Le due porte erano lontane, la più vicina una quarantina di metri, l’altra anche di più, dipendeva da dove si giocava.
Non era sugli spalti, certo, ma non si poteva dire che fosse trai pali in campo, per quei quattro anni di riposo seduto sulla panchina, il buon Giancarlo.
Poteva sperare solo in qualche evento imprevisto, perché il portiere titolare non mancava mai una partita. Gli concedevano qualche minuto nelle amichevoli estive e qualche partita di fine annata per la coppa, ma quando era in campo, c’erano solo le riserve, che giocavano comunque più di lui.
Sono i casi della vita. Non era in sofferenza, ma certo giocare in campionato con quelli veri non gli sarebbe dispiaciuto. Vendeva anche giubbotti e stava preparandosi un’attività normale, per il dopo calcio, anche se era ancora giovane. Chi non è campione ha il tempo e il dovere di pensarci.
Sapeva già, quel pomeriggio, che quello sarebbe stato il suo ultimo anno in squadra e non si aspettava che all’ultima partita succedesse l’imprevedibile.
Quella domenica di maggio, nel caldo pomeriggio, la partita in programma si dipanava lenta, come sanno esserlo le partite di fine stagione: il campionato perso e il risultato acquisito di 2-0 nei confronti degli avversari, impegnati a non retrocedere cercando la matematica certezza senza dipendere dai risultati sugli altri campi.
Al ventesimo minuto della ripresa, l’allenatore gli dice di spogliarsi, sarebbe entrato prendendo il posto del titolare.
Un sussulto dello stadio: il Gianca, gioca!
Una breve corsetta del portierone verso la linea del centrocampo, per lasciare posto e guanti al Gianca che corricchia verso gli agognati pali.
Un saluto ai tifosi con la mano, e un sorriso a trentasei denti, "bello come la mattina il sole", col ciuffo biondo che sussulta nei saltelli della corsa e il cuore che “gli batte forte addosso come una donna che si va a sposare".
Poco dopo il suo ingresso, ecco arrivare il terzo gol: il risultato sembra al sicuro e il pomeriggio tranquillo.
Qualcosa comincia, però, a non andare, l’aria di disarmo coinvolge un po’ tutti. La difesa dei grandi campioni si deconcentra e tac, arriva il gol del riccioluto Gil, mannaggia!
Là dietro non si riprende la concentrazione, e poi il divino flipper è così. Allora ecco anche il secondo gol di Gil.
Ora anche lui ha perso la sicurezza, le gambe sono molli dalla paura, le mani, dentro i guanti del portierone, cominciano a tremare.
Alla fine eccolo, il temuto terzo gol degli ospiti, segnato da Beppinello, un giocatore minuscolo che lo supera con un pallonettaccio che gli permette di andare anche a riprendere la palla, e accompagnarla oltre la linea fatale.
Termina così la partita e il suo supplizio; la solita invasione festosa dei tifosi di casa, la contentezza degli ospiti per la salvezza acquisita e lui, il solo sconfitto dei venticinque entrati in campo quel pomeriggio di maggio.
Continuò la sua carriera nelle serie minori, e facendo da secondo nella massima serie.
Il dodici era un numero che gli donava.
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