Pubblicato il 25/09/2009 15:38:00
In questo nostro Paese dalla politica starnazzata e fatta di clamori c’è chi vorrebbe rendere obbligatorio il dialetto a dispetto della nostra augusta, amata e – ahimè spesso – maltrattata lingua italiana, potremmo quindi interrogare chi, maestro sia dell’italiano che del dialetto, potrebbe illuminarci su tale questione. Purtroppo il soggetto in questione è ormai defunto, dal lontano 1973, evitando quindi di tentare di interpretare i suoi voleri, ormai insondabili, in quanto collocatisi nell’aura del genio e pertanto irraggiungibili per noi comuni mortali accontentiamoci – e facendo ciò godiamo, e come godiamo – di leggere le pagine di questo delizioso romanzo, che porta come sottotitolo, esplicativo, “disegni milanesi”. I disegni in questione sono i vari episodi che compongono il libro e ci mostrano istantanee scene della vita meneghina al principiare del secolo scorso, narrate col gusto tipico dell’epoca, accentuando i vezzi e, spesso con graziose iperboli, rendendoli grotteschi. Ma come anticipavo, è il linguaggio ad essere inarrivabile, impagabile, infatti il “Carlemilio” narra mischiando il dialetto milanese con la lingua italiana, riuscendo così a dare efficacia unica ai contenuti. Il linguaggio gaddiano costruisce una sorta di tridimensionalità linguistica cesellando su vari piani la scrittura, creando prismi perfetti in cui ai lati dialettali si congiungono perfettamente quelli creati con una lingua più moderna, quella che avrebbe soppiantato il dialetto, ma che trae la sua modernità da strati ancor più remoti; la lingua che fluisce da questi disegni milanesi affonda le proprie radici da un passato europeo e talvolta romano o addirittura omerico, apparendo scintillante di arguzie e di parole che paiono create appositamente per essere inserite in un determinato contesto, e qualcuna lo è: il Gadda conia termini e parole con la sua magica capacità di fondere insieme i vari linguaggi che padroneggia perfettamente. Tutto ciò oltre ad essere una delizia per il lettore smaschera in modo oserei dire scandaloso i tentativi di far arretrare il linguaggio al semplice ripristino del vernacolo, esso infatti appare come un semplice strato di una lingua in divenire, in progresso di crescita continua. Le parole del Gadda dimostrano come una lingua sia invece influenzabile da tutti gli apporti esterni che giungono col progredire della società, diventando unica ed omogenea ma con l’apporto di tutti, ovvero non è una lingua che, come nei deliri ministeriali, divide chi non appartiene al clan, ma integra chiunque la viva, e soprattutto sottolinea, con tratto postumo ma ugualmente e gaddianamente malizioso, come per poter tentare di influenzare un linguaggio ci voglia grande cultura e non annullamento od ignorante protervia. Questo grande arazzo linguistico, tessuto con fili di provenienze opposte in cui alle varie tinte si mischia un filo rosso della lingua meneghina, con lazzi e svolazzi, narra di vite semplici nel capoluogo lombardo, mostrando quanto poco sia cambiato nelle menti dei più semplici, e come idee sventolate come modernismo siano in realtà vecchie ed inveterate nell’animo dei più. Ci troviamo così di fronte alla famiglia della media borghesia che cercando la sguattera la vuole assolutamente delle “nostre parti” malgrado poi scoprire un’insanabile pasticciona, ma fa niente meglio così che una forestiera, discorsi che facevano sorridere un secolo fa ma che vengono riproposti oggi facendoci inorridire per l’assurda beceraggine. Vi sono poi architetti all’avanguardia che non sono in grado di rendere abitabile un appartamento, gli ingegneri del “Politecnico” che si danno grandi arie ma sono poco pratici e capaci, ed intorno ad essi una massa di persone giudicanti e pronte ad alzare un dito accusatore contro chiunque attenti alla morale comune. Uno spaccato di società che mostra una Milano ormai scomparsa, che però sopravvive intatta, oltre che nei toponimi, nella mentalità gretta e benpensante di quella che oggi pomposamente si chiama “middle-class” ed allora media borghesia ma che non ha cambiato di molto il suo atteggiamento nei confronti della vita. L’Adalgisa appare al lettore come un mosaico di esperienze, di vite, anche minute, piccole e grandi tragedie familiari, i tempi che cambiano, ricchezze che vacillano, sospetti di corna e via spigolando, narrate con un gusto unico e avvincente, capace di far sorridere e di meditare, scivolando su una musicalità linguistica assolutamente unica ed irripetibile. Questa raccolta di storie fu anche per il Gadda una sorta di fucina, troviamo qua, in embrione, tratti poi sviluppati in altri romanzi, e rimane a distanza di tanti anni dalla sua pubblicazione (1944) una lettura splendida, avvincente e assolutamente modernissima.
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