Saliva le scalette con fare trionfante, il suo momento era prossimo a venire e sarebbe stato di gloria!
I lunghi pomeriggi ai bagni Fiume dovevano essere pur passati, in attesa che arrivasse il momento di fare il bagno.
“Dopo tre ore!” Era l’imperativo rigido,
“Sennò ti prendi una congestione e affoghi.”
Ecco, il piacere di restare a pranzo al mare comportava il sacrificio di quel tempo senza fare il bagno. Come occuparlo?
E’ vero che c’erano le gabbionate del torneo dello stabilimento balneare che si potevano vedere; era il calcio giocato dentro un vero gabbione, sull’asfalto, dove la palla non usciva mai e il gioco non si fermava se non per qualche fallo.
Uno sport eroico, che durava mezz’ora, sotto il sole delle prime ore dei pomeriggi di luglio, con l’accanimento forsennato dei protagonisti riarsi dal sole e sudati fradici.
Dopo un paio di partite però, pur all’ombra delle cabine che circondavano il gabbione, scattava l’ora dell’altro spettacolo.
I tuffi.
Due erano i gruppi di trampolini dei bagni Fiume, quello a nord, nel quale il tuffo era un piacere solo per se stessi, l’altro a sud era dedicato tacitamente all’esibizione pomeridiana.
Erano i tempi di Cagnotto e Di Biasi e il pubblico sui gradoni irregolari pensava a loro quando qualcuno lo deliziava di un accenno di carpiato o un avvitamento.
Gente brava, che faceva più di un tuffo alternando il trampolino alto a quello basso, ma noi lo aspettavamo e finalmente…
Arrivava, Ringo!
Non aveva in repertorio avvitamenti o piroette, ma il tuffo creativo.
Si presentava con oggetti e travestimenti vari e posticci: un mantello, una bambola, una spada e… interpretava, in quei pochi secondi che gli concedeva l’attrazione terrestre.
Non era un tipo con tutte le rotelle a posto, ma in quel momento si ergeva a protagonista.
Tutti lo incitavano in attesa di vederlo sfracellare in mare dall’altezza del trampolino alto, perché lui si faceva anche male, per quell’effimero momento di gloria.
A volte, quando non era vestito, riemergeva rosso come un peperone in qualche parte del corpo che aveva incontrato l’acqua poco dolcemente.
Stavolta stava osando di più per stupirci. Si trascinava sulla scaletta una bici piccola da bambino, poi un asciugamano.
Da lassù vide ancora la distesa brillante del mare che rifletteva il sole alto dell’infuocato pomeriggio, e, come sempre, si preparò legandosi l’asciugamano al collo e salendo sulla piccola bici.
Quella volta il tuffo celo faceva penare più del solito ma sembrava che ne valesse la pena.
Inforcò la bici e via, con la pedalata veloce e dritta sul breve rettilineo del trampolino, poi lo stacco e il vuoto. Quasi un effetto speciale; lui contro il sole, e la gravità che lo rivendicava a se.
Maledetto Newton e la sua mela!
Si fece male quella volta, Ringo, che cadde, con la piccola bici che gli venne addosso, e dovettero darli una mano a risalire.
Recuperò solo l’asciugamano, perché la Graziellina affondò.
Si fece male certo, ma si riprese dal colpo senza conseguenze drammatiche, e pronto per deliziarci l’indomani di un nuovo tuffo.
“Mi dispiace per la bici…” disse.
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