, vestiti di nero, infinitamente tristi,

con maschere per coprire la vergogna.

La vergogna dell'infedele, del rabbioso, dell'incestuoso

accanto a quella dello sterile e dell'ingenuo fresco amante.

Erano tutti uguali, in niente differenti. Tutti perdenti.

Non parlavano, col capo chino, avevano il sole davanti.

 

V

 

Era un sole meraviglioso, esagerato, grandissimo,

grande quanto la vista permetteva di guardare lontano.

Passava dalle sfumature più cangianti del rosso vivo al giallo tenerissimo,

e oro oro oro, fino all'arancio succoso.

Questi colori caldi, avvolgenti, in tutte le loro varianti cromatiche

erano incredibilmente vicini.

Quello sconfinato sole era così vicino da diventare una parete di fuoco

e i perdenti non riuscivano ad alzare lo sguardo senza bruciarsi.

Così morivano tutti.

Prendevano fuoco i disperati che senza timore ci si schiantavano contro

e morivano a capo chino di vecchiaia, di fame, di noia tutti gli altri.

 

 


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