Non so con quale fondamento, parecchi anni fa, in un altro sito letterario, un anziano poeta romano, il quale molto meglio di me scriveva in metrica e in rime, mi fece notare che, tra gli altri motivi, la moda, diventata ormai duratura, di non usare più né metrica né rime derivava anche dal vantaggio della maggiore facilità di traduzione che le poesie in versi liberi presentavano.
Non so, ripeto, se ciò sia vero dal punto di vista storico, ma è senz'altro vero da quello pratico. Tradurre, infatti, in un'altra lingua una poesia "classica" è pressoché impossibile: o si aboliscono le rime e parzialmente anche la metrica, ottenendo una buona resa del solo contenuto, o con moltissimi sforzi si conservano, alterando però così inevitabilmente il contenuto stesso. Montale (almeno la maggior parte della sua produzione) in Francia, o Prévert in Italia hanno potuto avere successo perché era abbastanza facile tradurli, ma quanti Italiani che non conoscono bene il francese, ad esempio, sono rimasti per sempre privati della bellezza, intesa in tutti i sensi, che si sprigiona da un originale di Baudelaire?
Prendiamo, come unico esempio (ne può bastare uno solo) la prima strofa (in alessandrini a rime incrociate) della prima poesia delle "Fleurs du mal" , "Au lecteur" .
Baudelaire aveva scritto:
"La sottise, l'erreur, le péché, la lésine
Occupent nos esprits et travaillent nos corps,
Et nous alimentons nos aimables remords,
Comme les mendiants nourrissent leur vermine. "
Luigi De Nardis ( "I fiori del male" , ed. Feltrinelli, 1968 ) traduceva così:
"Stoltezza, errore, peccato, avarizia
occupano i nostri spiriti e tormentano
i nostri corpi e, come mendicanti
che i loro insetti nutrono, educhiamo
piacevoli rimorsi. "
E Giuseppe Montesano ( "Il ribelle in guanti rosa" , ed. Mondadori, 2007) propone:
"La stupidità, l'errore, il peccato, la meschina avarizia,
occupano le nostre menti e tormentano i nostri corpi,
e noi alimentiamo i nostri amabili rimorsi
come i mendicanti nutrono i loro parassiti. "
La versione di Montesano è forse un po' più letterale, e quella di De Nardis (che aveva impiegato sette anni per tradurre tutte le "Fleurs" ) cerca forse maggiormente di conservare un po' di ritmo, ma in entrambi i casi quanta differenza con l'originale! Non c'è più la maestosità dell'alessandrino né la musicalità delle rime. Chi legge Baudelaire solo in italiano può dire di averlo veramente gustato, o deve riconoscere di averlo gustato solo a metà? E allora, dato che le poesie vere sono praticamente intraducibili (e da esse, forse, non deriverebbero vantaggi economici agli editori e ai poeti famosi) , ben vengano quelle scritte come le prose, solo andando a capo di tanto in tanto!
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