ELOGIO DEL SILENZIO
Siamo così immersi nel frastuono che abbiamo perso la nozione e il gusto del silenzio.
Così tanto che la propensione al silenzio appare, soprattutto ai più giovani, una specie di nostalgia del passato, un anacronismo improponibile.
Ma che cos’è veramente il silenzio?
Non è solo “cessazione di ogni suono o rumore”, è esso stesso un “linguaggio”, un altro modo di comunicare tra gli uomini:certe volte, come sappiamo, si dicono molte più cose con il silenzio che con le parole.
Ed è vero che ciascuna epoca ha i suoi rumori(odori, sapori, ecc …) caratteristici ed ineliminabili.Ma anche i suoi silenzi che potremmo definire dominanti.
Insomma, il valore del silenzio o, al contrario,del rumore,potrebbe benissimo raffigurare il profilo di una civiltà .
In questa nostra epoca sembra che il silenzio non riusciamo a sopportarlo, lo rifuggiamo come se ne avessimo paura, come una caduta nel vuoto.
E potrebbe apparire ozioso parlare di silenzio in un periodo in cui ci dibattiamo tra barbarie e imbarbarimento, a cominciare dalla guerra che mai non cessa, a finire alla violenza fisica e morale, visibile e invisibile, che si annida tra le pieghe del nostro vivere quotidiano.
E anch’io rimango in dubbio, ma mi faccio forte della convinzione che dobbiamo ripensare al nostro stile di vita, dobbiamo rifare i conti con noi stessi, se davvero vogliamo tentare di uscire dal marasma:pensare, ad es., che il silenzio è un valore da cercare, scegliere, coltivare, e se è il caso, da pretendere.
In questa consapevolezza far crescere i nostri giovani:è il nostro comportamento, in definitiva, che rende l’ambiente più solidale, più umano.
Il silenzio non è inerzia, assenza, vuoto, può esserlo qualche volta, ma più spesso è vero il contrario.
Il silenzio, se non è quello dell’inganno, è ristoro, accrescimento, cognizione più intima, possibilità di dialogo, socialità:proprio quello che non viviamo, che in genere non cerchiamo.
Il modo di ascoltare la musica, ad es., nei grandi concerti di musica leggera o nelle discoteche, o anche in spazi ristretti, è un segno dei tempi, una falsa socializzazione:si è in migliaia, ma ciascuno si rinchiude in un involucro assordante, solo con se stesso, a stabilire, tutt’alpiù, rapporti effimeri, intermittenti, privi di effettiva comunicazione.
D’altro canto, la misura della baraonda ce la dà la TV, che già da tempo ha preso a insegnare lo schiamazzo, la gazzarra, la rissa.
Nei Telegiornali poi, non in tutti, ma quasi in tutti, prevale il “gridato”, le notizie scagliate in tono aggressivo, come se volessero afferrare per la collottola e strattonare il malcapitato, schiaffi sonori che non lasciano il tempo di riflettere.
Il clamore, il vociare fuori misura è anch’essa una sottile invisibile violenza, perché oltre a frastornare la mente, sollecita reazioni nervose ed emotive.
Se devo immaginare un tenore di vita meno irruente, non posso escludere un’attenuazione del rumore, la ricerca di un silenzio che sia voce ed espressione di sobrietà.
Cioè, di propensione alla riflessione, di rispetto degli altri e dell’ambiente, di ponderata valutazione di ciò che il passato ci ha lasciato in eredità.
Stiamo dicendo di una civiltà eticamente più consapevole, dove preminente è la possibilità di ascoltare, senza la quale la conoscenza non può che essere superficiale, distorta, distratta.
Come faccio a riconoscere i miei sentimenti, a entrare in sintonia coi miei interlocutori, con ciò che mi trasmette la natura o il luogo in cui vivo, se non trovo il tempo e lo spazio per soffermarmi su ciò che mi circonda?
La nevrastenia collettiva ormai è un modo di essere, di comportarsi, come se fossimo incessantemente sospinti a muoverci come che sia, a smaniare senza ragione, tralasciando quelle pause di silenzio che in genere ci riconciliano con la realtà.
Si capisce che il silenzio che qui stiamo descrivendo, è l’elogio di un ritmo diverso da dare alla nostra vita, l’aspirazione a una condizione più vicina alle esigenze vitali dell’uomo.
Non a caso, Gandhi, il fondatore della nonviolenza, metteva in relazione l’impulso alla violenza con la frenesìa, questo rumoreggiare interiore senza pace, che non consente di godere appieno, ad es., della bellezza che ci riserva il silenzio dedicato alla contemplazione.
E’ così grande il valore del silenzio in armonia con la sussistenza della vita, che esso è a fondamento delle diverse religioni.
Che cosa è la preghiera se non una pausa di raccoglimento di sé, un tempo/ spazio dedicato alla ricreazione spirituale, al desiderio di elevare la bruta realtà ad istanza metafisica, a percezione del divino?
In questo senso il genio di Dante ha sempre qualcosa da suggerirci:
il “tumulto infernale”, legato alla dissolutezza, alla frode, alla “matta bestialità”; il cammino del Purgatorio, legato al silenzio, alla sobrietà, alla solidarietà;l’ascesa al Paradiso, luce, bellezza, bene comune.
Ecco, vorrei augurare a me stesso, a chi legge queste righe, un “buon silenzio”, quello della notte dei Re Magi che s’incamminano per mettersi in preghiera, quello della riflessione che ci impegna alla solidarietà con chi ha bisogno del nostro aiuto civile e morale.
A non dimenticarci, per l’appunto, delle parole di Gesù Maestro che esalta il silenzio della benevolenza, dal quale infine ho preso ispirazione:
<il tuo parlare sia sì sì no no, il di più è del diavolo>.
NICOLA LO BIANCO
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Nicola Lo Bianco, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.