Abitava, un tempo... No, abita ancora.
Io, abitavo un tempo un luogo. Di fronte, una giovane coppia di sposi.
Nel mezzo, un albero di magnolia. Altissimo, folto, maestoso.
In primavera grandi fiori bianchi, dolciastri e penetranti. A sera, le nere danze dei merli in amore. L'aria delicata. Le finestre aperte al cielo.
Poi un urlo.
Lungo, rauco. Agghiacciante.
Prorompe da quelle finestre, riempie il balcone, tracima, precipita a terra, si solleva sbalzato in aria, su per il tronco, assale i rami, irrigidisce le foglie, inorridisce i fiori, insegue i merli che tentano in volo la fuga e inarrestabile, raggiunge la casa, e il balcone e le finestre e le stanze e le mie orecchie e ME.
Lo conosco, dio mio, l'ho già sentito. L'ho sentito insorgere tanti anni fa dal profondo delle mie viscere, uscire dal petto, erompere dalla gola, farsi strada fra i denti e le labbra, e slanciarsi, liberarsi, fuggire, restando tuttavia incatenato al ventre che lo ha partorito. Mostruoso neonato latrante, imbrigliato al cordone ombelicale, incastrato tra la morte e la vita.
Abitava, un tempo, una giovane coppia di sposi. Ora, abita una vedova. Io sono altrove.
La magnolia, sta.
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