Pubblicato il 30/10/2009 17:08:00
Il bellissimo romanzo di Spender narra di un doppio viaggio fatto da Paul, un giovane inglese dietro cui si nasconde Spender medesimo, ad Amburgo. La prima volta, in estate, Paul va in Germania ospite di Ernst, giovane conosciuto al college ed innamorato di lui. A casa di Ernst, Paul, si sente ben presto soffocare, non vede l’ora di andarsene, anche perché la madre dell’amico teme possa essere di cattivo esempio per il figlio. Paul deciderà dopo un catastrofico viaggio sul Baltico, di restare ad Amburgo per conto suo, libero di frequentare chi preferisce e lascerà la Germania dopo un idilliaco viaggio sul Reno. La seconda visita di Paul ad Amburgo avviene qualche anno dopo, d’inverno, la città e gli amici appaiono notevolmente cambiati, la repubblica di Weimar è alla fine e si delinea, funereo, all’orizzonte, il nazismo. nulla è più come prima, molte persone abbracciano l’orrenda ideologia nazista, la cattiveria e la violenza sembrano sopraffare chiunque. A dare conforto a Paul giunge da Berlino l’amico William Bradshaw, accompagnato dal fidanzatino Otto, dietro la maschera di William è facile scorgere Christopher Isherwood, il quale scrisse proprio in quei luoghi e negli stessi momenti alcuni dei suoi romanzi più belli, in cui si respira la medesima aria di catastrofe incombente, vi sono gli stessi colori di un’estate più che finita, lontana, quasi dimenticata e che mancherà nei cieli ancora a lungo. Ciò che c’è di veramente interessante in questo romanzo quasi autobiografico di Spender è questa contrapposizione tra l’estate in cui i giovani vivevano con gioia con il loro corpo – il tempio del titolo è proprio il corpo – respirando libertà a pieni polmoni, e ciò dava loro la capacità di creare, di concepire il futuro, radioso e libero, in cui ci si poteva amare, si poteva trarre gioia dal corpo, vissuto come un tempio, qualcosa di unico, quasi divino in cui trarre rifugio e sentirsi in piena armonia con gli altri. In una parola essere felici. Per contro, nella seconda parte, l’avvicinarsi del nazismo rende ogni cosa incerta, soprattutto infelice, l’autore pone questa parte in inverno, proprio per sottolinearne i colori cupi, i cieli foschi, l’impossibilità di sdraiarsi al sole o nuotare liberi nel fiume. Verso il finale lo sfregio sul viso di Joachim ad opera di una camicia bruna nazista simboleggia in modo tangibile la profanazione del tempio, lo scempio arrecato al corpo dall’ideologia nazista e dal totalitarismo in genere. Ai ragazzi che fuggivano l’Inghilterra tardo vittoriana, densa di censure e divieti, la Germania di Weimar pareva il nuovo mondo, una sorta di ritrovato eden dove amarsi era quello che è giusto che sia: naturale. L’avvento del nazismo spazza via le belle giornate di sole, i tuffi, la gioia; il tempio però è sempre un rifugio per le anime che lo hanno visitato e non resta loro che progettare altre mete, altri viaggi. La follia nazista spazzerà via oltre a milioni di vite innocenti anche quello che sembrava un modello da seguire per le altre nazioni, la dittatura e la mancanza di libertà rappresentano sempre un’offesa, una profanazione a quel tempio che ciascuno di noi rappresenta, svuota i corpi della gioia di vivere per riempirli di odio, violenza ed assurde ideologie. La malvagità di chi fomenta violenza per il proprio tornaconto personale, ed anche oggi sotto i nostri occhi c’è chi persegue questa strada, sta proprio nel cancellare la gioia, sostituendola con rancorose, quanto inutili ed assurde divisioni, da cui nessuno trae profitto, tutti hanno da perdere, tranne il fomentatore di turno. Oltre la connotazione sociale e di documento storico relativo al tramonto di un’epoca serena per l’Europa, il romanzo è un bellissimo libro da leggere, scritto con mano assolutamente splendida con toni poetici molto struggenti, tali da essere quasi epici. La narrazione è intessuta di frasi eleganti, ma sempre velate da una certa ironia, le descrizioni delle persone e delle sensazioni sono encomiabili, molto “british” ma assolutamente geniali; cito la descrizione della signora Stockmann, madre di Ernst: “Aveva un po’ troppo fard sulle guance, che contrastavano eccessivamente con la gonna grigio pastello, scanalata come una colonna greca”. Nell’edizione di Es questa descrizione occupa tre righe, ma riesce in modo assai efficace a descrivere la donna nell’aspetto, le idee e la inamovibilità ideologica, ponendola quasi come perno della casa, cosa che si rivelerà poi nella narrazione. Per contro al marito Herr Stockmann, Spender riserva questa descrizione: “Aveva baffi all’ingiù, orecchie sporgenti e occhi intorpiditi e pigri. Emergeva dalla concentrazione sul coltello e sulla forchetta, quando si portava un boccone in bocca….”, ovvero era il capo della famiglia, ben lungi da essere un esempio di fulgore intellettuale, ma semmai “la pancia”, quanto di basso e viscerale vi è in una famiglia. Il romanzo è fitto di metafore belle e di pennellate dai colori iridescenti e graziosissime. Un libro davvero molto bello, struggente nella narrazione ed una testimonianza reale di come ci si sente quando sul proprio mondo calano le tenebre.
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