COLLANA CHIARA– POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA
MICHELE NIGRO, Pomeriggi perduti
Prefazione di STEFANO SERRI
Con una nota di CHIARA DE LUCA
ISBN 978-88-99274-51-1
pp. 118, € 12,00
L’inventario della poesia disdegna quello di cui la maggior parte della gente si cura e cui tutto tende, e si sofferma su beni più preziosi e duraturi, tesori sepolti nel silenzio, solitudini sorelle in brevi scorci di natura e luoghi consueti nel deserto cittadino.
Il poeta cronista sospende il giudizio sulle cose che vede, sui fatti e sulle persone. Si pone al livello del reale, o più sotto di qualche gradino. Da laggiù guarda il mondo e lo abbraccia, perché nulla di ciò che vede è indegno di essere detto, in versi che non perdono mai il filo del ritmo, ma inglobano anche quel che è in apparenza banale o irrilevante, per farne musica, una musica unica e alta: la colonna sonora della nostra quotidiana esistenza.
Dalla nota di Chiara De Luca
Pomeriggi perduti di Michele Nigro dichiara con franchezza e più volte la necessità di un combattimento tra spazio e tempo, senza lasciar spadroneggiare troppo uno di questi due campioni del senso e dei sensi, sempre in fuga nella vaga signoria della nostra esistenza rizomatica e frattale.
come un ladro non inseguito
se non da se stesso
che interrompe schemi marci
Da un lato, nei titoli o nei testi di Nigro proliferano i luoghi, indicati con cura, puntando bene il dito sulla cartina, legandoli a nomi e ricorrenze; da Padova a Istanbul, gli spazi non vengono né dilatati a universali né rimpiccioliti a simboli, ma rimangono tappe necessarie, passages severi e ineludibili privi di qualsiasi monumento all’eternità. Un viaggio puntiforme, che non rimpiange i vagoni e i giorni, ma con tanta attenzione per le rotaie, le ferrovie e la strada. La strada, soprattutto, perché è proprio sulla strada che, alla fine, il viaggiatore, «viandante eretto / ma non eretico», deve restare, senza speculare su dove venga portato: un viaggio senza vettori, fatto di bandierine piantate nel globo, incuranti su quale forma descriveranno viste dall’alto, alla fine.
Dalla prefazione di Stefano Serri