Pubblicato il 27/10/2009 17:05:00
Una raccolta poetica dipanata in una quarantina di pagine suddivise in tre sezioni: “Incanti”, “Il senso della vita e della morte”, “Passato, presente e futuro”. La poesia della D’Alfonso nasce da esperienze sensoriali immediate che attivano ricordi fissati con la parola – che nella sua poesia è mezzo e non fine – parola-pennello che dipinge i luoghi dov’ella conduce il lettore, eletto a testimone di fatti e sensazioni vissute, a volte come a voler essere rassicurata circa il bene delle azioni e delle modalità del suo vissuto passato, presente e anche futuro. Vi è un filo rosso che attraversa il suo impianto poetico, l’esposizione, evidente o sottesa, di un sistema morale tipicamente cristiano, con la contrapposizione tra bene e male; non dispiacciono le sue meditazioni: “[…] Il senso di ogni bene / che vive dentro di noi, che ci guida, / frena tutto il male, lo allontana […]” (pag. 19). Ma nel testo si percepisce anche una sorta di smarrimento: “[…] Smarrita dal caos continuo / che offre la vita […]” (pag. 13); il dubbio che s’insinua nella scelta tra l’azione-bene e l’azione-male. Ma l’autrice ha un segreto, che svela, il cuore può elaborare il male, ma se il cuore si abbandona al “[…] ritmo musicale del creato […]” (pag. 26) allora c’è speranza che il sorriso prevalga, che il male presente venga accantonato, “[…] In un abbraccio stretto noi preghiamo / il Dio che ci guida e ci fa grandi.” (pag. 26). E ancora, questa vaga impotenza verso il passato è recuperata nella vita presente che diventa il tempo da vivere in pienezza con rinnovato amore, si veda la poesia a pagina 41, intitolata “Il tempo passa…”, in cui l’ansia di voler sopprimere i segni del tempo sulla propria pelle, viene annegata nella “danza dell’amore” con la persona amata e da cui si è ricambiati per quello che si è.
La poesia che dà il titolo al libro, a pagina 15, è significativa perché dà il senso della raccolta della D’Alfonso e di che cosa sia per lei la poesia. La poesia è una percezione interiore, luogo magico, primitivo e bambino, nel quale vive il puer eterno per il quale tutto l’universo appare come qualcosa di personale “[…]Tutto l’universo lo sentivo mio […]” (pag. 15). Ma è un luogo da raggiungere, “[…] Uno scoglio piatto, ventilato […]” in mezzo al mare, un luogo dove il pensiero si dispone su più livelli, “[…]tutti i miei sensi radunati / m’hanno portata su dimensioni diverse / nel pensare […]”, in cui la mente abbandona il corpo “[…] mi son sentita priva di materia […]”, e l’anima del poeta si ritrova confusa dalle sue stesse esperienze, “[…] un minestrone ho fatto, / ritrovarne il capo è cosa vana…”. Sorge una domanda importante, “[…] il mondo è una illusione? […]”, domanda a cui è improbabile dare risposta, ma che ha il significato di una sorta di lavaggio della coscienza: si riparte dalla consapevolezza della propria finitezza, della infinita piccolezza dell’uomo nell’universo, “[…] Pulviscoli vaganti noi siamo […]”, ma anche dalla gioia di poter tornare alle certezze, fuori dal luogo del dubbio che è l’isolamento nel mondo poetico, e abbandonarsi, nella fede, a una preghiera che doni pace sulla riva dei giorni normali.
L’autrice ha una vena di riflessione di grande interesse, si colgono fervori capaci di animare il lettore e alleggerirlo del fardello della quotidianità, questo vuol dire che la D’Alfonso ha la cosiddetta vena poetica; è capace di trasferire nella poesia il reale (per dirla alla Sophia de Mello) e lo fa, in questa raccolta, toccando anche punte di buona poesia come “Un ritorno al passato”, a pagina 39, e altre. Ma, talvolta, la forma poetica scelta è un po’ ingenua, si trovano spesso scambi tra sostantivo e aggettivo, laddove si avverte invece la necessità di una lettura, e quindi di una scrittura, piana e fluida. Le poesie della D’Alfonso, sono piene di contenuti e aprono spunti meditativi piacevoli, ella apre il suo mondo interiore al lettore, ed è capace di evocare, attraverso un’azzeccata descrizione, piacevoli paesaggi e situazioni intime importanti, ma l’eccessivo, voluto, uso di una forma poetica lirica, non perfettamente tenuta in ogni parte del testo, un uso forzato, talvolta, di arcaismi, rende il sistema qua e là cedevole nella forma. A mio avviso i testi sarebbero da limare ancora più a fondo. In conclusione, il lavoro, come detto, è buono ma penso che la poesia debba stare al passo con i tempi moderni e aggiornarsi nella forma del linguaggio, rinnovo il consiglio di leggere i poeti contemporanei, dai quali prendere spunto per la forma poetica. Su larecherche.it ne abbiamo recensiti e intervistati diversi. Ma ecco, qui di seguito, per contro, un testo lirico, a mio avviso, ben riuscito:
Il ritorno del freddo (pag. 12)
Nel gelido verno le membra si tendon alla fiamma ridente che vivida, allegra scoppietta fluente scintilla e si spegne! Il fuoco ristora riscalda ogni cuore ma, fatuo e leggero se ei s’abbandona alla cenere torna e calore non dona!
Allora buon lavoro, attendiamo nuove scritture.
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