Pubblicato il 20/10/2009 23:26:00
Un giorno per un misterioso fenomeno di prosciugamento di un lago, affiora uno scheletro con un grande buco sul cranio ed una ricetrasmittente legata addosso come zavorra. E’ subito evidente che non si tratta di una morte accidentale ma di un delitto da cercare tra le pieghe del passato, nei giorni della guerra fredda, e perché legato al passato, il delitto, ha radici profonde che si intrecciano anche a quelle che le vite dei protagonisti hanno lasciato propagare nella gelida terra d’Islanda durante i lustri dal dopoguerra ad oggi. Da queste premesse, l’autore costruisce un giallo dal meccanismo perfetto, nei capitoli iniziali presenta tutti gli elementi, poi inizia lentamente ad amalgamarli, lasciandone lievitare alcuni, altri restano coperti a riposare, altri continuano a sobbollire sullo sfondo, sino a giungere al finale, maestosamente preparato, in cui tutti gli elementi sono disposti con cura e trovano la loro eccellente collocazione, tra cui anche la classica ciliegina sulla torta. Ed è proprio ad un pranzo, che il libro mi ha fatto pensare, immaginiamoci una tavola perfettamente imbandita, magari in una bella sala con un crepitante caminetto, in cui ci venga servito un sostanzioso ed eccellente pasto, accompagnato da un ottimo vino, alla perfetta temperatura; tutte le portate sono servite con precisione cronometrica e sono realizzate in maniera perfetta, ogni elemento cotto e collocato in maniera inappuntabile, ma ogni cosa, dal mènage, al vino, alle pietanze, fa parte della cosiddetta cucina classica, non vi sono trovate da brivido, intuizioni geniali, accompagnamenti che hanno l’apparenza di stridere un po’. Nulla di tutto ciò, un ottimo, classicheggiante e rassicurante pranzo, o libro; tale è questo corpo nel lago, preciso al millimetro, a perfetto incastro, imprevedibile nel modo che lo può essere un giallo di raffinata perfezione, e assolutamente piacevole e lineare da leggere, malgrado la struttura è poggiata su due tempi differenti e convergenti. Indriđason, indaga con raffinata – e gelida – eleganza anche nelle psicologie dei personaggi, li dota di strutture a tutto tondo, perfettamente costruite, anche quando si tratta di maniaci o di tossici. E il protagonista del libro, l’agente Erlendur che con la sua meticolosità di poliziotto, nasconde un’umanità ferita da più parti, che forse con la risoluzione del caso, riesce un pochino a lenire. Come dicevo un libro assai gradevole, una lettura tranquilla che non sorprende con trovate stravaganti ma contemporaneamente non delude, nasconde qualche insidia per chi non è molto avvezzo ai nomi islandesi, soprattutto nel corso delle prime pagine del libro si fa un po’ di fatica a capire chi è esattamente chi, e se è un uomo oppure una donna, a tratti è difficile collocare immediatamente un personaggio nel corso della narrazione in quanto i nomi totalmente nuovi (almeno per il sottoscritto), non sorretti dall’abitudine, faticano a trovare la loro giusta collocazione, poi però, nello scorrere delle pagine, ognuno trova la sua dimensione, e ad alcuni il lettore si affeziona di sicuro. Una parte molto bella rimane quella della collocazione storica di alcune parti del libro e di come illustra una sorta di ubriacatura collettiva, per una ideologia che sembrava la soluzione ai problemi dell’umanità, ma che alla prova dei fatti dell’umanità non si interessava nel modo che si voleva far credere. Alla prova dei fatti quel che si rivela più forte ed inesauribile è la forza dei sentimenti.
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