Il caro vecchio vizio
È un caro vecchio vizio prendere posto alla scrivania e riannodare i fili con i pensieri scritti ieri, o solo abbozzati la sera prima, rimasti impigliati a frammenti di foglio riciclato. Certo, quei pensieri si sono un po’ un po’ raffreddati. Vanno sepolti o rianimati?
Volto le spalle al mondo formato telefono e tv, chiudo le imposte agli strepiti e alle voci, non sfoglio le cronache del giorno, non mi aggiorno sulle liste dei gruppi elettorali, né sulle promozioni sbandierate nei bollettini colorati dei supermecati, non faccio i conti e non seguo la tabella del risparmio, non penso al conguaglio spese del bancomat, né al premio che un mio eventuale verso otterrebbe se mi attenessi alle norme dell’ultimo bando di concorso o se cedendo al gusto in corso, mi precipitassi ad impinguare di droghe emozionali l’ultimo strambotto . Zittisco con la radio anche la meteorologia delle miserie, respingo guasti, accompagno in discarica montagne di macerie , suggello il cuore alla pietà che crolla in borsa, inibisco alle gambe la corsa per le slot.
Pulita e abrasa occupo l’asettica stanza in attesa dei significanti imminenti, mi concentro sul foglio virtuale del pc.
Che farò? Ecco la mia tastiera che espone come in una fiera tutta la schiera inespressiva dei significanti, muti postulati per voci, beanti articolazioni, senza significati e ancor meno significazioni.
Senza? Ma via! Forse a non significa a? O non signica forse o? Uhm, sì e no. Non devi accentuare l’autoreferenzialità degli alfabeti! Allora, significato basculante? Uhm, ça dépend… Voilà le clavier de l’ordinatur: tout le monde c’est comme ça! Da un certo punto di vista.
E infatti la tastiera, come una finta gatta morta - ma senza gatta e senza la morte, né vera né finta, del-la gatta/gatto che non c’è- allude… Allude? Allude verso me, perché sono un relais dell’intuizione - allude alla mia libertà: iaoanuvsesgoirrevuncalbixezèmità!
Così, però, non c’è mica gusto! Un poco mi piacerebbe, se giusto riuscissi a cavare un senso, piazzare dei sintagmi e bellamente assemblarli a indicare qualcosa di assente: una linea di terra senza terra e senza linea d’una qualche direzione, un ché incolore per le tinte uscenti da un immaginario, in vista di un erbario umano che non sversi sul campo le solite figure intinte di vissute eccitazioni , né sciorini in calce la sua dilagante presenza o minga il succo d’una sua diluviale essenza con la pretesa di deporre di persona l’impossibile norma della solita lezione.
Adesso ciò che ho scritto, non lo riscrivo, ma altrimenti lo descrivo: se vuoi seguire l’impulso, divenuto fame, sogno incoercibile di scrivere, devi affrancarti - s’intende temporaneamente - dal mondo delle minuzie e miserie quotidiane (che non puoi espellere dalla tua fisica esistenza) devi impedire alla folla delle notizie di invadere la tua mente e di signoreggiare sulla tua attenzione, devi mettere il lucchetto alle facili emozioni, devi resistere alle commozioni, devi strappare alla lingua il tuo intestino, devi lasciare i corpi sopra lo stuoino e devi senza dovere, e avere potere per ogni dovere, di imporre, di deporre, di posporre, di frapporre , di apporre, di esporre o semplicemente porre senza alunché da maneggiare se non ordire significanti alfabetici, significanti grafici, con cui “assogare”, catturare, liberare, detonare significati duri e puri, perituri e imperituri, immaturi e prematuri, possibili e futuri, così balzare sopra le tensioni, andare a cavallo delle intenzioni, viaggiare sui lanci accidentali e su quelli abituali delle significazioni, cioè sul quasi nulla dei toccamenti senza osmosi o chimismi virulenti .
Devi ricordarti che qualunque cosa tu scriva, abiterà un mondo di pensieri già scritti, perché l’essere umano nasce con e per il linguaggio. E quello storicizzato e culturalizzato nasce per la scrittura. E tuttavia ognuno di noi ha almeno un potere minimo, quello di situare la propria esistenza comunicativa in un interstizio specifico che fa la differenza. Ma questa non è una conquista facile, perché frequentemente si cade nel vischio di rimanere abbagliati e imprigionati entro motti già esistenti e facilmente riproponibili con infinite varianti. Ma questi non sono solo motti, sono mondi di relazioni già elaborate di cui finiamo per rivestirci come di una maschera vuota perdendo la nostra specifica dimensione. La spontanità espressiva ha in realtà ben poco di spontaneo, accoglie e ripropone quanto trova, provocando deliri di potere pseudocreativo. Il tasso di godimento soggettivo è in questi casi così forte da inibire un movimento, linguisticamente parlando, di vera creazione, che si vorrebbe tale da restituire in modo inedito il nostro vero rapporto col mondo che siamo capaci di portarci dentro.
Una cosa non ho detto che è primaria e propedeutica al cimento letterario: lo studio e la lettura, non solo di prodotti letterari, ma di ogni sapere capace di incrementare la nostra intelligenza e sensibilità.
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